Non sarebbe un futuro roseo comunque quello che porebbe prospettarsi in base a quanto dicono alcuni ricercatori dell’università di Southampton, ma andiamo con ordine.
La sensibilità climatica è tecenicamente intesa come reazione del sistema al variare della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Per convenzione, in questo come nella gran parte degli studi che si sono occupati di questo aspetto, compresa la modellistica climatica, il valore di riferimento è l’aumento di temperatura atteso al raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto all’era pre-industriale.
Ne abbiamo parlato in molte occasioni, la più recente appena qualche giorno fa, commentando i risultati di un lavoro appena pubblicato che identificano un clima decisamente meno sensibile di quanto definito per esempio nel 4° report dell’IPCC del 2007 che racchiudeva un po’ tutti i risultati degli studi disponibili per l’epoca.
Oggi riportiamo indietro le lancette dell’orologio, perché i ricercatori dell’universtà di Southampton, utilizzando un dataset di temperature superficiali del mare e di temperature polari e confrontandole con una recente ricostruzione del bilancio radiativo, tornano a confermare un livello di sensibilità climatica piuttosto alto, cioè a prospettare, per un futuro raddoppio della CO2 un aumento delle temperature medie superficiali globali da 1,7 a 5,7°C, con valore medio più probabile che va da 3,1 a 3,9°C.
Non proprio una bella notizia. Lo studio, (la prima firma è Eelco Rohling), di cui però non sono riuscito a trovar traccia fatta eccezione per il press release dell’università, dovrebbe essere stato presentato in una delle sessioni dell’annuale meeting dell’AGU (American Gephysical Union), in corso proprio in questi giorni. Nella stessa sessione ci sarà anche James Hansen, che naturalmente racconterà che le cose stanno peggio del previsto.
Dal comunicato stampa leggiamo che gli autori nutrono grande fiducia nell’affidabilità dei risultati ottenuti, per il fatto di aver utilizzato dati provenienti da fonti uniche, evitando di confrontare dati paleoclimatici con dati osservativi più recenti. Però, non avendo visto di fatto altro che le loro dichiarazioni, non sono riuscito a capire cosa intendano quando parlano di “real world data”. Ovvero, i dati proxy sono certamente reali, come possano essere stati tradotti in temperature reali, cioè affidabili, e come la stessa cosa possa essere accaduta anche per le nformazioni relative al bilancio radiativo, cioè all’albedo, alla variazione della radiazione solare e, naturalmente, alla concentrazione di CO2, potremo saperlo solo quando lo studio dovesse essere pubblicato.
Per ora, quindi, relata refero.
Nell’abstract segnalato da C. Costa si fa riferimento alle posizioni orbitali della Terra negli ultimi 520000 anni, alle glaciazioni ed ai periodi interglaciali. L’utilizzo dei dati proxy credo sia stato obbligato. Se non ho capito male l’aspetto innovativo dello studio dovrebbe riguardare il doppio scenario: globale e zonale. In particolare il valore della sensibilità climatica globale deriverebbe, nel secondo caso, da una media di quelli zonali. La cosa che mi sembra più interessante riguarda la variabilità con la latitudine della sensibilità climatica: minore nelle regioni equatoriali, maggiore nelle zone temperate e, soprattutto, polari. Per maggiori dettagli, però, credo sia necessario leggere lo studio completo.
Questo studio, comunque, fa il paio con un altro studio pubblicato sempre dal giornale dell’AMS che dimostra che la sensibilità climatica oltre che a variare nello spazio, varia anche nel tempo http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/2010JCLI3945.1
(questo per giustificare il calore mancante di cui molti scienziati sono alla disperata ricerca).
Questa benedetta sensibilità climatica, mi sembra, diventi sempre più sfuggente per cui basare tutte le politiche di mitigazione su un parametro di tale variabilità mi lascia sempre più perplesso.
Ciao, Donato.
http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/2011JCLI4078.1?journalCode=clim
Rohling, E.J., Medina-Elizalde, M., Shepherd, J.G., Siddall,
M., Stanford, J.D., 2011: Sea surface temperature sensitivity to
radiative forcing of climate over several glacial cycles, Journal
of Climate, In Press.
Anche Hansen ieri c’ha messo del suo. Come al solito, “it’s worse than we thought”. Il bello e’ che nessuno dei partecipanti a questa assurda pantomima dove i valori salgono salgono e poi rimangono sempre le incertezze fra 1C e 6C, non hanno alcun senso del ridicolo.
I mari si alzeranno di 25 metri; si torna al Pliocene.
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2011-12-09/clima-terra-torna-pliocene-130743.shtml