Un report per tutte le stagioni quello appena pubblicato dall’IPCC. Nel senso che si affronta a 360° il tema degli eventi estremi, dal caldo al freddo, dalla pioggia alla siccità? Sì, ma anche nel senso che vi si può leggere tutto e il contrario di tutto.
Ieri l’Unità titolava così il suo commento: “La strage del clima impazzito“. Nel testo la sconvolgente notizia che il 95% delle perdite di vite umane avviene nei paesi poveri, mentre la maggior parte delle perdite di beni materiali – cresciuta fino a 200 mld di dollari negli ultimi trenta anni – è a carico dei paesi economicamente e socialmente più sviluppati. Leggiamo anche che tanto le vittime, quanto i danni, sarebbero causati dai cambiamenti climatici.
Ora, riguardo le vittime, nel report non c’è scritto ma nel mondo si sa e chi scrive un articolo dovrebbe prendersi la briga di controllarlo, il loro numero è stato in drastica riduzione proprio nel secolo dei cosiddetti cambiamenti climatici. Messa così si potrebbe anche pensare che i cambiamenti climatici abbiano contribuito a ridurre il numero di queste vittime, cioè che possano aver avuto un effetto positivo. Naturalmente non è così, quella che è aumentata è la resilienza, cioè la capacità di sostenere l’impatto degli eventi estremi e di recuperare in fretta dalle conseguenze.
Circa i danni, nel report c’è scritto a chiare note che la causa principale dell’aumento delle perdite economiche è stata l’aumento dell’esposizione al rischio e che questo trend di lungo periodo NON è attribuibile ai cambiamenti climatici (esattamente il contrario di quanto letto nell’articolo quindi), benché non si possa escludere che questi abbiano avuto un ruolo.
Per chi non avesse avuto il tempo o la curiosità di leggere il Summary for Policy Makers – è evidente che chi ha scritto il pezzo non lo ha fatto – è opportuno sottolineare anche che è stata introdotta, finalmente, una definizione del climate change diversa da quella in uso nei documenti dell’UNFCCC, ovvero:
[blockquote]Un cambiamento nello stato del clima che può essere identificato (ad esempio utilizzando analisi statistiche) con cambiamenti nei valori medi o nella variabilità delle sue proprietà e che persiste per un lungo periodo, tipicamente decadi o ancora di più. Il climate change potrebbe essere dovuto a processi interni di origine naturale o forcing esterni, oppure ancora a cambiamenti di origine antropica nella composizione dell’atmosfera o nell’uso del territorio.[/blockquote]
Ancora per chi non lo sapesse, infatti, secondo l’UNFCCC il climate change è tale solo se è attribuibile direttamente o indirettamente alle attività umane, generando alterazioni che si sommano a quelle di origine naturale.
Se si è sentita l’esigenza di cambiare questa definizione, forse vuol dire che questa attribuzione, con specifico riferimento a molti eventi estremi oggi non c’è. Con buona pace di chi ha scritto l’articolo.
Vorrei che certi catastrofisti meditassero a lungo e profondamente sul dato delle vittime.
Io l’avevo scritto, e mi fa piacere che l’IPCC confermi, che il maggior numero di vittime si hanno proprio nei Paesi meno sviluppati. Il progresso sarà pur servito a qualcosa, no ?
E quindi, invece di decrescere (“felicemente” !?) noi, è molto meglio far crescere anche loro, a mio parere.
E sarebbe automaticamente risolto anche il problema della sovrappopolazione, visto che appena si sistemano meglio cominciano a far meno figli, com’è naturale, visto che il numero dei figli, secondo me, è una risposta della natura (in prima approssimazione, e con tutte le riserve che volete) alla sicurezza della prole…più è a rischio, più figli si fanno.
Cosa fanno in Giappone per ridurre i rischi dei terremoti ? Costruiscono edifici con criteri antisismici.
Perché non lo facciamo tutti ? Perché costa molto, e quindi serve una economia solida, per ridurre il numero delle vittime. Ergo, più progresso, economia più solida, meno vittime, più diritti, speranza di vita maggiore…e ci avanzano anche i soldi e il tempo per qualche divertimento, e un po’ di cultura 🙂