I negoziati a Durban proseguono freneticamente, ma c’è qualcosa di ancora più frenetico. Da quando è iniziata la Cop17, si susseguono senza sosta allarmi climatici uno più spaventevole dell’altro. Nella sola rassegna di ieri di Science Daily hanno trovato posto questi due articoli (per favore restate seri):
- I cambiamenti climatici sono più rapidi di quanto le specie possano adattarvisi, lo scopre uno studio sui serpenti a sonagli;
- Quando fa caldo alcuni pesci possono farcela: alcune specie tropicali hanno maggiori capacità di affrontare l’aumento della temperatura dell’acqua di quanto si credesse.
Sembra evidente che i due team di ricerca non si siano parlati. Forse però non si parlano neanche i redattori di Science Daily. Non può essere che così, perché nello stesso numero si trova anche:
E di questo parliamo oggi.
Si tratta di un lavoro in pubblicazione su Environment Research Letters, scaricabile in PDF a questo link da IOPScience. L’argomento è topico: Il riscaldamento globale sta rallentando? No dicono i ricercatori. Beh, la risposta è giusta, perché in effetti non ha rallentato, si è proprio fermato. L’uso del gerundio nella locuzione ‘global warming’ non è casuale. Si intende infatti con essa un mondo che si sta scaldando, cioè qualcosa che sta accadendo. Nella fattispecie, piuttosto, la cosa è già avvenuta, ed ha smesso di avvenire circa 15 anni fa, da quando, asseriscono altri illustri ricercatori, le temperature non hanno subito variazioni significative.
Comunque, come direbbero quelli bravi, questa è speculazione, quello che conta sono i dati, proprio quelli su cui hanno lavorato gli autori di questo nuovo lavoro. Già, perché i dati non vanno solo analizzati, studiati e, se del caso, resi in forma leggibile per la consultazione, ci si deve lavorare su. Nella fattispecie, si tratta di ‘pulire’ il trend delle temperature di vari dataset dai segnali ascrivibili a elementi di forcing in qualche modo conosciuti, come le oscillazioni delle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico (ENSO), le eruzioni vulcaniche e le variazioni della radiazione solare.
Primo problema, si parla di temperatura media superficiale globale. Ammesso e non concesso che questa possa essere rappresentativa dello stato termico di un sistema le cui dinamiche vanno dalle profondità oceaniche al confine dell’atmosfera, le sue oscillazioni dipendono da una miriade di fattori, Il trasporto di calore sia latente che sensibile, la convezione a diverse scale, le infinite dinamiche della circolazione e, naturalmente, anche quelli citati poche righe più su. Liberare il segnale da questi fattori per isolarne uno e uno solo – che uno degli autori asserisce essere probabilmente di esclusiva origine antropica – non è uno scherzo e, soprattutto, tutti quei fattori interagendo tra loro sono fisiologici per il sistema. Privo di essi il sistema diviene invece patologico, alla mercé di un forcing il cui peso è tutto da definire. Ma, del resto, l’ipotesi del ruolo preponderante del forcing antropico vuole un sistema così, patologico, altrimenti non funziona.
Ma vediamo. Quella che segue è la rappresentazione grafica dell’andamento delle temperature secondo tutti i dataset analizzati dagli autori.
Per comodità, possiamo vederli anche in quest’altra forma, plottati e resi disponibili dal sito climate4you.com. La rappresentazione ha il valore aggiunto della media di tutti i dataset, una informazione che poi ci tornerà utile:
Bene, fatte le dovute analisi, agli autori, una volta eliminati dal segnale totale i contributi dei fattori ENSO, vulcani e Sole, i dataset risultano essere così:
Oppure, per una più comoda analisi totale, mediati tra loro:
Ora, c’è una bella differenza tra i grafici ‘prima e dopo la cura’, così come c’è con il grafico proveniente da climate4you.com.
Quello sotto, invece, è il grafico di uno solo dei dataset, quello dell’HadCRUT3. Non è grave che se ne guardi uno solo, gli stessi autori documentano le similarità nei risultati ottenuti dai diversi ‘gestori’ di questi dati. Ciò non stupisce, dal momento che il dataset è di fatto uno solo, quello dell’NCDC, da cui gli altri, compreso l’Hadley Centre, attingono circa il 90% dei dati. Il periodo preso in esame è più lungo, si va dal 1850 ad oggi, e la fonte è sempre climate4you.com.
Curioso, la pendenza dell’incremento delle temperature dal 1910 al 1940 è la stessa per le ultime tre decadi del secolo, dopodiché, sono arrivati i ruggenti anni 2000, in cui ci dicono che il riscaldamento sia proseguito inarrestabile, salvo essere ‘mascherato’ dall’azione di altri fattori di forcing da cui le serie possono essere ripulite. Tale inarrestabile e continuativo riscaldamento sarebbe esclusivamente ascrivibile al forcing antropico. Chissà se la stessa operazione di pulizia restituirebbe un pari andamento verso l’alto anche per il periodo 1910-1940, quando il forcing era largamente inferiore. E chissà se si riuscirebbe a tirar fuori un trend di aumento ‘pulito’ anche per i periodi in cui piaccia o no le temperature sono rimaste stabili o addirittura diminuite, proprio come per i primi dieci anni di questo secolo.
Questo ragionamento, ancora una volta potrebbe sembrare speculativo, ma se si tiene conto che per forcing antropico si intende quasi esclusivamente l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, così non è. Concentriamoci però sulle ultime decadi – periodo incidentalmente coincidente con l’inizio delle misurazioni della concentrazione di CO2 – quelle in cui tale forcing sarebbe divenuto dominante.
Lo facciamo ancora con l’aiuto di climate4you.com.
Si tratta dei dati relativi alla concentrazione di CO2 plottati rispetto alle temperature a partire dal 1958. Ai dati è sovrapposta una polinomiale dall’andamento piuttosto curioso. Dal momento che la CO2 non ha mai smesso di crescere mentre le temperature hanno subito le oscillazioni che abbiamo visto, sembra che la relazione tra l’anidride carbonica e le temperature abbia cambiato segno più di una volta, prima negativa, poi positiva e poi, nei ruggenti anni 2000, ancora una volta negativa.
Ciò dimostra che la CO2 non può essere stata il fattore dominante per l’intero periodo. Se così fosse stato, quei periodi pur brevi di 2-5 anni in cui le temperature sono diminuite non sarebbero avvenuti. E si tratta proprio di quelli in cui avrebbero dominato quei fattori dal cui forcing gli autori hanno ripulito le serie. Sicché il global warming potrebbe essere un problema manifestatosi solo dopo il 1975, dato che di lì al 1998 le temperature sono sempre aumentate. Ma se così fosse, non avremmo visto l’inversione di tendenza iniziata nel 2000. Da questa falsificazione empirica si evince che il ruolo della CO2 non può essere stato dominante, ossia esattamente il contrario di quanto affermato dagli autori.
E dieci anni sono più di due e il doppio di cinque, cioè l’inversione di tendenza inizia ad essere parecchio più significativa di quelle avvenute nelle ultime decadi del secolo scorso. Ora possono avvenire due cose. 1) Le temperature ricominciano a crescere rapidamente e confermano il forcing antropico che dunque si era solo preso una breve vacanza oppure, 2) siamo entrati in un periodo di stasi e/o raffreddamento simile a quello della metà del secolo scorso, cioè simile a quando il forcing antropico dicono che non ci fosse.
Morale: tutto quello che abbiamo visto in questo post era già disponibile e in molti casi ne abbiamo già parlato; l’unico elemento di novità è la conferenza di Durban, che evidentemente ha bisogno di carburante. In sostanza questo più che uno studio è un istant book, la cui sopravvivenza scientifica sarà appunto presumibilmente istantanea.
Sii il primo a commentare