Leggendo la letteratura scientifica in materia di clima, capita spesso di leggere la parola ‘evidence‘, cioè, ‘prova’. Ebbene, nonostante questo vocabolo possa a volte essere interpretato come un false friend, ci sono ai giorni nostri alcune evidenze (non prove) incontrovertibili:
- Le temperature medie superficiali globali hanno negli ultimi anni bruscamente frenato la loro ascesa; così anche il contenuto di calore degli oceani nello strato superiore, così ha fatto il livello dei mari.
- La distanza tra le proiezioni climatiche, ovvero il riscaldamento che sarebbe dovuto arrivare in ragione di un forcing antropico che non ha affatto rallentato, e le osservazioni è quindi aumentata; e non di poco.
- Il Sole, unica fonte di energia di un sistema in perdita costante, è piombato in una fase di quiescenza piuttosto significativa, dopo aver vissuto invece un lungo periodo di intensa attività definito ‘solar grand maximum’.
Queste cose sono accadute più o meno contemporaneamente. Di fronte a questa evidenza, che ripeto non è una prova del fatto che la variabilità dell’attività solare di breve e medio periodo abbia un impatto significativo sulle dinamiche del clima, sta decisamente aumentando l’interesse della comunità scientifica per aspetti di queste dinamiche che sarebbe stato meglio provare ad approfondire prima di scartarle, come invece è avvenuto nelle ultime 2/3 decadi di ribalta del riscaldamento globale di origine antropica.
Approfondire oltre le ragioni di questo rinnovato interesse sarebbe comunque una perdita di tempo. Da un lato infatti c’è chi muore dalla voglia di trovare una spiegazione alternativa e più coerente a quella antropica (intesa in senso prevalente) per far crollare il castello dell’AGW, dall’altro c’è chi cerca la conferma delle proprie scelte precedenti, appunto quelle di considerare la variabilità solare scarsamente significativa.
Quale sia lo scopo, quel che conta è capire, perciò oggi segnaliamo ben quattro studi recenti che hanno preso in esame la relazione tra variabilità solare e oscillazioni climatiche del passato, cercando di estrapolare quale impatto sulle dinamiche della temperatura media superficiale potrebbe avere l’eventuale – e pare scientificamente probabile – prolungarsi di questa fase di quiescenza. Al riguardo direi che valga la pena segnalare anche che molti stanno azzardando dei paragoni tra questa fase e quelle molto note del periodo 1400-1750, coincise, per l’appunto, con la Piccola Età Glaciale. Anche questo paragone però, lascia tutto sommato il tempo che trova, dal momento che i fatti di allora sono noti, e quelli di oggi sono, semmai, solo appena iniziati.
Dicevamo quattro lavori. Due di questi attribuiscono un peso molto significativo alla variazione dell’attività solare, mentre due, pur riconoscendone il contributo (e questa è già una grossa novità) ne valutano l’impatto in modo assai poco significativo.
Il primo lavoro è questo:
High-resolution sea surface reconstructions off Cape Hatteras over the last 10 ka – Paleoceanography (AGU) – Cleroux et al., 2012
Si tratta di analisi di sedimentazioni marine, dalle quali gli autori ritengono di aver ricostruito efficacemente i pattern circolatori per la zona da cui provengono i proxy e di riscontrare una periodicità di lungo periodo associata ad una accentuata variabilità in buona correlazione con la variabilità dell’attività solare degli ultimi 10.000 anni. Si dimostrerebbe così non solo l’assenza di una stabilità climatica altrimenti necessaria a ritenere anomale le dinamiche attuali, ma troverebbe conferma anche l’ipotesi di una stretta relazione appunto tra l’attività solare e le dinamiche del clima. Una relazione che se applicata ai tempi recenti, ovvero al solar grand maximum del XX secolo, giustificherebbe una buona parte del riscaldamento sin qui osservato. Non è però tutt’oro quel che riluce, come si suol dire, perché a ben vedere, la correlazione (e NON relazione causale) su cui si basa questo studio, non sembra essere così buona come affermato dagli autori.
Il secondo lavoro è invece il seguente:
What influence will future solar activity changes over the 21st century have on projected global near-surface temperature changes? – JGR – Jones et al., 2012
Il periodo di attività solare preso i considerazione è praticamente lo stesso (9.000 anni), ma, impiegando un ‘semplice’ modello climatico, gli autori giungono a definire l’impatto che una riduzione dell’attività solare paragonabile a quella del Minimo di Maunder potrebbe avere sul riscaldamento che diversamente ci si dovrebbe attendere in funzione del forcing antropico, in appena 0.1°C di riscaldamento in meno per il 2100. Praticamente niente. Al riguardo direi valga la pena di notare che anche in questo studio, come del resto nel precedente, si prende in considerazione esclusivamente la variabilità della TSI (o costante solare), senza tenere in alcun conto la possibilità che altri aspetti dell’attività solare nel suo complesso possano avere avuto/avere un ruolo importante. Il loro risultato quindi è scontato, soprattutto in ragione del fatto che i modelli climatici – tutti – assegnano nel computo dei forcing un ruolo decisamente poco significativo alla TSI. per quanto si possa farla quindi variare nel tempo, la variazione di zero è sempre zero. Semmai fa notizia che siano riusciti ad arrivare a 0.1°C.
Segue il terzo lavoro, che è un po’ più datato:
On the effect of a new grand minimum of solar activity on the future climate on Earth – GRL – Feulner & Rahmstorf 2010
L’approccio è molto simile al precedente. La ricostruzione dell’attività solare impiegata implicherebbe però una più ampia variabilità di quest’ultima nel prossimo futuro. Dato che comunque il modello cliamtico impiegato, sebbene più complesso, parte dagli stessi presupposti di tutti i modelli, il risultato non poteva essere molto differente. L’off set di riscaldamento prospettato è di -0,3°C sempre per il 2100. Riguardo al periodo direi che valga la comunque la pena di fare un po’ di speculazione. Di qui al 2100 ci passano 78 anni. 78 anni fa eravamo all’inizio del solar grand maximum e ora siamo (forse) solo all’inizio di un minimo che davvero nessuno sa quanto possa essere profondo. A dire il vero nessuno sa se sarà effettivamente un minimo significativo o quanto potrà durare. Assumere che nel 2100 possa esserci questo livello di riduzione dell’attività solare è un puro esercizio di stile. Se poi, come al solito, si continua a non tenere in alcuna considerazione altro che la TSI lo stile è assicurato, ma il risultato, scontato oltre che precostituito, non aggiunge assolutamente nulla al livello di comprensione del problema. Da segnalare inoltre che recentemente è stata pubblicata una ricostruzione dell’attività solare che individua una variabilità molto più accentuata affrontando il tema in chiave spettrale, che quindi potrebbe dare anche risultati significativamente diversi.
E infine il quarto lavoro (ancora più datato):
Surface warming by the solar cycle as revealed by the composite mean difference projection – GRL – Camp et al,. 2007
E’ forse, benché sia il più ‘vecchio’ il lavoro più interessante di questa serie. Per due ragioni. Innanzi tutto perché si stabilisce con un livello di confidenza statistica del 95% – valore che per la correlazione CO2-Temperature è impensabile – la risposta delle temperature di superficie alla variabilità solare intesa come oscillazione tra il massimo ed il minimo di un ciclo solare. Secondariamente perché questa risposta è valutata in 0.2°C (come differenza tra massimi e minimi). Va da se che un periodo prolungato di elevata attività solare prevede un generale innalzamento dell’asticella di questa variazione, come una eventuale serie di cicli molto deboli dovrebbe vedere questa risposta spingere le temperature verso il basso.
Ora, come abbiamo sottolineato qualche riga fa, pur provandoci in molti, far previsioni sull’attività solare non è più semplice’ che farle sul clima, né siamo più bravi. D’altro canto, se gli studi di attribuzione avessero tenuto conto di questi aspetti con lo stessa determinazione che si è vista profondere nell’investigare il ruolo della CO2, tra l’altro senza cavare un ragno dal buco in vent’anni, forse adesso ne sapremmo qualcosa in più e incidentalmente ci saremmo risparmiati allarmi di vario genere dimostratisi almeno sin qui completamente fuori bersaglio. Comunque, lo abbiamo detto anche altre volte. Siamo impossibilitati/incapaci a condurre un esperimento che chiarisca la relazione tra effetto antropico e clima. Dicono che per farlo ci vorrebbe un pianeta di test. Bene, non lo abbiamo, però abbiamo un Pianeta che sta facendo da solo il suo bravo esperimento (come sempre del resto) e nel giro di qualche decade ci consegnerà anche i risultati. Sinceramente spero di esserci e spero di essere in compagnia di qualche convinto sostenitore di opinioni diverse da quelle che discutiamo qui su CM. Chissà che non si possa ottenere un po’ di soddisfazione.
A mio avviso cercare di prevedere con una buona approssimazione il comportamento del clima globale nel breve e medio termine (nel lungo termine meglio stenderci un velo pietoso) è come voler riprodurre i versi dei dinosauri. E’ semplicemente impensabile allo stato delle conoscenze scientifiche attuali.
Si possono solo valutare i dati, le evidenze e provare a costruire teorie. E niente di più. Certezze zero.
Vallo a dire a Ugo Bardi e agli altri catastrofisti climatici.
Ribadisco che gli allarmi sul GW torneranno utilissimi a quei governi che vorranno attuare pesanti politiche impopolari di risparmio energetico, così da non dire la verità alle masse, ovvero che l’era dell’abbondanza di energia a basso costo e di benessere economico per una fetta di umanità (l’altra fetta non è mai uscita dalla miseria e dalla fame) è definitivamente terminata.
Intanto oggi abbiamo un’opportunità unica, ovvero quella di verificare nell’arco della nostra vita (se si è ragionevolmente giovani)in prima persona, i presunti effetti sul clima di questa anomala fase di quiescenza solare, se dovesse perdurare.