“… toccasana di questa quotidiana battaglia della grana, perché chi ha tanti soldi vive come un pascià e a piedi caldi se ne sta”. Recita così una famosissima canzone interpretata dall’indimenticabile Betty Curtis che vede al centro dell’attenzione fiumi di denaro pronto per l’uso e proprio di soldi parleremo, un fiume di soldi, più di quanti possiate immaginarne.
In vista della conferenza climatica di Copenhagen il prossimo dicembre, è chiaro che ogni singolo stato o raggruppamento di stati si stia preparando al meglio per mettere sul tavolo le migliori carte possibili. Assodata la parte scientifica (sentiamo sempre più spesso affermare che il dibattito climatologico sia chiuso e non debba essere ulteriormente alimentato), rimane da capire il come e soprattutto il quanto. Qualche dettaglio, in termini di costi, è stato fissato con l’accordo europeo del 20-20-20, tuttavia come abbiamo detto, ognuno avanzerà le proprie richieste economiche. Sì, perchè se gli stati più industrializzati vogliono applicare il piano globale per la riduzione delle emissioni antropiche, fondamentalmente (da un punto di vista politico-economico) significa: aiutare le economie in via di sviluppo a inquinare di meno e contestualmente preservare determinati ecosistemi (ad esempio, uno su tutti, la foresta pluviale amazzonica che rischia di finire ridotta in cenere). Nell’uno e nell’altro caso, possiamo ulteriormente sintetizzare il concetto: soldi.
Soldi per acquistare le zone da proteggere, soldi per implementare nuove tecnologie (troppo costose per i paesi in via di sviluppo), soldi per scambiare le nostre quote di emissioni con quelle dei paesi in via di sviluppo.
Di quanti soldi stiamo parlando? L’ordine di idee ce lo fornisce l’Unione degli stati africani: per poter fronteggiare gli effetti collaterali del global warming, nonché per mettere in campo le migliori strategie per ridurre le emissioni antropiche in Africa, occorreranno 267 miliardi di dollari (circa 205 miliardi di euro). All’anno. Possibilmente entro il 2020.
Ora, in questo periodo di crisi e recessione, siamo stati abituati a sentir parlare di miliardi di dollari e euro, come fossero noccioline. Riflettiamo sull’entità di questi numeri: la cifra, totalizzata per il solo continente africano, equivale al doppio di quanto le economie sviluppate stiano attualmente stanziando per gli aiuti generici al continente. L’Unione degli stati africani non ha perso tempo e ha inserito queste richieste in un testo preliminare all’interno dell’accordo più generale che verrà esposto in sede ONU, come strumento di trattativa.
Duecento miliardi di dollari (annui) saranno necessari per l’abbattimento vero e proprio delle emissioni, serviranno anche ad abbandonare per sempre il petrolio, in favore delle energie rinnovabili. Ulteriori 67 miliardi di dollari (annui) saranno invece impiegati per adattarsi ai cambiamenti climatici. Ci fanno anche sapere che, tutto sommato, la cifra è pari ad un irrisorio 0,5% del PIL degli stati più sviluppati.
Per completare il quadro e dare una giusta sistemazione ai 267 miliardi di dollari richiesti, bisogna dire che l’Unione Europea, tramite un suo studio, ha calcolato in 227 miliardi di dollari la cifra necessaria per fronteggiare il riscaldamento globale, per il mondo intero.
Illuminante il commento di Kathrin Gutman (capo della “Commissione cambiamenti climatici” del WWF) che, intervistata dalla Reuters, afferma: “[nel testo proposto dall’Unione degli stati africani] non stiamo parlando di qualche decina di miliardi di dollari, ma di molto di più”.
Insomma, come recita un adagio: “piatto ricco mi ci ficco”!
Ah, per i nostalgici: buon ascolto!
Fonti e approfondimenti:
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