Il Rapporto CO2 – Piante – Clima: Verso un’ipotesi complessiva
Un modello
La flowchart in figura 1 riassume i diversi effetti che derivano dall’aumento della CO2 e dal conseguente incremento globale della biomassa vegetale globale. Come si noterà i primi effetti a valle di tale incremento sono:
- L’albedo planetario diminuisce poiché le piante hanno mediamente un albedo inferiore a quello del suolo nudo. Ciò determina una variazione del bilancio radiativo di superficie con aumento della radiazione netta al suolo (RN) che è il flusso chiave che spinge gli altri flussi del bilancio energetico di superficie e cioè il flusso evapotraspirativo (calore latente LE), il flusso di calore sensibile H ed il flusso di calore nel suolo G (Oke, 1978; Stull, 1997).
- La maggiore presenza di vegetali modifica il bilancio energetico di cui al punto precedente aumentando LE e diminuendo H.
- La maggior scabrezza delle superfici vegetate rispetto a quelle nude coopera a dare una maggior cessione di LE dalla superficie del pianeta all’atmosfera. Come risultato dell’aumento di LE la temperatura globale di superficie diminuisce.
- Come effetto di quanto ai punti precedenti aumenta il flusso di vapore LE verso lo strato emittente con conseguente aumento dell’effetto serra, per cui la temperatura globale dello strato emittente aumenta con un effetto che si propaga anche alla superficie (per ogni °C di aumento a 5500 m di quota si ha mediamente un aumento di 0.5°C al suolo, che si giustifica con la necessità di conservare il gradiente pseudo-adiabatico). Pertanto la temperatura globale di superficie aumenta.
- Fra gli altri effetti primari dell’aumento del flusso di LE verso la libera atmosfera (flusso che dovrà essere necessariamente associato ai processi di convezione profonda) si citano l’intensificazione del ciclo dell’acqua e l’aumento delle precipitazioni.
- L’intensificato ciclo dell’acqua stimola anche un più precoce svuotamento estivo della riserva idrica del terreno. Ciò dovrebbe ridurre l’albedo (l’albedo di praterie con erba secca è assai più basso di quello di praterie con erba verde) e questo dovrebbe a sua volta dar luogo ad un feedback negativo sul’albedo planetario e dunque su RN e dunque sul bilancio energetico. A questo feed-back negativo si oppone il feed-back positivo seguente: le piante aumentano la sostanza organica nel suolo con effetti positivi sulla struttura del terreno che si traducono in un sensibile ampliamento della capacità del suolo di immagazzinare acqua. Questo fenomeno dal canto suo ritarda lo svuotamento estivo della riserva idrica del terreno con effetto di feed-back positivo che è esattamente opposto rispetto a quello precedentemente discusso. Quale dei due feed-back vincerà? Credo che la risposta sia al momento aperta.
E’ a questo punto interessante osservare che siamo caduti in una palese contraddizione fra quanto affermato al punto 2 (la temperatura globale di superficie diminuisce) e quanto affermato al punto 3 (la temperatura globale di superficie aumenta). Come dirimere la questione? Immagino si possa farlo con modelli utilizzati in modo responsabile, e cioè calibrati e validati.
Se tutto va bene siamo rovinati?
Come risultato finale degli effetti suddetti appare dunque non così peregrina l’ipotesi secondo cui la temperatura globale di superficie (quella misurata dalle stazioni a 1.80 m da terra) possa aumentare spinta non tanto dall’effetto diretto di CO2 come gas serra (cui si assocerebbe quello indiretto della CO2 stessa su vapore acqueo e nubi) quanto dall’azione della CO2 stessa come “concime” per le piante.
Alcune domande principali sorgono a conclusione di questo ragionamento:
- Quali possibilità abbiamo di farci un’idea sul sussistere e sulla rilevanza complessiva di tale fenomeno?
- Le simulazioni con GCM svolte in sede IPCC prendono in considerazione l’aumento della biomassa vegetale che con ogni probabilità ha avuto luogo negli ultimi 150 anni?
- L’aumento della biomassa globale (cui dovrebbe associarsi un aumento di biodiversità) è da ritenere positivo o negativo? Secondo la teoria di Gaia il fenomeno è da considerare positivo senza alcun se e ma (Kleidon, 2002). E gli ambientalisti cosa ne pensano?
Concludo questo post sottolineando il fatto che lo scopo di un dibattito in sede scientifica dev’essere quello di discutere ipotesi che ci consentano di comprendere il funzionamento della macchina del clima di cui ancor oggi abbiamo un’idea assai parziale. Tali ipotesi devono andare in tute le direzioni, comprese quelle che, partendo da basi diverse da quelle dei sostenitori della teoria dell’Anthropogenic Global Warming, avvalorano comunque l’idea di un ruolo chiave della CO2 nella macchina del clima terrestre.
Bibliografia
- Kleidon, 2002. Testing the effect of life on earth’s functioning – how gaian is the earth system? Climatic Change 52: 383–389, 2002.
- Oke T.R., 1978. Boundary layer climates, Methuen & Co. Ltd, London, 371 pp.
- Stull R.B., 1997. An introduction to boundary layer meteorology, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 670 pp.
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NB: A questi link trovate le parti I, II e III. Qui invece il pdf: Mariani 2012 – Piante e clima.
Caro Luigi
il notro pianeta è già stato più caldo e pullulante di vita nel passato (l’esplosione di vita del carbonifero ne è un esempio) per cui non ci sarebbe nulla di male. Allo stesso modo esso è stato più freddo sia nel passato lontano (glaciazioni) sia in epoca recente (PEG). Anche in questo caso non ci sarebbe nulla di male. Questo apparentemente, però. In realtà un pianeta più caldo, alla stregua di un pianeta più freddo, determinerebbe grossi sconvolgimenti dei sitemi ecologici. Molte specie si adatterebbero, altre scomparirebbero, altre si evolverebbero a partire da quelle attuali. Se si pensa che tutto questo sarebbe causato dall’opera dell’uomo, però, si innescano i problemi etici di cui abbiamo parlato tante volte su queste pagine. L’opera dell’uomo è opera di natura o è un qualcosa che travalica la natura? Qui, credo, che comincerebbero a nascere i problemi con gli ambientalisti e con i filosofi. Io, personalmente, sono dell’avviso che il pianeta evolverebbe in modo autonomo a prescindere dalla presenza dell’uomo come è già accaduto tante volte nel passato. Una volta la CO2 la emettevano i vulcani, oggi si è aggiunto il contributo dell’uomo. In entrambi i casi le dinamiche sono state rapide; in entrambi i casi la velocità di adattamento delle specie è di importanza cruciale per la loro sopravvivenza.
Tu scrivi: “[…] A questo feed-back negativo si oppone il feed-back positivo seguente: le piante aumentano la sostanza organica nel suolo con effetti positivi sulla struttura del terreno che si traducono in un sensibile ampliamento della capacità del suolo di immagazzinare acqua. Questo fenomeno dal canto suo ritarda lo svuotamento estivo della riserva idrica del terreno con effetto di feed-back positivo che è esattamente opposto rispetto a quello precedentemente discusso. Quale dei due feed-back vincerà? Credo che la risposta sia al momento aperta.”
Se fossero solo questi i feed-back in azione lo sbocco finale sarebbe uno dei due scenari che hai delineato nel tuo commento. Ho imparato da te, però, che di fattori che esercitano feed-back positivi e negativi ne esistono tanti altri. E’ l’insieme di tutti questi feed-back che determinerà il risultato finale. E questo rende la risposta ancora più aperta. Per chiudere mi auguro che la comunità scientifica, invece di farsi impiccare all’andamento delle temperature superficiali globali che dipende più o meno linearmente dalla concentrazione di CO2 atmosferico, presti attenzione a tutti questi fattori che influenzano il sistema climatico e cominci a tenerne conto nei suoi modelli globali in modo da poter comprendere sempre meglio il mondo che ci circonda.
Ciao, Donato.
Caro Donato,
Concordo con quanto hai scritto nella tua ultima e_mail. La rete di rapporti causali nella macchina del clama è troppo complessa per fermarsi alla relazione lineare “tanta CO2 tanta temperatura”.
Circa poi l’effetto della vegetazione sul clima globale segnalo un altro lavoro basato su GCM ed uscito nel 2009, che ho scoperto oggi:
S. A. Cowling, C. D. Jones and P. M. Cox, 2009. Greening the terrestrial biosphere: simulated feedbacks on atmospheric heat and energy circulation,
Climate Dynamics Volume 32, Numbers 2-3, 287-299 (http://www.springerlink.com/content/6q42118155250060/).
L’ho letto oggi stesso in treno e vi ho trovato in sostanza una riproposizione dello schema prima utilizzato da Fraedrich e Kleidon con una sostanziale differenza che sta nel fatto che anziché ipotizzare che tutti i deserti siano sostituiti da vegetazione arborea si avanza l’ipotesi che tutte le piante (erbacee e arboree, latifoglie e conifere) passino dallo schema di fotosintesi proprio delle piante C3 a quello proprio delle C4 (http://en.wikipedia.org/wiki/C4_carbon_fixation). Si tenga conto che tale ipotesi di “mutazione” è persino più fantascientifica dell’ipotesi di rinverdimento di tutti i deserti avanzata da Fraedrich in quanto oggi non esistono a quanto mi risulta piante arboree C4.
Si tenga inoltre presente che anche il lavoro di Cowling et al. considera che le piante agiscano sul clima globale per le stesse tre ragioni indicate ad Fraedrich (effetto sull’albedo, maggiore emissione di calore latente e variazione della scabrezza superficiale).
Tuttavia le conclusioni sono considerevolmente diverse, evidentemente perché diversa è l’ipotesi base, diverso il modello adottato e diverse le parametrizzazioni imposte al modello.
Più nello specifico le principali conclusioni di Cowling et al. sono che un mondo con livelli di CO2 pre-industriali ed in cui dominasse la vegetazione C4 (più efficiente nella fotosintesi, meno esigente in acqua) presenterebbe:
– una maggiore produttività globale dei vegetali (con valori annui di Carbonio assorbito che passano da 56 a 115 Gt)
– un maggiore LAI (metri quadrati di superficie fogliare per metro quadrato di superficie)
– una copertura nuvolosa non diversa rispetto alla run di controllo (e cioè la run con la vegetazione reale)
– un maggiore albedo estivo ed un minore albedo invernale fra 45 e 60° di latitudine
– alle medie latitudini estati più fredde di 2.5°C ed inverni più caldi di 1°C
– alle alte latitudini un riscaldamento annuo di circa 3°C.
Questo è quanto.
Luigi
Caro Donato,
nel mio commento precedente non ho affrontato la parte del tuo commento che era relativa al problema etico. Rimedio ora.
Anzitutto debbo dire che il problema etico si pone ogniqualvolta modifichiamo un ambiente naturale e tale problema si pone non solo nei confronti della nostra specie ma anche di tutte le altre specie animali e vegetali che in questo ambiente vivono.
Credo che le ragioni del nostro dibattere la questione clima stia proprio nella necessità di attribuire in modo corretto all’uomo o a fattori naturali le cause del cambiamento climatico globale.
Per chiarisci le idee sulla questione etica sottesa al dibattito sul clima globale può essere allora utile sviluppare un parallelo con una forma di cambiamento climatico su cui l’attribuzione all’uomo è da quasi un secolo indiscutibile (i lavori di Bowen e della scuola micrometeorolgica tedesca sono degli anni 20 del XX° secolo) e cioè il processo di urbanizzazione che, limitandoci al solo aspetto termico, porta ad un aumento delle temperature minime notturne di parecchi °C, da cui discende non solo un’accresciuta mortalità durante le grandi ondate di calore (es. 2003) ma anche una diminuita mortalità durante le ondate di freddo invernali.
Come detto, in questo caso l’attribuzione all’uomo è incontestabile e tuttavia non vedo purtroppo la questione etica posta dai movimenti ambientalisti o additata alla collettività dai media.
Ad esempio Milano continua a rilasciare autorizzazioni edilizie a coloro che alzano i propri edifici di 1 o 2 piani. Lasciando da parte lo scempio operato su case di 5-6 piani dei primi del novecento, che in teoria dovrebbero essere tutelate come bene artistico, l’effetto sull’isola di calore è elevato in quanto tanto più si alzano gli edifici e tanto meno cielo si vede dal fondo delle vie l che ha come conseguenze inevitabili la diminuita efficacia del raffreddamento notturno è dunque l’aumento dell’effetto isola di calore.
Tuttavia (forse perchè pecunia non olet?) non assistiamo ad alcuna levata di scudi, per cui l’etica viene bellamente accatonata.
E’ probabilmente per la stessa ragione (pecunia non olet) che la levata di scudi è permanente (e da decenni) nei confronti delle assai meno facilmente dimostrabili responsabilità umane nei confronti del clima globale.
Un caso eclatante dunque di “due pesi – due misure” su cui non solo io ma anche altri colleghi che stimo molto come Teo Georgiadis ci siamo impegnati in passato con vari interventi a convegni che non hanno aihmè dato luogo ad alcun risultato pratico (i media non ne parlano, il problema non esiste, la speculazione avanza).
Ciao
Luigi
Articolo molto interessante che mette in luce un meccanismo di autoregolazione del pianeta a cui non avevo mai pensato. Mi spiego meglio. Che le piante potessero influenzare il microclima lo avevo capito dal fatto che durante le giornate di calura estiva si sta meglio in un giardino ombroso in riva ad un ruscelletto che in un piazzale asfaltato ed esposto al sole. Che, però, la copertura vegetale potesse interferire con il clima globale in modo così profondo, non mi era mai passato per la testa.
Altro aspetto interessante è il ruolo profondamente attivo che svolge la copertura vegetale sul clima globale e che il diagramma di flusso illustra egregiamente. Come abbiamo più volte scritto su queste pagine il sistema climatico è estremamente complesso ed è influenzato da decine e decine di fattori. Attribuire la responsabilità del GW solo all’effetto radiativo indotto dalla CO2, ancora una volta, appare fuorviante. Dall’articolo appare evidente che la CO2 è in grado di alterare il clima a livello globale anche attraverso un canale a dir poco sorprendente.
Le politiche di mitigazione messe in atto per contrastare il GW, infatti, puntano molto sulla riforestazione in quanto gli alberi e la vegetazione in genere, costituiscono un serbatorio di CO2 (i certificati verdi ne sono un esempio). Da quanto abbiamo letto, invece, sembrerebbe che riforestare in modo eccessivo potrebbe rivelarsi controproducente in quanto potrebbe determinare un incremento delle temperature superficiali (feed-back positivo). Con ciò non voglio dire che dobbiamo bruciare le foreste per sostituirle con asfalto (ci mancherebbe), ma è necessario valutare i pro ed i contro di ogni nostra azione. Piantare alberi a rotta di collo, per chiunque, rappresenta un modo valido per contrastare il riscaldamento globale mentre, ad un’analisi più approfondita la cosa, oltre un certo limite, potrebbe determinare l’effetto contrario. Una buona intenzione, perciò, potrebbe rivelarsi dannosa. Non per niente si diche che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno! 🙂
Per concludere vorrei segnalare un piccolo refuso nel post.
Secondo me invece di: “E’ a questo punto interessante osservare che siamo caduti in una palese contraddizione fra quanto affermato al punto 2 (la temperatura globale di superficie diminuisce) e quanto affermato al punto 3 (la temperatura globale di superficie aumenta).”
dovrebbe essere
“E’ a questo punto interessante osservare che siamo caduti in una palese contraddizione fra quanto affermato al punto 3 (la temperatura globale di superficie diminuisce) e quanto affermato al punto 4 (la temperatura globale di superficie aumenta).”
Ciao, Donato.
Grazie, Donato, per l’assai interessante riflessione circa il risultato finale delle nostre bone intenzioni.
Io mi spingerei tuttavia più in là nella riflessione nel senso che mi porterei a domandarmi se, una volta che si appurasse che il meccanismo da me adombrato è significativo (ovviamente si tratta solo di un’ipotesi), si rivelerebbe per noi meglio optare per:
a) un pianeta più caldo, più piovoso e pullulante di vita (anche quella per noi meno simpatica)
ovvero
b) un pianeta freddo, poco ospitale, con vasti deserti e poca biodiversità.
Quel che ci si porrebbe è senza dubbio un bel dilemma ambientale su cui io tuttavia non avrei dubbi: meglio l’opzione a!
Sarei però curioso di sapere cosa ne pensano altri…. gli ambientalisti ad esempio.
Luigi
PS: è vero, c’è un errore nei riferimenti e se possibile pregherei Guido di correggerlo.