Calma, non è di economia che parleremo oggi, benché sia ormai palese che nelle sedi negoziali, come ad esempio quella che si sta smantellando a Durban, più che di clima si parli di denaro. Il bilancio, nella fattispecie, è quello radiativo, cioè quel che risulta, in termini di riscaldamento del Pianeta, da una eventuale variazione del rapporto tra energia entrante in forma di radiazione ad onda corta e energia uscente in forma di radiazione infrarossa.
Lo spunto viene da Nature, ovvero da un editoriale di recente pubblicazione con il seguente titolo:
Three-quarters of climate change is man-made.
Di questa pubblicazione abbiamo avuto notizia dal blog di Roger Pielke sr, che solitamente ha un occhio molto attento alle novità in ambito scientifico. Questa, nella fattispecie, è una novità derivata, perché l’editoriale in realtà è una descrizione di un lavoro di recente pubblicazione su Nature Geoscience:
Anthropogenic and natural warming inferred from changes in Eart’s energy budget.
In questo studio, partendo da una analisi del bilancio radiativo portata a termine nel 2009 in un’altra pubblicazione, gli autori attribuiscono al forcing antropico, soprattutto CO2, la maggior parte della responsabilità del riscaldamento occorso sul Pianeta a partire dalla metà del XIX secolo, ovvero dalla fine dell’era pre-industriale. Inoltre, assegnano un ruolo determinante ad un’altra componente delle attività umane, la produzione di aerosol, che avrebbe secondo loro inibito una parte del riscaldamento. In sostanza gli autori affermano di aver voluto seguire una strada diversa da quella percorsa normalmente dagli studi di attribuzione. Piuttosto che utilizzare complessi modelli di simulazione climatica, hanno utilizzato un modello semplificato in cui sono comunque inseriti diversi fattori di forcing, lo hanno fatto girare molte volte e hanno analizzato gli output che meglio riproducevano il riscaldamento superficiale e il calore assorbito dagli oceani. Fissati questi parametri, hanno fatto girare il modello con i singoli forcing, cercando di definire in questo modo il peso di ognuno di essi.
Naturalmente, lo capiamo rapidamente dal titolo dell’articolo su Nature, il forcing più ‘pesante’ è risultato essere quello antropico. La forzante solare – in termini di radiazione totale incidente – è giudicata non significativa. Degli aerosol abbiamo detto e, infine, alla variabilità naturale, che comunque essi definiscono come fortemente sottostimata dai modelli di simulazione, essi assegnano una bassissima probabilità di aver avuto un ruolo determinante nelle dinamiche del riscaldamento.
Tutto questo, ancora una volta naturalmente, appare essere una conferma, per di più avvalorata dall’impiego di un metodo alternativo, di quanto si è già più volte letto in termini di attribuzione del riscaldamento.
Siamo di fronte dunque alla parola fine del dibattito AGW sì, AGW no? Non credo, e non lo crede neanche Roger Pielke sr, che solleva un certo numero di obiezioni alle conclusioni cui giungono questi ricercatori.
In primo luogo il metodo. Le dinamiche del bilancio radiativo che gli autori hanno fatto proprie, provengono come detto da uno studio del 2009. In questa analisi, non si fa uso di modelli di simulazione, è vero, ma si impiega un modello di trasferimento radiativo. Impiegare dunque dei modelli per separare i forcing e poi andare a definire il peso di quei forcing su altri modelli è un ragionamento circolare, perché quei modelli non contengono tutti i processi, ma solo quelli noti, o quelli che si è assunto che debbano avere un ruolo dominante. E infatti (seconda obiezione), dalle recenti dinamiche del riscaldamento, ovvero dal mancato riscaldamento sia della tempertaura media superficiale sia delle temperature di superficie degli oceani, sia del contenuto di calore deglo oceani – tutti con trend piatto o quasi su base decadale – appare evidente che ci sono delle variazioni naturali decadali o multi decadali del forcing radiativo che hanno un’ampiezza superiore a quella da essi stimata. Quanto al ruolo degli aerosol, e giungiamo alla terza obiezione di Pielke sr, il ruolo che essi hanno avuto, possano ancora avere o possano avere in futuro, è decisamente meno chiaro e definito di quanto asseriscono gli autori. Per fare un esempio, se in qualche modo l’abbondante concentrazione di aerosol che avrebbe inibito una parte del riscaldamento nel secolo scorso coincide con le osservazioni, la diminuzione di questa concentrazione avvenuta e documentata dei tempi recenti avrebbe dovuto dare il via a una potente prosecuzione del riscaldamento, cosa che non è avvenuta. Se nella fattispecie è ora intervenuta una fase in cui la variabilità naturale è più forte, tanto da sostituirsi agli aerosol nell’inibire il riscaldamento, si torna ad una evidente sottostima di questa variabilità, che non è dato sapere per quale motivo sarebbe rimasta sopita mentre CO2 e aerosol si contendevano la scena nel secolo scorso.
Ad ogni modo, è pur vero che qualora la loro analisi dovesse essere corretta, scrive ancora Pielke sr, in tempi più o meno brevi dovremmo vedere il riscaldamento globale tornare a ruggire, cioè netto aumento delle temperature medie superficiali globali, ancor più netto aumento delle temperature di superficie del mare (che per inciso sono stabili da quando esiste un sistema omogeneo e affidabile di misurazione) e netto aumento del contenuto di calore degli oceani (anch’esso stabile sempre da quando lo si misura in modo omogeneo).
Sicché, attribuire in questo modo in via definitiva la gran parte del riscaldamento alle attività umane ha i suoi pregi dal punto di vista pratico, più di quanto non lo abbiano le previsioni di disfacimento climatico su scala secolare. Dal momento che le sopracitate attività continuano indisturbate, benché ci sia recentemente accordati circa la necessità di arrivare ad un accordo perché queste possano essere in qualche modo modificate possibilmente in un futuro prossimo ma non troppo, sarà relativamente semplice, ovvero inevitabile, verificare se questa attribuzione è sensata. Basta vedere cosa accade.
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