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Geomagnetismo, oceani e climate change

Non passa giorno che non si affacci sul panorama delle infinite dinamiche del sistema Pianeta qualcosa di nuovo. Ogni volta il pensiero corre alla ormai celeberrima quanto risibile affermazione “The science is settled”, il karma del movimento salva-pianeta.

L’argomento che proponiamo oggi è intrigante, proprio come lo definiscono gli autori della ricerca oggetto del nostro commento.

Geomagnetic South Atlantic Anomaly and global sealevel rise: Adirect connection? – De Santis et al., 2011 – Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics

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Abstract

Si evidenzia l’esistenza di un intrigante e fino ad oggi non riportata relazione tra la superficie dell’Anomalia del Sud Atlantico (SAA) del campo geomagnetico e l’attuale trend del livello dei mari. Queste due variabili geofisiche sono cresciute con coerenza nel corso degli ultimi tre secoli, suggerendo così una forte relazione causale supportata da alcuni test statistici. L’aumento monotonico della superficie SAA dal 1600 potrebbe essere stato collegato con un maggiore afflusso di energia attraverso la radiazione interna della Fascia di Van Allen con un conseguente riscaldamento dell’atmosfera terrestre e, infine, con l’innalzamento del livello dei mari. Si ipotizza anche una suggestiva e originale spiegazione alternativa, in cui i cambiamenti di pressione al confine del core-mantle possano causare variazioni superficiali e relative variazioni del livello dei mari. Anche se non è possibile stabilire un collegamento chiaro tra le dinamiche SAA e il riscaldamento globale, la forte correlazione tra questa e il global sea level supporta l’idea che il riscaldamento globale potrebbe essere almeno in parte controllato da processi della Terra profonda che innescano fenomeni geomagnetici, come l’Anomalia del Sud Atlantico , su una scala temporale secolare.
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Nell’atlantico meridionale esiste una’area molto vasta di anomalo indebolimento del campo magnetico terrestre. Dalle misure più recenti e dai dati di prossimità che sono stati raccolti nel tempo, nonché attraverso simulazioni modellistiche, è stato possibile ricostruire come questa anomalia si sia allargata molto nel corso degli ultimi tre secoli, cioè proprio in coincidenza con la fine della Piccola Età Glaciale.

De Santis Et al., Figura 1

Il territorio delle relazioni tra l’attività geomagnetica del Pianeta e le dinamiche del clima è a tutt’oggi poco esplorato, benché gli autori citino nell’articolo delle fonti bibliografiche piuttosto interessanti. Nella fattispecie, risulta particolarmente sorprendente la figura 3 del loro articolo, in cui è riportato l’andamento del global sea level insieme all’accrescimento delle dimensioni della SAA nel corso dei secoli.

De Santis et al., Figura 3

Tuttavia, come ammoniscono più volte nel testo, una correlazione non è certo prova di un rapporto causale. Nonostante questo, i test statistici da loro eseguiti sembrano ridurre le probabilità che si tratti di una mera coincidenza. Le difficolta però arrivano quando si tenta di ipotizzare i meccanismi fisici che potrebbero essere alla base di questa ipotetica relazione di causa effetto, presentando tre ipotesi, due esterne e una interna al sistema, senza esprimere particolari preferenze per nessuna di queste, ovvero lasciando questo compito ad ulteriori ricerche ed approfondimenti.

In una prima ipotesi l’aumento delle dimensioni della SAA faciliterebbe l’ingresso di particelle cariche dallo spazio, generando un aumento delle temperature e uno scioglimento delle calotte polari (Antartide e Groenlandia), dando origine all’aumento del livello dei mari. Alcuni studi supportano questa ipotesi, altri la confutano decisamente. Tra questi ultimi, molti di quelli che abbiamo discusso anche su queste pagine, che vedono in realtà nell’aumento del flusso dei raggi cosmici un potenziale di raffredamento dell’atmosfera attraverso l’aumento della nucleazione e quindi della copertura nuvolosa.

Il secondo meccanismo proposto riguarda la diminuzione dell’Ozono nell’alta stratosfera del sud Atlantico, con successiva variazione del flusso della radiazione uscente dal top dell’atmosfera, conseguenti variazioni dei pattern atmosferici e modifiche alle dinamiche del clima, con la copertura nuvolosa ancora una volta protagonista.

Il terzo meccanismo proposto è interno e sarebbe di origine geomagnetica. Questo perà escluderebbe un effetto a scala globale sulle temperature, comunque eventualmente soggette a variazioni a più ridotta scala spaziale.

Nel ringraziare la prima firma di questo articolo per aver voluto condividere con la piccola comunità di CM il suo lavoro, credo sia opportuno ribadire ancora una volta che una correlazione non è mai direttamente riconducibile ad un rapporto di causa effetto, specialmente quando i meccanismi fisici che dovrebbero supportare la relazione causale sono appena ipotizzati.

D’altra parte, sappiamo bene che l’ipotesi AGW si regge esattamente su questo: una correlazione (con segno tra l’altro non sempre positivo) e dei meccanismi fisici noti nei fondamentali ma stimati nel loro eventuale potere amplificante. Ragionare su ipotesi alternantive non è quindi solo utile, è fondamentale. Se questo avviene come nel caso di specie in ambito multidisciplinare è ancora meglio, aumentano le chances di aumentare il livello di comprensione scientifica delle dinamiche del sistema.

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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. crescenti uberto

    Chiedo scusa: l’articolo è lo stesso illustrato più sopra.

  2. crescenti uberto

    Sullo stesso tema è utile consutare la pubblicazione di De Santis, Qamili E., Spada G., Gaspoerini P., dal titolo: “Geomagnetic South Atlantic Anomaly and global sea level rise: A direct connection?” pubblicata su Yournal of Atmoshericand Solar-Terrestrial Physics, doi:10.1016/j.jasp,2011.

  3. CarloC

    Direi il mantra, piu’ che il karma 🙂

    Reply
    Chiedo venia, ieri giocava la Lazie… 🙂
    gg

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