Da un feed-back negativo fin qui sottovalutato un freno al GW e un contributo alle previsioni stagionali
Iniziare una pubblicazione scientifica con due affermazioni volutamente imprecise non è proprio il massimo. Continuare con il solito ‘inchino’ al mainstream scientifico e concludere ripetendolo non migliora la situazione. Ma se poi nel corpo dell’articolo si provvede a smontare i pilastri dell’ipotesi AGW forse quella pubblicazione merita di essere letta. Nonostante tutte le contraddizioni in essa contenute.
Quello che segue è il titolo, mentre a questo link è possibile (una volta tanto) consultarla liberamente.
Arctic warming, increasing snow cover and widespread boreal winter cooling – Cohen et al., 2012
Le prime due frasi:
- Le temperature superficiali globali sono generalmente aumentate per l’intera lunghezza dei record strumentali.
- Il riscaldamento più forte e più significativo è occorso negli ultimi 40 anni.
E’ cosa nota che il riscaldamento sia arrivato in due fasi ben distinte, all’inizio e alla fine del secolo scorso, con ratei molto simili, sebbene quello più recente sia stato leggermente superiore. Tra questi, periodi altrettanto ben distinti di stasi o diminuzione delle temperature. Il risultato è certamente un riscaldamento in valore assoluto, ma con un andamento che proprio non può essere riassunto così semplicemente. E’ poi ancora più noto che da 15 anni a questa parte le temperature hanno smesso di crescere. Questa stasi è forse l’interrogativo più oscuro che le dinamiche del clima stanno proponendo alla comunità scientifica. Il riscaldamento è dunque avvenuto nelle ultime tre decadi del secolo scorso, non negli ultimi 40 anni.
Ora l’inchino.
- I modelli climatici attribuiscono la maggior parte di questo riscaldamento al rapido aumento della concentrazione di gas serra e prevedono il riscaldamento più forte nella porzione extratropicale dell’emisfero boreale durante l’inverno, a causa dell’amplificazione ‘invernale’ (o Artica).
- Tuttavia, mentre il Pianeta si è stabilmente scaldato, gli inverni dell’emisfero nord sono divenuti recentemente più estremi intorno alle aree più industrializzate.
Uhm…c’è qualcosa che non torna. Si deve prendere una decisione. O si prende per buona l’attribuzione del riscaldamento ai gas serra che scaturisce dai modelli, o si prende atto del fatto che quello che i modelli prevedono non sta avvenendo. Le due cose insieme non funzionano. Tra poco vedremo.
Nel frattempo però, constatiamo che gli inchini di cui sopra hanno raggiunto il loro scopo. Lo studio infatti ha trovato rapidamente spazio sui media, che hanno rapidamente risolto l’equazione del secolo: Inverno freddo? Colpa dell’estate troppo calda. Traduzione: se fa freddo è colpa del global warming.
Questo, in effetti, è il messaggio che alla fine traspare. Dal momento che il trend delle temperature invernali non rispetta le previsioni, deve esserci qualcosa che lo condiziona. Quel qualcosa gli autori lo identificano in un eccesso di calore assorbito durante i mesi estivi, che a sua volta si traduce in un eccesso di precipitazioni nevose alle alte latitudini in autunno. Questa copertura nevosa forza il segno dell’Oscillazione Artica verso il territorio negativo, cioè condizionerebbe i pattern barici in area atlantica, favorendo le discese di aria polare continentale (che è la più fredda in assoluto) o addirittura artica verso le medie latitudini nei mesi invernali, cioè producendo appunto inverni rigidi.
Dal punto di vista dinamico il ragionamento fila. Il segno dell’AO è in effetti un tracciante dell’orientamento medio dei pattern atmosferici nell’emisfero nord. E a ben vedere, non solo i recenti inverni molto rigidi (2009-2010 e 2010-2011) sono stati caratterizzati da abbondante copertura nevosa autunnale e AO negativa, ma quello in corso (2011-2012), sin qui piuttosto mite, che ha invece visto una copertura nevosa autunnale molto scarsa, è stato segnato da AO permanentemente positiva.
Dunque ci siamo? Il freddo viene dal caldo? Beh, si, ma con una considerazione da fare che potrebbe risultare decisiva. Quello che gli autori hanno descritto – ma non lo hanno detto – è un feed-back negativo che presuppone la seguente catena causale:
- Le temperature più elevate si traducono in aumento del tenore troposferico di vapore acqueo, il principale gas serra, il che dovrebbe spingere ancor più in alto le temperature richiamando altro vapore dagli oceani che sono una riserva inesauribile di tale gas (per inciso si ricorda che il fenomeno globale con maggiore capacità di arricchire di vapore acqueo la troposfera è ENSO – El Nino, il che giustifica il balzo verso l’alto delle temperature globali in coincidenza con tale evento periodico – l’anno più caldo del XX° secolo, il 1998, è un anno di El Nino).
- Tuttavia a questo punto aumentano le nubi ed il vapore in eccesso viene liberato attraverso le precipitazioni alle latitudini medio alte. Tali precipitazioni sono soprattutto in forma nevosa per cui aumentano l’albedo planetario liberando ulteriormente il pianeta dell’energia in eccesso e facendo così diminuire le temperature.
- La diminuzione delle temperature produce un cambiamento di fase di AO (e dunque di NAO che di AO è la manifestazione sull’area Euro-Atlantica) che agisce da amplificatore propagando ad una vasta porzione dell’emisfero Nord l’anomalia negativa.
Davvero un bel marchingegno, tipico di un sistema che dispone di robusti e per molti versi ancora ignoti meccanismi di autoregolazione, fatto questo a cui ci richiamano spesso autori non ortodossi come Spencer, Christy e Lindzen.
Le due figure sotto vengono da climate4you.com e rappresenta le temperature alla latitudine 70-90°N nel periodo 1900-2011. Oltre ad essere evidenti le discontinuità di inizio e fine periodo, si nota anche che dai primi anni del secolo anche lassù il global warming è latitante. Questo ipotetico meccanismo di autoregolazione quindi, spiegherebbe come mai nonostante il forcing antropico sia stato continuo, le temperature abbiano subito le oscillazioni che sappiamo. In pratica la correlazione tra temperature e CO2 è positiva per meno del 50% del periodo in cui il forcing è stato al massimo.
Sicché, una volta assorbite dal testo le considerazioni in materia di riscaldamento globale, quel che resta è una interessante trattazione delle dinamiche di medio periodo e un ancor più interessante spunto per le previsioni stagionali. Infatti gli autori hanno provato a forzare i modelli di previsione stagionale per l’inverno con l’estensione della copertura nevosa autunnale, ottenendo dei risultati decisamente soddisfacenti.
Questo aspetto, però, i media non lo hanno notato. Poco male, sappiamo che gli inverni dovranno essere sempre più miti, la neve sempre meno abbondante e le estati sempre più bollenti. Oppure no?
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NB: un sentito ringraziamento a Luigi Mariani per l’irrinunciabile contributo anche a questo post.
La relata’, unica e inconfutabile, e’ che tutto cio’ che ruota itorno al Global Warming Antropogenico, e’ servito solo per creare un pauroso quanto enorme giro d’affari a livello mondiale . perpetrato mediante la compra-vendita di CO2, certificati verdi e roba simile. Tutto qua!Questi personaggi, che noi pensavamo fossero scienziati, hanno lucrato sulla fiducia che noi riponevamo nei loro confronti e nei confronti del loro operato.Ora, semplicemente, i nodi stanno venendo al pettine.E quando, tra qualche anno, la gente si rendera’ conto che invece che al Global Warming assisteremo ad un Global Cooling, allora per queste persone sara’ meglio che qualcuno abbia inventato il teletrasporto. Non oso immaginare che fine faranno!
@Bernardo
Nessuna fine, questi presagi li lasciamo volentieri agli esperti di prognosi centenarie.
gg
Articolo per me molto interessante con argomenti altrettanto convincenti. In merito, parlando di copertura nevosa e feed-back, avrei una domanda, o meglio una curiosità. Nel caso fosse ingenua, o poco chiara, chiedo scusa in anticipo. Dunque, considerando le precipatazioni nevose e successivo scioglimento (…e successive precipatazioni) il meccanismo con cui la superficie cede calore all’atmosfera non è solo per mezzo dell’IR ma anche del calore latente. In un certo senso, non importa quanta CO2 c’è in atmosfera, quello che conta è quanta neve si scioglie (calore latente che la superficie terrestre cede) e quanta se ne forma (calore latente che l’atmosfera acquisisce). A questo punto, l’aumento delle precipatazioni nevose così come descritto nel lavoro di Coehn, non sarebbe di per sè un feed-back negativo, rispetto alla forzante CO2, indipendentemente dall’aumento di albedo? Da un altro punto di vista, è come se nel famoso schema Trenberth-Kiehl aumentasse il valore associato alla freccia del calore latente a scapito del calore sensibile e dell’IR.
Cerco di riassumere i termini della questione:
1) quando acqua passa a vapore da acqua liquida (per evaporazione) o drettamente da ghiaccio/neve (per sublimazione) assorbe energia (2450 J per grammo evaporato e 2783 J per grammo sublimato). In questo modo energia viene trasferita dalla superficie all’atmosfera.
2) I processi inversi di condensazione e/o ghiacciamento del vapore che hanno luogo all’interno delle nubi liberano energia (energia che magari proviene dal terreno sottostante o magari ha viaggiato per migliaia di km da sud verso nord trasportata dai venti) contribuendo così a determinare la forma del profilo termico verticale che a sua volta è elemento chiave per i processi di convezione profonda che regolano gli scambi di calore sensibile e latente fra la superficie e lo strato emittente.
3. quando c’è neve al suolo il flusso il calore sensibile fra suolo e atmosfera è ridottissimo e così pure penso quello di calore latente, tant’è vero che lo sviluppo convettivo su superfici innevate è ridotto ai minimi termini.
4. A proposito del punto 3 occorre tenere anche conto che la neve è un ottimo coibente che isola il suolo bloccando i flussi di energia verso l’esterno.
Pertanto non posso che convenire circa il fatto che la presenza di neve esercita un feed-back negativo sulle temperaure non solo per motivi di albedo ma anche perchè in sua presenza i flussi di calore sensibile e latente verso l’atmosfera sono drasticamente ridotti.
… qui parlo di sensibile + latente in quanto sempre di energia si tratta, e qui come traspare spesso dai lavori del prof. Roger Pielke Sr. bisognerebbe ragionare in termini di temperatura equivalente (alias “moist entalpy) anzichè di temperatura e basta -> si veda ad esempio:
– Fall, S., N. Diffenbaugh, D. Niyogi, R.A. Pielke Sr., and G. Rochon, 2010: Temperature and equivalent temperature over the United States (1979 . 2005). Int. J. Climatol., DOI: 10.1002/joc.2094.
http://pielkeclimatesci.wordpress.com/files/2010/02/r-346.pdf
– Davey, C.A., R.A. Pielke Sr., and K.P. Gallo, 2006: Differences between near-surface equivalent temperature and temperature trends for the eastern United States – Equivalent temperature as an alternative measure of heat content. Global and Planetary Change, 54, 19.32
http://pielkeclimatesci.wordpress.com/files/2009/10/r-268.pdf
Luigi Mariani
Grazie. E’ sempre un piacere leggere le sue risposte, così chiare.
dal 1 febbraio 2012 dalle 11 alle 12 torna il programma editoriale curato da alessandra dedicato al meteo e al clima..” METEO THE BEST”
Nessuna preoccupazione, adesso viene fuori l’HadCRUT4 che mostrerà un aumento delle temperature dove prima non ce n’era. Questo risolverà tutto (o forse no).