Esiste in Europa, dall’entrata in vigore del “Protocollo di Kyoto”, un mercato dei “carbon credit”. Per dirla molto grossolanamente in borsa si scambiano le quote di emissione come se fossero un nuovo prodotto, una nuova “commodity”, una nuova “materia prima” di cui tutti molto probabilmente un giorno avranno bisogno. La speranza degli ecologisti (esempio: “Protocollo di Kyoto, il Wwf si schiera con il commercio di emissioni”) e della finanza “verde” sembra sia che tale borsa divenga mondiale: visto che ogni azione umana comporterà un consumo di energia e quindi un’emissione, questa dovrà essere bilanciata da “un’azione” acquistata/scambiata in borsa (da dei crediti). Un nuovo mercato enorme. A molti è stato fatto credere che la finanza era in grado di poter contribuire in modo essenziale al problema dei cambiamenti climatici, ci hanno persuaso che le banche/fondi, prima dello sviluppo tecnologico, erano in grado di aiutare la salute del pianeta.
All’epoca della entrata in vigore del “Protocollo di Kyoto”, dopo l’adesione della Russia, Roberto Della Seta, Presidente Nazionale di Legambiente:
“Quanto costeranno ai Paesi Ue i diritti di emissione per adeguarsi ai piani nazionali di assegnazione è però ancora da vedere. Quest’anno il prezzo di mercato ha oscillato sui 10 euro a tonnellata di gas serra, ma questo valore è ora destinato a crescere rapidamente, poiché il Governo russo ha più volte dichiarato di voler vendere i propri diritti di emissione tra i 70 e i 100 dollari a tonnellata[…]”Assumendo allora un valore della tonnellata di anidride carbonica compreso tra 20 e 50 euro – ha concluso Della Seta – il mancato rispetto di Kyoto potrebbe costare all’Italia tra i 2 e i 5 miliardi di euro l’anno tra il 2008 e il 2012. Più si allungheranno i tempi di adeguamento, più caro sarà il prezzo da pagare”.
“I prezzi delle quote di emissione di CO2 potrebbero scendere a 17 Euro la tonnellata nel 2009, rispetto ai 25 del 2008, secondo una proiezione della Deutsche Bank[…]Gli esperti dicono che una tonnellata di CO2 dovrebbe costare almeno 30 Euro per stimolare il passaggio a tecnologie più pulite. La soglia che renderebbe conveniente applicare tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 e’ di 40-50 Euro alla tonnellata. Sotto tale prezzo resta conveniente pagare la quota e continuare ad emettere gas serra. In pratica, le nostre emissioni aumenteranno ancora.” .
“Attualmente, una tonnellata di anidride carbonica vale 26 euro, dopo il picco raggiunto nell’estate 2005 di 30 euro, ma secondo un’analisi della banca Fortis in futuro il prezzo dell’anidride carbonica potrebbe arrivare a 50 euro a tonnellata” (fonte).
Come stanno andando queste nuove azioni per chi ha investito nella finanza “verde”?
“Si stima che per finanziare i nuovi progetti green e far pagare a chi sfora i tetti alle emissioni imposti servirebbe un prezzo della CO2 intorno ai 34-40 euro a tonnellata. […]la CO2 è stata segnalata dai listini come la ‘peggior commodity’, un fatto poco incoraggiante per gli investitori.”
Così scriveva il quotidiano dei verdi “Terra” il 10 agosto 2011 nell’indifferenza di tutti mass-media nazionali, mentre già a giugno i “carbon credit” avevano toccato un minimo. Intanto varie nazioni cercavano di far cassa mettendo sul mercato molti crediti, oltre alla Grecia anche l’Italia ci provava, ad esempio nella prima bozza di finanziaria il 29 giugno 2011 il “Corriere della Sera” pubblicava “Aste CO2, i ricavi per ridurre il debito” e ad ottobre “Il caso della «tassa occulta» con l’ anidride carbonica”.
Si possono prendere i dati delle quotazioni delle EUA e CER da qui, graficandole dal 2.1.2008 al 2.11.2011 si ottiene:
La quotazione EUA da un massimo di 28.3 € il 1.7.2008 è scesa il 2.11.2011 a 9.45 € perdendo il 67%, per un “fenomeno” matematico nel calcolo delle percentuali per recuperare quanto perso si dovrà guadagnare quasi il 300%. Analogo discorso per la quotazione CER.
Dai grafici è facile notare la caduta dovuta alla crisi economica del 2008 ed il fallimento del COP15, un periodo di stabilità verso Cancun (COP16) ed una piccola ripresa con la crisi nucleare giapponese, nella parte finale una nuova fase discendente prima del COP17 di Durban ed in concomitanza con il riacutizzarsi della crisi economica europea.
Si può concludere osservando che chi affermava di prevedere scenari climatici al centesimo di grado tra un secolo, che contengono al loro interno anche la previsione dell’andamento delle emissioni, neanche è riuscito ad avere il minimo sentore di cosa gli sarebbe successo a breve. Non importa qui sapere se il motivo è stato incapacità, malafede o altro: importante è porre attenzione a cosa è accaduto.
Credo che se la finanza “verde” finisce per “vendere fumo” questo non sarà l’effetto peggiore dell’attuale tragica crisi economica che stiamo vivendo. Proprio a chi crede che la CO2 è un inquinante non dovrebbe piacere l’idea che chi è più ricco può comprare più crediti per emettere. L’assurdo principio del “chi inquina paga” abitua a vedere come legittimo che i ricchi possono inquinare pagando, mentre i poveri con i soldi sperano solo di poter comprare da mangiare.
La speranza è che, pur avendo lasciato che fosse messa nelle mani della finanza le sorti della politica ambientale globale, questa non si trasformi nella sola opportunità di guadagno per i soliti noti a danno del “parco buoni”ambientalista. Non diamo alla speculazione un nuovo titolo su cui poter operare: un titolo che potenzialmente tutti gli abitanti del pianeta avranno necessità di acquistare o vendere direttamente o indirettamente.
Fabio Spina
NOTA:
- EUA: “European Union Allowance”
- CER: “Certified Emission Reduction”, provenienti dalle riduzioni di emissioni dei progetti in atto nei paesi in via di sviluppo (esempio Cina, India), previsti dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto e sono liberamente negoziabili globalmente.
più che vendere fumo vendono droghe pesati