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Tibet e Global Warming, quando si dice l’isolamento

Oggi facciamo un esperimento, anticipiamo le critiche che da scettici impenitenti quali siamo, ci saranno rivolte in relazione a quanto sto per raccontarvi.

  • Il Tibet è climaticamente isolato.
  • I dati proxy provenienti dagli anelli di accrescimento degli alberi presentano grossi problemi di rappresentatività.
  •  La Cina ha tutto l’interesse a smontare l’ipotesi dell’AGW, per cui quanto viene da lì è da prendere con le pinze.
Sono tutti argomenti validi e condivisibili, ma
  • L’isolamento climatico del Tibet vale per qualunque altro luogo del Pianeta. Semplicemente ricostruire le temperature globali con dati di prossimità che vengono da un’area relativamente ristretta non è il massimo. Ma è anche quello che succede in tutte le ricostruzioni paleoclimatiche.
  • I proxy dendrocronologici soffrono del problema della divergenza, cioè possono non essere rappresentativi, in particolare per le temperature elevate. Però dato che oltre a costituire la gran parte dei dati paleoclimatici disponibili (nel senso che non c’è molto altro in giro), sono anche quelli su cui si basano gli studi più catastrofici che la letteratura climatica ha visto di recente, se per una volta dicono qualcosa di diverso è giusto tenerne conto, seppur con il beneficio d’inventario.
  • Ora l’aspetto deontologico. E’ vero, la Cina ha tutto l’interesse a smontare l’ipotesi AGW. Questo interesse però dovremmo averlo tutti, nel senso che se un giorno dovessimo scoprire che le cose stanno diversamente da come ce le racconta il mainstream scientifico, mi dispiace per i mainstreamer, ma sarebbe il caso di stappare lo champagne. Se come ci dicono sempre si deve aver fiducia nell’integrità degli scienziati, non si possono fare distinzioni in base alla provenienza delle informazioni. Certo, i più puri solleveranno il sopracciglio nel constatare che nell’articolo di cui parleremo tra poco le parole ‘global warming’ compaiono una sola volta e sono riferite alla ciclicità del sistema climatico, l’aggettivo ‘antropico’ non compare proprio e, udite udite, non ci sono neanche i gas serra.

Decisamente in controtendenza questo nuovo lavoro:

Amplitudes, rates, periodicities and causes of temperature variations in the past 2,485 years and future trends over the central-eastern Tibetan Plateau [Chinese Sci Bull,]

Vediamo di cosa si tratta. I più scaltri avranno già capito, è una ricostruzione delle temperature. Il periodo in esame è decisamente lungo, oltre due millenni e mezzo. I dati di prossimità provengono dagli anelli di accrescimento degli alberi.

Il risultato non è meno in controtendenza della forma: nelle serie si individuano numerose ciclicità con ampiezza variabile dal medio al lungo al lunghissimo periodo, il rateo di aumento delle temperature del recente passato non solo non è ‘unprecedented’, ma non è neanche quello più accentuato della serie, avendo un precedente che risale al terzo secolo DC.

Figure 5 Prediction of temperature trends on the central-eastern Tibetan Plateau for the next 120 years. Blue line, initial series; orange line, calibration series, 464 BC–834 AD; purple line, verification series, 835–1980 AD; red line, forecasting series, 1980–2134 AD.

Ma la bomba arriva alla fine. Gli autori, non avendo affrontato in alcun modo il tema in chiave riscaldamento globale, gas serra, catastrofe climatica etc etc, ma essendosi concentrati sulla ciclicità degli eventi che l’analisi dei proxy ha man mano portato alla luce, proiettando questi cicli nel futuro, asseriscono di attendersi un periodo di consistente raffreddamento addirittura fino al 2068, prima di un nuovo riscaldamento per i vent’anni successivi.

Le cause dei periodi caldi? La sovrapposizione della fase ascendente o di picco di cicli di diversa ampiezza. Lo stesso, ma con segno opposto, per i periodi di raffreddamento.

Figure 4 Decomposition of the main cycles of the 2485-year temperature series on the Tibetan Plateau and periodic function simulation. Top: Gray line, original series; red line, 1324 a cycle; green line, 199 a cycle; blue line, 110 a cycle. Bottom: Three sine functions for different timescales. 1324 a, red dashed line (y = 0.848 sin(0.005 t + 0.23)); 199 a, green line (y = 1.40 sin(0.032 t – 0.369)); 110 a, blue line (y = 1.875 sin(0.057 t + 2.846)); time t is the year from 484 BC to 2000 AD.

E ora, qualcosa che farà venire mal di pancia a qualcuno. Curiosamente, tutti i periodi freddi coincidono con fasi note di scarsa attività solare in termini di macchie solari, mentre il ciclo più lungo individuato – quasi millenario – sembra essere in fase con le ricostruzioni della radiazione solare.

Beh, ora che abbiamo capito di cosa si tratta possiamo anticipare un’altra critica standard per questo genere di approccio. Finché non si avrà un’dea del meccanismo fisico che sottostante a queste ciclicità, che  per esempio sembrano avere un’origine piuttosto prossima a quanto discusso da Nicola Scafetta nel suo paper più recente, queste ipotesi sono classificate nella categoria ‘giocare con i numeri’. Tuttavia, se la ciclicità continua e le temperature gli vanno dietro, in termini di previsioni sulla temperatura sapere perché questo accade non sarà così importante. Da notare che gli autori concludono ribadendo la loro fiducia nelle ciclicità di medio e lungo periodo e assegnando invece alla circolazione atmosferica (chi lo avrebbe mai detto!) il ruolo dominante nelle variazioni a breve termine.

Già, la circolazione atmosferica. Ancora curiosamente, è proprio di questi giorni la pubblicazione di un articolo sul magazine dell’UCAR in cui si afferma piuttosto candidamente che alcuni pattern atmosferici come le configurazioni di blocco, cioè i più importanti, sono soliti lasciarsi alle spalle serie piuttosto lunghe di record meteorologici, come quelli che al giorno d’oggi si usa attribuire frettolosamente ai cambiamenti climatici. Nello stesso articolo, si spiega anche che i modelli meteorologici fanno molta fatica a prevedere l’insorgere di queste configurazioni, mentre quelli climatici ne sottostimano pesantemente la frequenza di occorrenza, di qui l’impossibilità di trarre da questi sistemi di simulazione delle informazioni utili per valutarne eventuali variazioni.

Volendo continuare a ‘giocare con i numeri’, si può dare un’occhiata anche a questa pagina, dove lo stesso genere di divertimento, che guarda caso finisce per far puntare le temperature verso il basso per le prossime decadi, è applicato alla serie CET, cioè la più lunga serie temporale di dati osservati disponibile sul Pianeta.

NB: trovate tutto anche sul sito di Jo Nova e su WUWT.

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Published inAttualitàClimatologia

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