Perfetto, oggi è il giorno di chiusura della conferenza sul clima a Durban. Già dalle prime ore dell’alba, i media italiani facevano rimbalzare la notizia che l’accordo fosse stato raggiunto. Singolare la posizione dei media italiani (solita eccezione Il Foglio che ne ha scritto in abbondanza) che, per ben quindici giorni, hanno ignorato questa conferenza. E’ come il tifoso ormai stanco e pigro che guarda la partita della propria squadra del cuore, soltanto alla fine, a risultato consolidato.
E molto spesso, così facendo, si perde il senso di quanto è accaduto. Prima di farci travolgere da chi urla al successo, o viceversa chi urla all’insuccesso, vorremmo in questa sede analizzare con voi le ultime fondamentali 24 ore, posto che noi di CM è ben quindici giorni che stiamo seguendo in tempo reale la conferenza di Durban. La lettura è piuttosto lunga, ma per sapere come è andata a finire, il consiglio è di non saltare alle ultime righe, bensì di leggere tutto.
Torniano a ieri pomeriggio. Tra i banchi dell’aula della conferenza era iniziata una maratona a tappe forzate per apporre la firma dei paesi su un qualche tipo di trattato. In quella fase il pessimismo era alle stelle, in quanto nonostante tutti fossero presi dalla foga di fare qualcosa, gli USA continuavano a porre il veto su qualsiasi tipo di trattato legalmente vincolante. I giochi sembravano fatti, al ribasso. D’altro canto, India e Cina ancora non avevano sciolto il nodo sulle emissioni dei paesi in via di sviluppo: per loro valgono le emissioni pro capite, o quelle totali?
Ad ogni modo, quale testo era in discussione in quella fase? Si discuteva su un testo base proposto dall’UE che vincolasse legalmente tutti i paesi emettitori a ridurre le emissioni di gas serra. Le tempistiche prevedevano che il “Mandato di Durban” entrasse in vigore dal 2015. Diciamo che l’Europa in quell’occasione ha puntato davvero in alto.
Ed ecco che l’Europa ci mette nuovamente il suo zampino, minacciando a destra e a manca proteste di tutti i tipi, sebbene alle 22:00 di ieri sempre più paesi si stavano ribellando ai vincoli troppo stretti posti dalla bozza europea.
La drammaticità del momento emerge tutta dalle parole del primo ministro sudafricano, Maite Nkoana-Mashabane:
Adopt this document as the Durban Outcome… the world is looking to you, the world awaits
In altre parole, invita i 192 paesi partecipanti a sottoscrivere il testo come “Il Risultato di Durban”, perchè il mondo guarda e aspetta. Insomma, da un lato c’è l’esigenza del Sud Africa di non fare brutta figura (per non essere associati alla figuraccia di Copenhagen, per esempio), ma dall’altro c’è un mondo che aspetta soluzioni e risoluzioni sul tema del clima. Ovvero, per dire le cose come stanno, tanto ormai ci siamo abituati: non è accettabile per nessuno vedere organizzati questi circhi climatici e mediatici senza che essi producano qualsivoglia risultato. E’ semplicemente inaccettabile, sebbene forse sarebbe anche ora di ripensare il circo dalle fondamenta. Perchè, da che mondo è mondo, la fretta è cattiva consigliera.
Spostiamoci alla mezzanotte di ieri.
India e Cina non erano affatto contente dei troppi termini vincolanti: “Trattato”, “Obblighi” eccetera, termini troppo forti per i delegati dei due giganti asiatici. Piuttosto proponevano un testo in cui si parlava di “strumenti legali” per ridurre le emissioni di gas serra, a partire dal 2020. L’Europa e i piccoli atolli del Pacifico non ci stanno a questo gioco al ribasso e con il solito tono apocalittico, Connie Hedegaard ci fa sapere:
We do not ask too much of the world all we ask is that all will be legally bound. Science tells us we are already late
In italiano: “Non stiamo chiedendo troppo alla gran parte del mondo, quello che chiediamo è un trattato che vincoli legalmente. La scienza ci dice che siamo già in ritardo”. Ma forse siamo ancora in tempo per non devastare definitivamente l’economia globale, chi lo sa, punti di vista.
A ruota, gli USA si sono proclamati favorevoli allo “strumento legale” proposto da Cina e India, ma la sostanza è che questi ultimi due non vogliono che vengano scaricati su di essi troppi costi. Lo dicono a chiare lettere: ridurre le emissioni costa e questo costo soffoca lo sviluppo dell’economia. E se lo dicono loro, prima o poi bisognerà che qualcuno gli creda sebbene, mentre questi paesi crescono a due cifre o quasi, il mondo occidentale arretra. Se si preoccupano dei costi paesi rampanti, perchè mai si chiedono in molti, non dovrebbe essere una preoccupazione per noi?
I delegati indiani hanno successivamente rivelato di essere stati intimiditi nei corridoi al fine di cancellare la proposta di “strumenti legali” al posto della definizione di “legalmente vincolante”. Ma l’India ha successivamente detto, in conferenza stampa, che non vuole fare la parte del capro espiatorio nè di essere additata come la causa del fallimento (un primato che non vorrebbero sottrarre ai vicini cinesi).
Vale la pena mettersi nei panni dell’India, quando pone il problema di firmare un trattato (vincolante) ma in bianco: i dettagli dei vincoli infatti arrivano sempre dopo la firma. E sulla base di questa firma in bianco subordinare l’esistenza di 1,2 miliardi di indiani a chissà quale tipo di vincolo. Davvero troppo.
Ciliegina sulla torta, il Venezuela che urla alla farsa.
Questa mattina allora, come mai si grida al successo? Ve lo raccontiamo.
Ad un certo punto della notte, è stato raggiunto un accordo (come non si sa). Il testo (ci riserviamo di leggerlo meglio nei prossimi giorni) in prima istanza prolunga la durata di Kyoto. Quest’ultimo, come ben sapete, sarebbe terminato nel 2012, adesso avrà una durata aggiuntiva di 5 anni. Ovviamente questo prolungamento vale solo per i paesi già inclusi nel trattato, quindi non troviamo nè India, nè Cina, nè Brasile mentre gli USA non l’avevano ratificato. In un documento separato (attenzione sì, separato), i paesi in via di sviluppo si obbligano (non vincolano) a firmare un trattato legalmente vincolante in futuro. Insomma, già gli analisti ci raccontano che questo tipo di accordo potrebbe essere aggirato in mille modi. Un aspetto positivo probabilmente c’è ed è il tentativo quasi riuscito di ricucire le posizioni distanti tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Tale dicotomia, pur sembrando logica a Rio, ha mostrato negli anni tutta la sua influenza negativa sugli esiti delle successive conferenze climatiche. Il nodo è sempre stato quello, creando due sponde la palla ha continuato a rimbalzare in modo interminabile, da una parte all’altra.
Nel testo principale inoltre, si impegnano i paesi occidentali a creare un fondo da centinaia, se non migliaia di miliardi di dollari per sostenere la decarbonizzazione delle economie emergenti (si è parlato di un fondo da 1600 miliardi di dollari). L’output a regime dovrebbe essere di circa 100 miliardi di dollari all’anno, tenendo conto che oggi facciamo fatica a raggiungere il livello dei 10 miliardi all’anno.
In ultima analisi, è stato raggiunto un accordo? Sì. Verranno ridotte le emissioni serra? No.
A voi le riflessioni.
Per rispondere al quesito che dà il titolo al post, credo sia ancora troppo presto. Ho l’impressione che, pur di andarsene da Durban, i vari rappresentanti fossero disposti a firmare tutto ciò che gli veniva proposto a condizione che non li vincolasse legalmente. Oggi ho letto sul sito dell’ANSA che il Canada ha deciso di uscire dal trattato di Kyoto. Credo sia solo la prima delle numerose defezioni che si avranno nel corso dei prossimi anni. La Cina e l’India si trastullano tra emissioni pro-capite ed emissioni globali, gli USA non ci pensano minimamente a entrare nel trattato, il Canada si sfila, resta l’Europa. Che facciamo, ci carichiamo tutto noi sulle spalle? Non credo proprio. Per il semplice fatto che, ormai, stiamo raschiando il fondo del barile. Non c’è più trippa per gatti. Fra qualche mese cominceremo a sentire, anche dalle nostre parti, dei distinguo, dei ma, dei però, dei se e, piano, piano verrà messa la sordina alle politiche di mitigazione (visto anche l’andamento disastroso del carbon trading). In questo che sto scrivendo non vi è nulla di cui rallegrarsi. Alla CO2 (sia o non sia la causa del GW) sono collegati tanti altri fattori inquinanti. Se abbassiamo la guardia nei confronti della CO2, lo faremo anche nei riguardi di altri pericolosissimi agenti inquinanti. In tempi di carestia, però, non si va tanto per il sottile.
Nel frattempo comincio a vedere che qualche autore dei rapporti IPCC si sta convincendo che la battaglia è persa. Cominciano ad apparire libri (la rubrica di recensione di “Le Scienze” di ottobre ne parla brevemente) che ipotizzano scenari in cui la mitigazione non ha avuto successo. Nel 2050 il GW, sulla base di questi scenari, ha reso accessibili e vivibili le regioni del nord del mondo e le riserve di gas metano celate nel sottosuolo di queste regioni e dell’Oceano Artico (sgombero dai ghiacci per buona parte dell’anno); la popolazione mondiale vive sempre di più all’interno di megalopoli la cui principale fonte di energia è il metano; le campagne sono sempre più spopolate. In parole povere l’uomo convive con temperature sempre più elevate.
Personalmente non ho grande fiducia in questi scenari: ho abbastanza anni per rendermi conto che tutte le previsioni fatte dai vari “futurologi” si sono rivelate, tranne qualche eccezione, delle pie illusioni. Il mondo, infatti, è evoluto in modo del tutto diverso da quanto si ipotizzava 40 anni fa. Sarebbe, però, auspicabile provare a disegnare delle strategie per sopravvivere in un mondo più caldo (ammesso e non concesso che sarà così) piuttosto che svenarsi in cerca di utopiche soluzioni che vincolino legalmente le Nazioni. Se non si riesce a mettere rimedio a delle guerricciole di tipo locale, come si può immaginare di imporre a miliardi di persone uno stile di vita che faccia a meno del carbonio?
Metto le mani avanti: non sono un sostenitore del tanto male, tanto peggio; non sono talmente egoista da anteporre il mio interesse a quello dei miei figli o dei miei nipoti; non voglio che il nostro mondo si autodistrugga; vorrei che anche in futuro i nostri figli e nipoti potessero godere delle stagioni, della natura e del suo eterno divenire. Credo, però, di conoscere gli esseri umani. E per quel poco che li conosco non mi ispirano molta fiducia. Credo di essere solo molto realista.
Ciao, Donato.
dall’articolo:
[ per loro valgono le emissioni pro capite, o quelle totali? ]
a parte la Cina, che ha la popolazione che sappiamo, e quindi [ il conflitto di ] interesse a imporre la logica del pro-capite, anche l’India ha tutto l’interesse a imporre la logica del pro-capite, visto che la sua crescita demografica l’ha portata dai 500 milioni del 1965 al miliardo del 1999, e sempre più su:
http://it.wikipedia.org/wiki/File:India-demography.png
L’India del 1965, se avesse emesso come ora, avrebbe avuto un pro-capite più che doppio di quello attuale. Insomma, siamo all’evangelico “crescete e moltiplicatevi!”, che, se crescerete di numero più velocemente che con le emissioni, “salverete il pianeta” (secondo loro) visto che, pur emettendo in totale di più, le emissioni pro-capite diminuiranno, e questo sarebbe il bene del pianeta…
Da scettico blu continuo a non essere d’accordo, ma a questo porta la logica del procapite, far più figli, farne tanti, perché se fosse vero che un eccessivo aumento di emissioni porterebbe ad un punto di non ritorno, questo “dovrebbe” essere raggiunto, per questioni di etica. Non fa niente che l’etica cozzi contro le loro stesse teorie.
Continuo a domandarmi, in tutto questo, se questi davvero ci credano a quel che dicono, e ho molti dubbi. Non per niente sono uno scettico 🙂
E questo non è il solo punto in cui noto profonde contraddizioni in quel che sostengono gli ambientalisti…potremmo parlare del buco dell’ozono, degli aerosol e via dicendo, e già mi aspetto l’obiezione di qualcuno disincantato “ma davvero ti aspetti coerenza dagli ambientalisti ? Che ingenuo…!”.
Secondo me.
Tutto cambia affinché nulla cambi. Per dirla con un altro detto “Il cetriolo gira, gira … ecc. ecc.”
Morale della favola noi europei ci siamo vincolati per altri cinque anni, il resto continua a fare il bello ed il cttivo tempo. Per Cina, India, ecc. è stato un successo, per noi: boh!
Ciao, Donato.
sempre più convinto che una serie TV su questi mannelli climatico-politico sarebbe un successo
Commenti al termine dei lavori di Durban, Nnimmo Bassey, presidente dell’Associazione Amici della Terra:
E’ bello vedere come certe cifre siano sempre date dopo un calcolo preciso. Una volta la retorica della disuguaglianza in cifre era 20/80, ora è 1/99. Vediamo chi è il primo che userà i decimali.