Riccardo Cascioli raccoglie il pensiero di Uberto crescenti su “La Bussola Quotidiana“. Da leggere.
Italia, ci vuole il «geologo condotto»
«Cambiamenti climatici? Non c’entrano niente. La prevenzione? Sarebbe semplice, ma si preferisce ricostruire dopo le tragedie perché in questo modo girano più soldi». Il professor Uberto Crescenti è molto netto nei suoi giudizi a proposito della tremenda alluvione che nei giorni scorsi ha colpito Liguria e Toscana, in particolar modo la zona delle Cinque Terre, e rilancia la proposta di un “geologo condotto” che sostiene da almeno dieci anni. Docente di Geologia applicata all’Università di Chieti e già presidente della Società Geologica Italiana, Crescenti studia da una vita il fenomeno del dissesto idrogeologico italiano.
Professor Crescenti, a proposito della alluvione in questi giorni si è molto parlato di effetti dei cambiamenti climatici, di fenomeni eccezionali sempre più frequenti. Le cosa ne pensa?
E’ una sciocchezza. Questi fenomeni ci sono sempre stati. Fa parte della particolare situazione geomorfologica e climatica della nostra zona. Non è neanche intensificazione dei fenomeni. Ci siamo dimenticati dell’alluvione del 1966 a Firenze o di quella del 1951 nel Polesine? Il problema è che il nostro Paese è storicamente soggetto a fenomeni di frane e alluvioni e ci sono tantissimi studi al proposito, non certo da ieri. La prima raccolta sistematica di dati sulla franosità del territorio italiano è dell’inizio del XX secolo: il geografo Roberto Almagià riferisce in dettaglio sui fenomeni franosi accaduti in Italia tra il 1100 e il 1908.
E ovviamente non è restata un’opera isolata.
Assolutamente no. Nella seconda metà del XX secolo sono innumerevoli gli studi su questo argomento. Solo per citare i più importanti, basti ricordare l’imponente lavoro della Commissione De Marchi istituita dal governo dopo l’alluvione dell’Arno nel 1966, con il compito di analizzare i problemi relativi alla sistemazione idraulica e difesa del suolo. Il rapporto di quella Commissione prevedeva una spesa di 8.923 miliardi di lire per un trentennio a fronte di uno stato di dissesto diffuso. Poi il “Libro bianco” dell’Ordine nazionale dei geologi del 1975, un’inchiesta sulle calamità naturali promossa presso tutti gli 8.051 comuni italiani: allora ben 4mila di loro lamentavano di essere stati soggetti a frane o alluvioni. Poi, ancora, la documentata rassegna di Vincenzo Catenacci che prende in esame la situazione dal dopoguerra fino al 1990: ben 4568 territori comunali sono stati interessati da questi fenomeni, con 3488 vittime, tra cui 345 per alluvioni, 2447 per frane e 696 per dissesti idrogeologici non meglio specificati, con un ritmo medio di 6,8 morti al mese. Gli eventi più luttuosi sono quelli del Salernitano (1954), Vajont (1963) e Val di Stava (1985), rispettivamente con 297, 1917 e 269 vittime. E si potrebbe continuare ancora.
Ma a fronte di tutti questi studi, allora, non si sono mai presi provvedimenti da parte dei governi.
Non è corretto. In realtà tutti i governi hanno avuto ben presente il grave impatto socio-economico di frane e alluvioni. Per comprendere la portata del problema, basti ricordare che l’Italia, con 59 vittime all’anno per frana nell’ultimo secolo, è al 4° posto nel mondo dopo i paesi andini, la Cina e il Giappone; mentre a livello di danni – valutati in 1-2 miliardi di Euro all’anno, l’Italia è addirittura al secondo posto insieme a India e Usa, dopo il Giappone, con un rapporto danno/Pil dell’1,5 per mille. A fronte di questa situazione, dall’Unità d’Italia a oggi tutti i governi sono intervenuti con leggi, iniziative e finanziamenti. Con il passaggio poi delle competenze alle Regioni il quadro normativo si è fatto molto complesso.
Ma allora: gli studi ci sono, le leggi ci sono, perché ogni volta sembra si debba ricominciare da capo?
Il problema è che quando c’è la disgrazia tutti se ne occupano, poi quando si perde la memoria dell’evento, nessuno si occupa più della questione. Quello che invece può cambiare la situazione è un intervento costante, la gestione quotidiana del territorio. Ormai è accettato da tutti, esperti e amministratori, che la miglior difesa dagli eventi calamitosi è la previsione per la prevenzione dei loro effetti.
Eppure questo non accade…
Sì, infatti si investe ancora molto di più sul “dopo”. C’è un motivo: la prevenzione costa troppo poco, si preferisce intervenire dopo – e qui tutti sono corresponsabili – perché così girano più soldi. E oltretutto si invertono le responsabilità.
Cosa intende dire?
Quando ci sono queste calamità tutti i comuni chiedono l’intervento dello Stato, voglio i soldi per risanare, ed è sul governo centrale che si appuntano gli sguardi. Ma i veri gestori del territorio sono i comuni, è a loro che spetta mettere a bilancio il monitoraggio e lo studio del proprio territorio.
Lei da anni porta avanti una proposta precisa.
Certo, ci vuole il “geologo condotto”, a modello della vecchia figura del medico condotto. Quattro-cinque comuni possono mettersi insieme per avere un geologo, che vive sul territorio, che lo studia, che è in grado di prevedere cosa può accadere quando cadono 50 mm di pioggia, o 100, 200 e così via. Oggi, con i dati già a disposizione, e la possibilità di usare i modelli matematici, non è complicato tenere sotto osservazione un territorio e prevenire i danni più gravi, anzitutto le vite umane.
Ma pur avendo a disposizione un “geologo condotto”, si possono evitare certe calamità?
La gestione del territorio ovviamente prevede diversi livelli. Dal monitoraggio possiamo capire se c’è una possibilità di fare lavori di consolidamento, sicuramente c’è una manutenzione del territorio che è un dovere. Ricordiamo, ad esempio, che le conseguenze della alluvione di Sarno nel 1998 furono particolarmente tragiche a causa della totale mancanza di manutenzione del territorio, con alberi che hanno ostruito il naturale flusso delle acque. In altri casi, semplicemente, bisogna provvedere all’evacuazione tempestiva dei centri abitati, salvare una vita umana è più importante di tutti i possibili danni materiali. Ma appunto, per tutto questo è importante che ci sia una figura professionale capace di provvedere tutti questi dati. Sarebbe un’operazione a basso costo, ma sembra che sia proprio questo il problema.
Dai dati che lei cita, sembra che ci sia anche un problema di edificazione in luoghi a rischio.
Noi abbiamo già innumerevoli centri storici in zone a rischio. E’ ovvio che qui possiamo soltanto cercare di mitigare le conseguenze di eventuali eventi calamitosi. Il problema si pone soprattutto per i nuovi centri che vengono costruiti, e qui non ci sarebbe neanche bisogno di leggi basterebbe il buon senso. E’ ovvio che i nuovi centri dovrebbero essere edificati in zone protette. Purtroppo molto spesso le amministrazioni locali non usano il buon senso. Le faccio un esempio: il 12 dicembre 1982, lungo il versante adriatico marchigiano che da Ancona conduce a Falconara, si verificò un grandioso fenomeno franoso che coinvolse la litoranea tra queste due città per oltre 1.700 metri, e il retrostante versante del Montagnolo per circa 1.100 metri. Furono irrimediabilmente danneggiati due ospedali, la facoltà di Medicina dell’Università di Ancona, 800 abitazioni, con 3mila famiglie evacuate e grossi danni alle infrastrutture. Mi occupai personalmente del fenomeno, con un programma di ricerca finanziato dal CNR, che risultò corrispondere a un fenomeno molto antico, profondo, riattivatosi appunto nel 1982. La commissione di cui facevo parte concluse i lavori raccomandando alle amministrazioni di non utilizzare più quell’area a fini urbanistici e di procedere a interventi di bonifica superficiali che erano poco costosi. Ebbene, quelle amministrazioni procedettero in altra direzione investendo migliaia di miliardi di lire in progetti e programmi di consolidamento, come se fosse possibile fermare una frana millenaria, con periodi di ritorno secolari, legati anche alla sismicità locale. Ecco l’Italia va avanti così: interventi di consolidamento che costano cifre enormi e sono sostanzialmente inutili, invece di opere di prevenzione a basso costo e alta efficacia.
La situazione è molto più complessa di come ci viene raccontata, anzi , sembra che come ci viene raccontata sia uno dei tanti modi per evitare di capirci qualcosa.
Non che io sappia come risolvere il problema, sia chiaro! Ma conosco bene la complessità che negli anni si è creata attorno alla gestione di questi eventi.
Posto che quanto successo non sia affatto una novità per la zona, prima ancora di avventurarsi nei meandri di nuove soluzioni al problema sarebbe bene considerare lo stato di fatto ed andare a vedere cosa si doveva fare e non si è fatto e cosa non si doveva fare, ma si è fatto.
Ci sono tante competenze amministrative in questo paese ed ormai non si capisce più chi deve fare e cosa deve fare (autorità di bacino, genio civile, ormai fuso in altri enti, servizi idrologici, uffici opere pubbliche e quant’altro ad ogni livello comunale, provinciale e regionale).
Ebbene, prima di avventurarsi in nuove soluzioni, nuove leggi ecc… col rischio di prendere provvedimenti di solo respiro “politico/politichese” e che consentano alla stampa di poter scrivire che il problema è “risolto” col rischio di finire in mano ad altri interessi di parte, col rischio di complicare ulteriormente la “gestione” di questi eventi ed aumentare la quantità di carta inutile che ormai circola negli enti pubblici, ripeto, prima di tutto ciò sarebbe bene fare una bella analisi di cosa è accaduto; e non intendo una analisi tecnico idrologica!
In questi casi, infatti, il contadino di ottant’anni sa perfettamente cosa è successo idrologicamente perché l’ha già visto molte volte, ma non riesce a capire perché tutto quello che doveva essere fatto non sia stato fatto.
Il contadino di 80 anni fa non avrebbe mai fatto una strada sopra un fiume intombato.
Parole sante!!
Ciao, Donato.
Torno sul tema del geologo “condotto” per chiarire meglio il concetto. La Natura ed in particolare anche il Territorio è un vero e proprio organismo che modifica continuamente e si esprime a modo suo (terremoti, alluvioni, frane , erosioni costiere, subsidenza, vulcani, ecc.). Occorrre avere ben chiaro che l’Uomo deve tenere conto di queste attività naturali per conviverci con il minimo rischio, il che significa che bisogna saperne evitare gli effetti nocivi soprattutto ala pubblica incolumità. Se il nostro Pianeta è un vero organismo vivente, il medico di questo organismo è soprattutto il geologo, ma non solo (es. gli ingegneri idraulici), da sempre studioso della sua storia e conoscitore quindi del suo modo di comportarsi. Da qui il concetto del geologo condotto che vive con e nel territorio, ne conosce ogni ogni modo di esprimersi, ne sa cioè prevedere quelle che sono chiamate Calamità Naturali. E’ la conoscenza preventiva di queste calamità che ci difende al meglio dai loro effetti negativi, per questo bisogna conoscerle nei minimi dettagli. E’ la conoscenza capillare, quindi del territorio, con un osservatore permanente che si possono ottenere risultati finora mai ottenuti a vantaggio della pubblica incolumità. Il problema è che di ciò si parla in relazione ad eventi catastrofici, ma si fa in fretta a dimenticarli e a non tenerne conto. Il monitoraggio in continuo garantito da un tecnico, il geologo nel’occasione, è secondo me la migliore difesa dalle calamità naturali.
Dove sono i vari Ordini dei Geometri e Ordini degli Ingegneri?
Ecco, per carità, non facciamo affidamento sugli Ordini. Io questa la chiamo la “sindrome del buon sceriffo”: per risolvere un problema si spera in una persona o in un entità (il geologo condotto, o l’Ordine) che, per proprie virtù morali, entra in un sistema e lo mette a posto. E’ la stessa sindrome che porta a pensare che gli scenziati pro-AGW siano buoni, abbiano una chiara missione morale e quindi ci si deve fidare a prescindere. Ovviamente lo sceriffo buono non esiste se non nelle nostre menti, o magari in qualche raro caso isolato. Se c’è qualcosa che può funzionare, deve essere un meccanismo con feedback.
… scIenziati …
Sulla carta tutto giusto. In pratica, il geologo condotto, chi lo nomina e chi lo controlla? Perché se ce n’è uno per comune, allora intuisco che è nominato dal comune. E buonanotte. Il geologo condotto, lungi da comportarsi in modo virtuoso come descritto da Crescenti o da Fava, firmerà tutti i piani regolatori del comune. E siamo daccapo.
PS Due giorni fa ho mandato un post usando il “contattaci” a fondo pagina. Se non piace non fa niente, ma almeno fatemi sapere se l’avete ricevuto.
E’ arrivato, sì. Ci stiamo lavorando.
CG
Approfitto per segnalare che, dunque, il “Contattaci” in fondo funziona, ma il “Contact us” in cima alla pagina non so ed è un po’ fuorviante (avevo provato ad usare quello, ma ci sono ancora dei widget di esempio, tipo checkbox vuoti, ma obbligatori; insospettito che fosse ancora incompleto, non l’ho usato. Forse è meglio levarlo?).
Reply
Fabrizio, di questi giorni siamo un po’ “affogati” di lavoro.
Grazie per la segnalazione.
gg
Da Geologo non posso che concordare con il professor Crescenti. Per avere cura del nostro territorio e provare ad evitare, o almeno a mitigare gli effetti, di queste calamità basterebbe il famoso buon senso. Basterebbero un po’ di buon senso e di cultura (geologica). La geologia, soprattutto in questo ambito, non è rocket science. La conoscenza del territorio implica anche, e soprattutto, conoscenza del passato. Da questa conoscenza si dovrebbe dedurre come agire e molto più spesso com NON AGIRE. Per dirla in parole povere basterebbe guardare le mappe di frane e alluvioni storiche e definire aree in cui NON BISOGNA COSTRUIRE. Tutto qui. Ma si preferisce spendere soldi in interventi inutili e/o dannosi, per malapolitica, malaffare o per semplice IGNORANZA. E’ veroo che molte amministrazioni sono in malafede e il profitto, specialmente in Italia, spesso comanda in barba alla sicurezza e alla vita dei cittadini. E anche vero, però, che c’è una totale mancanza di CULTURA GEOLOGICA, anche la più elementare in tutta la popolazione. Abbiamo perso contatto con la nostra storia, con la nostra cultura contadina e il suo buonsenso. Ecco perchè si costruisce a due metri dai fiumi, oppure si vive su un fiume intombato e poi ci si meraviglia dei danni e ci si lamenta con lo Stato perchè non ha costruito un altro muro per difenderci.
Visto quello che stava dicendo il noto meteorologo G. (non so se si può fare il nome; mi spiace che la lettera iniziale del cognome sia la stessa del nostro buon Guidi, che ovviamente non ci entra per niente) ovvero i personaggi cui dava corda, poco fa sul secondo canale nazionale per ascolti (anche qui non so se si possa fare il nome) c’è ben poco da fare anche coi professionisti ormai.
In trasmissione è stato sostenuto che ottobre è stato un mese con temperature estive, che il Tirreno a fine estate dovrebbe avere una temperatura di 16°C (come il Mare del Nord!), che si sapeva da 15 anni che il clima impazziva e che perfino la sciroccata era un’anomalia climatica; ovviamente nessuno citava, in studio, alluvioni genovesi come 1993, 1992, 1970 ecc. Nonostante il collegamento da Genova mostrasse i cittadini che indicavano come ci fossero fior di precedenti e di lavori incompiuti, ma il conduttore li ha volutamente ignorati dicendo che non era loro compito fare di queste denunce, per poi dare la parola agli scalmanati nello studio.
Ho spento perché non sapevo se spaccare la TV o piangere per come siamo ridotti. Ero letteralmente basito dal concentrato di sciocchezze urlate e ripetute, numeri inventati e tesi assurde: neanche che, fino a 20 anni fa, vivessimo in un Eden termoregolato e ad umidità costante.
Io ho pianto perche’ non posso permettermi di ricomperare una TV.
Manutenzione del territorio= risparmiare quattrini, salvare vite, dare un lavoro stabile a moltissime persone.
Ricostruzione del territorio= buttare i soldi dalla finestra, attendere la tragedia ma…quando succede dividersi appalti fantastici.
Si’ e’ molto piu’ comodo chiedere dopo allo Stato che operare prima localmente, poi tanto la colpa e’ dell’AGW cioe’ al massimo della CO2 e ce ne andiamo a casa tutti assolti. A furia di volerci convincere di questa cosa non ascoltiamo neppure piu’ i meteo o gli ingegneri idraulici e poi finisce che crepiamo in un sottoscala perche’ non abbiamo neppure idea di cosa voglia dire la forza di un fiumazzo cementificato che torna in superficie
In Veneto, il “governatore” Zaia (non per fare propaganda politica, solo ad esmepio) ha iniziato un ambizioso piano di messa in sicurezza del territorio dopo l’alluvione dello scorso anno: la quale purtroppo ci ha svegliati da 44 anni di torpore, nei quali si pensava che il 1966 fosse stato solo un incidente di percorso (e per fortuna che il 2010, pur grave, non ha eguagliato l’evento del 1966!) Purtroppo questo piano sarà molto diluito nel tempo, data la scarsità di fondi locali (non siamo ancora un paese federale) e le attuali difficoltà del governo centrale a stanziare 2.7mld€ per una sola regione; oltre che come detto in ritardo di decenni a causa di politici che pensavano che la sicurezza idraulica fosse roba terminata con gli argini ed i canali costruiti nel passato. Per di più si annunciano già i ricorsi al TAR dei futuri espropriati, o comunque interessati da bacini di laminazione e casse di espansione. Insomma, anche con le migliori intenzioni non se ne viene fuori.
Faccio notare l’anno di riferimento, 1966, considerato il peggior scenario possibile, con super-sciroccata, tutti i fiumi in piena eccezionale ed acqua alta record di 194cm a Venezia, in un periodo in cui il riscaldamento globale era decisamente marginale.
Concordo pienamente con le conclusioni del prof. Crescenti.
“Noi abbiamo già innumerevoli centri storici in zone a rischio. E’ ovvio che qui possiamo soltanto cercare di mitigare le conseguenze di eventuali eventi calamitosi. Il problema si pone soprattutto per i nuovi centri che vengono costruiti, E QUI NON CI SAREBBE NEANCHE BISOGNO DI LEGGI BASTEREBBE IL BUON SENSO. (l’enfasi è mia, n.d.a.)”
Il buon senso. Questo sconosciuto. Molte morti potrebbero essere evitate solo ed esclusivamente facendo ricorso al buon senso. Ma di buon senso non vi è traccia, soprattutto tra i pubblici amministratori. Non è qualunquismo o “sfascismo”, ma, purtroppo, una constatazione. Ieri sera ho seguito, su RAI2, la trasmissione “Dossier”. Sono state trasmesse alcune immagini che mi hanno letteralmente sconvolto. In un filmato si vedeva chiaramente un fiumiciattolo che spariva sotto una strada ai lati della quale facevano bella mostra di se palazzi di sette-otto piani. Moderni, modernissimi. Un intero quartiere servito da una strada che è stata realizzata coprendo il letto di un torrente (che ora scorre sotto quella strada)! Ho dato un’occhiata alle luci di ingresso del torrente sotto la strada e mi sono messe le mani nei capelli. Sono ingegnere e, in questo caso, non temo smentite: in queste condizioni è del tutto normale che una strada si trasformi in fiume e semini morte e distruzione. Non servono eventi eccezionali, basta una pioggia un po’ più intensa, qualche albero trasportato dalla corrente, e la frittata è fatta. La cosa più avvilente è stato il commento del giornalista: fiumiciattoli che sono sempre stati dei rigagnoli all’improvviso si trasformano in fiumi impetuosi per colpa dei cambiamenti climatici in atto. Roba da matti! Il cambiamento climatico in questi casi è solo ed esclusivamente una foglia di fico per coprire le vergogne di una classe dirigente (politica, economica, tecnica) che ha perso il lume della ragione. Che ha smarrito il buon senso. Quel buon senso che faceva dire ai nostri antenati: che tu possa costruire una casa in riva al fiume, così viene la piena e se la porta via. (Formula di cattivo augurio, in vernacolo sannita, tradotta in italiano per essere comprensibile a tutti). E che dire di un edificio costruito a cavallo del fiume a Sestri che nel 2010 fu la causa dell’omonima alluvione e che, nonostante le dichiarazioni di intenti, sta ancora al suo posto in attesa della prossima alluvione?
L’uomo, probabilmente, ha poche responsabilità nel cambiamento climatico ma ha responsabilità immense nell’aggravare le conseguenze delle catastrofi naturali. Molti dei morti di questi giorni peseranno sulla coscienza di quegli amministratori pubblici, di quei tecnici, di quei costruttori e di quegli speculatori che hanno contribuito, in concorso tra di loro alle cose che ho descritto. Altro che casualità ed eccezionalità, altro che cambiamenti climatici. La spiegazione è una sola: malaffare e tornaconto economico.
Ciao, Donato.
Lavoro a Genova: “modernissimi” è un po’ fuori luogo, diciamo che la città paga l’edilizia dissennata voluta tra il Fascismo e gli anni ’70, quando si volle costruire a tutti i costi una grande metropoli industriale distruggendo uno dei golfi più belli d’Italia, e senza lo spazio per farlo (guarda anche, se trovi le foto, alcuni quartieri con quei palazzoni da 7-8 piani su pendii letteralmente vertiginosi). Il problema è che, negli ultimi 30 anni, quasi nulla è stato fatto per la sicurezza idraulica, ed in realtà nemmeno per migliorare la qualità della vita (infrastrutture, trasporti, parchi, sport, si basano quasi tutti ancora su ciò che fu costruito “al massimo risparmio” decenni fa). Oggi Genova è ancora in piena crisi post-industriale, ha perso 1/3 degli abitanti in 30 anni (senza immigrati penso che sarebbe ormai a 1/2) e le grandi industrie sulle quali si basava l’economia cittadina si sono ridimensionate o hanno chiuso: e il comune sembra non capire che solo con questi interventi può frenare l’emorragia economica e demografica.