Gli ultimi dodici mesi sono stati segnati dal fallimento di numerose società dedicate all’installazione di pannelli fotovoltaici. La maggior parte dei fallimenti riguarda società piccole, che di certo non faranno la storia ma alcuni fallimenti hanno toccato società molto più grandi e famose.
Ebbene, lo stillicidio prosegue e la settimana scorsa un altro colosso (americano) del fotovoltaico ha intrapreso la via dell’oblio. La Abound Solar, a fronte di un finanziamento di 400 milioni di $ a tassi agevolatissimi garantito addirittura dal Dipartimento dell’energia, ha dichiarato di dover lasciare a casa la metà della propria forza lavoro.
Certo, gli analisti ci dicono che è ancora presto per sapere se Abound Solar sarà la nuova Solyndra del 2012 (535 milioni di $ di finanziamenti pubblici andati in fumo), ma le premesse sono tutt’altro che rosee.
A livello di capitalizzazione i problemi non mancano, tanto paga zio Sam. Ma il mercato, quanto paga questo settore? E qui le amare sorprese non mancano di certo. Per esempio nel 2008 First Solar quotava la fantasmagorica cifra di 300$ per azione. Oggi siamo a 27$. La stessa sorte è toccata a Guggenheim Solar, 300$ nel 2008, 27$ oggi.
Bloomberg prevede che nel 2012 si venderanno pochissimi pannelli solari, a causa principalmente dell’eccessiva produzione e di conseguenza delle ingenti scorte invendute di magazzino. Tutto ciò sta avvenendo, anzi ormai è avvenuto, nel decennio più generoso nei confronti dell’energia fotovoltaica. Gli ultimi dieci anni hanno registrato sussidi statali, in tutto il mondo, a livelli davvero vertiginosi. E la performance è stata, a esser buoni, deprimente.
Cosa accadrà adesso che le cinghie di tutti gli stati si stanno stringendo, riducendo di fatto i sussidi alle energie rinnovabili? Come nel caso delle auto elettriche (si legga qui), possiamo dire una volta di più che per il prodotto Green l’unica ancora di salvezza è costituita dalle politiche pubbliche di sussidio. Diversamente, in un contesto di libero mercato, tali prodotti Green vengono marginalizzati nel giro di poco tempo, a fronte però di ingenti perdite di sussidi e posti di lavoro.
A quanto detto vorrei aggiungere una cosa, che secondo me peggiora l’effetto “investimento in tecnologia prematura” in Italia rispetto agli USA. Per spiegarmi devo fare una premessa. In realtà, in USA il contributo pubblico è superiore a quanto si pensi se si mette in conto la spesa militare. E’ notevole ed è ovviamente pubblica, anche se i fornitori sono privati. Siccome lo stato è un pessimo investitore, comunque, credo che in termini di quanto si ottiene per dollaro speso sia meno efficiente del settore puramente privato. Prova ne è che non mi risulta che nessun grande programma militare (mi riferisco p.es. all’aeronautica, di cui sono stato appassionato) sia stato completato senza sforare notevolmente i costi previsti, con annesse polemiche. Non c’è altro da fare, d’altronde se sei una superpotenza devi aver mezzi all’altezza. Ma, concetto ancora più importante, in USA l’industria fa molto “spin off” e c’è molto “fall out”. Il mega finanziamento pubblico su progetti complessi come quelli militari si ripartisce in un gran numero di aziende che non sono “monotematiche”: con i profitti di un programma investono in altre attività, tanto più che è stra-noto che i “fall out” della ricerca militare in campo civile sono notevoli. Per cui, tornando al nostro fotovoltaico, è lecito pensare che i soldi investiti in USA in un programma anche fallimentare comunque non vanno del tutto sprecati. Con un’immagine, potrei dire che si è usata acqua per irrigare un campo con molti orti adiacenti e se anche se la coltivazione principale poi è comunque seccata, l’acqua non è andata sprecata del tutto e qualche frutto l’ha portato.
Da noi, tragicamente, non è così per motivi culturali. Prova ne è che quando grandi aziende sono in crisi, come la FIAT, larghe sezioni di indotto sono sul punto di suicidarsi. Questo perché sono state incapace di qualsiasi spin off nel periodo di vacche grasse. Quindi il sospetto è che l’investimento “bruciato” rimane completamente sterile.
In un memorabile film il compianto Alberto Sordi voleva essere americano e diceva che gli americani erano forti, belli, ecc., ecc..
Oggi mi sento un poco Alberto Sordi: vorrei essere americano. 🙂
Nel senso che invidio il cittadino di uno Stato che i suoi soldi difficilmente li mette nelle mani dei privati: niente finanziamenti a fondo perduto ed a pioggia, ma solo garanzie per i prestiti che le banche devono concedere. E’ il sogno americano, in ultima analisi. Tutti devono avere un’opportunità a condizione, però, che valgano qualcosa. Come siamo lontani dai piagnistei di casa nostra!
Ignoro quasi tutto del sistema americano per cui potrei dire delle sciocchezze, ma l’idea di uno Stato che finanzia solo ciò che è di interesse nazionale e che si affida molto al privato senza, però, abbandonarlo a se stesso e mandarlo allo sbaraglio, mi piace molto. Del resto sono un contribuente e la cosa si commenta da se! 🙂
L’autore del post, infine, invita a discutere in merito alla frase
“Diversamente, in un contesto di libero mercato, tali prodotti Green vengono marginalizzati nel giro di poco tempo”
Io, personalmente, sono del tutto d’accordo: senza incentivi il green non ha mercato. Secondo me una tecnologia riesce a diventare lo standard del mercato se riesce ad innovare, semplificare e rendere più economica la produzione di un bene o di un servizio. Il computer ha sfondato perché è riuscito ad essere un validissimo ausilio per una miriade di attività, ma, soprattutto, perché è diventato un mezzo di comunicazione e di evasione. Io, per ragioni anagrafiche (ahimé), sono stato testimone dell’evoluzione del PC. Quando nel 1984 acquistai un PC Olivetti M20 con sistema operativo PCOS sottoscrissi cambiali per milioni di lire. Dovendo ristrutturare casa ed avendo bisogno di un prestito, mi recai in banca e mi comunicarono che era necessario iscrivere ipoteca sull’immobile. Quando presentai la situazione patrimoniale dalla quale risultava che ero in possesso di un PC, il funzionario della banca mi concesse il prestito senza alcuna ipoteca e senza garanzie! Questo per dire cosa significasse, all’epoca, possedere un PC. Oggi in ogni casa troviamo due o tre computer che sono migliaia e migliaia di volte più potenti del mio vecchio PC Olivetti M20. Il PC IBM, grazie a Windows, è diventato lo standard di mercato e Olivetti, invece, non è riuscita ad imporre il suo sistema operativo come standard del mercato. Stesso discorso vale per le tecnologie verdi: non riescono a imporsi come standard di mercato perché non sono in grado di reggere il confronto economico con le altre tecnologie presenti sul mercato. Prendiamo, ad esempio, il fotovoltaico. Si dice che è una tecnologia che riuscirà a camminare con le proprie gambe se il costo di un impianto sarà inferiore a 2500 €/kw installato. Oggi siamo arrivati a queste cifre (mi corregga gbettanini se ho scritto cavolate), ma siamo ben lontani dall’autosufficienza per cui le imprese produttrici falliscono. Circa un anno fa “Le Scienze” pubblicò un articolo
http://www.lescienze.it/archivio/articoli/2011/03/03/news/in_cerca_di_soluzioni_radicali-732419/
in cui un guru dell’economia spiegava che solo innovando profondamente tecnologie mature (condizionatori o motori per automobili, per esempio) si potevano realizzare quelle riduzioni dei consumi che potevano, tra l’altro, ridurre l’emissione di CO2. Egli giudicava del tutto illusorio puntare su tecnologie “rivoluzionarie” come il fotovoltaico, per esempio, che sarebbe restato sempre un prodotto di nicchia in quanto assolutamente non competitivo con altre tecnologie presenti sul mercato. Sempre secondo l’economista intervistato nell’articolo citato, inoltre, più che fissare un tetto alle emissioni o creare un mercato delle emissioni, sarebbe stato utile fissare uno standard per l’energia elettrica a basso contenuto di carbonio. Egli, infine, invitata a investire sui tecnici in modo da indirizzarli verso quei settori produttivi in cui delle innovazioni profonde potevano determinare delle fortissime riduzioni di inquinanti e di emissioni. Se la green economy punterà in questa direzione potrà imporsi sul mercato, in caso contrario fallirà miseramente (a meno che non si esauriscano o diventino eccessivamente costosi petrolio, carbone e gas naturale).
Ciao, Donato.
Mah, la green economy è un misto di ideologia, politica e religione in cui si fa fatica a capire cosa è o sarà davvero utile alla nostra società. Quel che è certo è che gli americani, pragmatici per natura, si sono fatti abbindolare molto meno di noi europei. Anche nella terra delle opportunità le garanzie per 500 milioni di $ le hanno elargite solo dopo che i proponenti avevano raggranellato, se ricordo bene, 1 miliardo di $ di capitali privati… va bene innovazione ma i soldi le banche li hanno sganciati solo dopo aver verificato che c’era condivisione del rischio.
Per quanto riguarda il fotovoltaico con i 2500 €/kWp si può dire che si è raggiunta la “grid parity”, condizione in cui il costo di produzione da FV equivale al costo del kWh che acquisto dalla rete, la condizione per la quale si diceva che il FV avrebbe camminato con le proprie gambe. Cosa che comunque non tiene conto dei costi di sistema dovuti all’intermittenza della fonte ed altre peculiarità e che per come era stata proposta al pubblico era una falsità. Ora che questa condizione di GP si è raggiunta chi ne parlava se ne sta ben zitto per paura che questo comporti un eliminazione degli incentivi sull’autoconsumo per gli impianti FV domestici o piccoli industriali… come per altro sta avvenendo in Germania dove c’è un’insolazione dle 30% inferiore rispetto all’Italia.
Scusate, tutti d’accordo che il meccanismo di sostenimento pubblico USA è più furbo: ma se l’azienda alla fine fallisce e non paga i debiti, quindi tanto meno è in grado di restituire i prestiti, quei soldi non ritorneranno più nelle casse statali, giusto? Quindi alla fine li pagano i contribuenti, giusto? Per cui “tanto paga zio Sam”, intesa come l’equivalente USA “tanto paga Pantalone”, mi pare appropriato. O sbaglio qualcosa?
Aggiungo una considerazione:
“ma la banca ti applicherebbe interessi molto elevati visto che sei una start-up o un’azienda che produce tecnologia innovativa e di te non si fida.”
Questo è quello che succede in Italia, purtroppo. Negli USA non è proprio così, almeno quantitativamente, perché ci sono banche e investitori specializzati negli investimenti a rischio, ma promettenti, che *sanno fare il proprio lavoro*. Sennò non avremmo cose come Google o Facebook. Quindi, se un progetto in USA fatica a trovare un finanziatore, o abbastanza finanziatori, be’, io qualche dubbio che sia una chimera me lo porrei. Sono disposto a fare compromessi in questo periodo, visto che c’è una crisi strutturale di liquidità, ma poi alla fine mi sembra che non cambi quello che si è sempre detto, che lo Stato è un pessimo investitore. Semplicemente perché non è il suo mestiere, quindi non ha necessariamente più capacità dell’investitore privato che ha deciso di non intervernire, e persegue un’agenda che quasi sempre è legata a fini elettorali.
Lo Stato è un pessimo investitore, lei ha perfettamente ragione.
Avrei preferito che questa lunga discussione si fosse concentrata un po’ di più su questa frase:
>> Diversamente, in un contesto di libero mercato, tali prodotti Green vengono marginalizzati nel giro di poco tempo
Ma secondo me ci arriviamo 🙂 Sono contento delle osservazioni di gbettanini perché penso ci permettano di chiarire meglio alcune premesse del discorso. Infatti tutto si basa sulla qualità di valutazione di un investimento e dei possibili effetti di “drogaggio” che lo Stato può introdurre in vari modi. Quindi prima vorrei essere sicuro di capire bene come funzionano questi interventi statali negli USA.
I soldi quando l’azienda fallisce non sono ancora usciti dalle casse statali (e quindi non ci possono ritornare)… il privato comunque i soldi del governo non li tocca MAI.
La questione è che con questo metodo con 10 miliardi di fondi riesco a garantire progetti per 100 miliardi nella malaugurata ipotesi che il 10% dei progetti che ho sceltro non vada a buon fine. Sempre nell’ipotesi che il DOE faccia bene il proprio lavoro… cosa che non è dimostrata posto che si vedeva lontano un miglio (nautico) che la tecnologia proposta dalla solyndra era un pacco.
Anche la Solyndra dunque è fallita prima che il governo ci rimettesse dei soldi?
@ Fergus McGee
Si, ma aveva anche scritto “A livello di capitalizzazione i problemi non mancano, tanto paga zio Sam” e poi fatto diversi discorsi sui sussidi statali che potevano trarre in inganno.
Credo che ci siamo capiti. Il riferimento ai problemi di capitalizzazione è proprio nel caso in cui i progetti ritenuti di interesse nazionale non riescano a raccogliere sufficienti capitali privati.
La ringrazio per la precisazione, comunque nel testo l’ho scritto:
>>Il DOE statunitense fa una cosa molto intelligente, dà garanzie sui prestiti.
>>La Abound Solar, a fronte di un finanziamento di 400 milioni di $ a tassi agevolatissimi garantito addirittura dal Dipartimento dell’energia
Mah, almeno a differenza della Solyndra questi producevano pannelli classici e non pannelli con una farloccca tecnologia a cilindri captanti…. in questi giorni Obama ha dato un warning ai cinesi imponendo dazi sui loro pannelli compresi tra il 3% ed il 5%. Poco, sarebbe servito un 20-30% ma credo valga come avvertimento contro il dumping cinese.
Una precisazione, perchè secondo me nel testo non è spiegato in maniera chiarissima: Negli Stati Uniti non si danno finanziamenti pubblici all’italiana. Il DOE statunitense fa una cosa molto intelligente, dà garanzie sui prestiti. Ovvero tu azienda di belle speranza raccogli un certo capitale privato, poi ti manca un tot che vai a chiedere alla banca, ma la banca ti applicherebbe interessi molto elevati visto che sei una start-up o un’azienda che produce tecnologia innovativa e di te non si fida. Allora il DOE garantisce per te in caso di default così la banca è tranquilla e può applicare interessi molto bassi.
Solo se l’azienda fallisce il DOE (e quindi il governo federale) deve tirare fuori i soldi per coprire quanto manca da pagare del prestito.
http://www.lgprogram.energy.gov/