Nell’ambito del dibattito sul forcing al clima operato dall’aumento della concentrazione di gas serra, primo tra tutti la CO2, si è parlato spesso dell’eventualità di catturare questo gas alla fonte o direttamente in atmosfera, per poi stoccarlo sottoterra in cavità naturali che si prestino alla bisogna. Ad esempio a questo link sul sito dell’ENI si trova un’interessante spiegazione delle tecniche di cattura e delle opportunità che queste offrirebbero.
Naturalmente l’obbiettivo sarebbe quello di ridurre la concentrazione in atmosfera di questo gas. In questa sede non mi sembra il caso di tornare a discutere dell’utilità di questa riduzione, visto che non è ben chiaro se e quanto possa questo gas agire in effetti come forzante sul clima, piuttosto vorrei sottoporre alla vosta attenzione la potenziale inutilità di interventi di questo genere in rapporto alle dimensioni del problema.
Chiaramente quella antropica non è l’unica forzante del clima anzi, la storia ci ha insegnato che in passato sono stati altri i fattori responsabili dell’innesco di mutazioni climatiche importanti. Tra questi naturalmente la litosfera, ovvero la variazione della quantità di aerosol presenti in atmosfera. Anche qui gli uomini hanno detto la loro di recente, immettendo nell’aria discrete quantità di residuati da combustione, però ad esempio nelle ultime due o tre decadi, la situazione è andata migliorando, specialmente in Europa, grazie agli sforzi che sono stati fatti per ridurre queste emissioni. E’ pur vero che la più potente fonte di produzione di questi aerosol è naturale e per di più stocastica. Sono le eruzioni vulcaniche infatti ad immettere enormi quantità di polveri in atmosfera. Tanto per fare un esempio il 1816 fu battezzato l’anno senza estate in conseguenza della spettacolare eruzione del vulcano Tambora l’anno precedente.
Negli ultimi anni l’attività vulcanica è stata abbastanza bassa e, soprattutto, fatta eccezione per l’eruzione del Pinatubo del 1991, sono mancate le eruzioni più potenti, quelle capaci di mandare le loro ceneri in alta atmosfera e produrre un prolungato effetto raffreddante sul clima. Il 22 marzo scorso è iniziata una serie di forti eruzioni dal vulcano Redoubt in Alaska. La più potente ha raggiunto la quota di 65.000ft, ma più di una dozzina hanno superato i 60.000ft, depositando una grande quantità di ceneri in alta atmosfera. A questo link sul sito Intellicast trovate un interessante resoconto di questo avvenimento ed un’analisi di dieci casi analoghi e potenzialmente pericolosi.
Questa analisi è particolarmente interessante perchè spiega come le eruzioni pur avendo un effetto raffreddante in valore assoluto nelle stagioni estive, in realtà possono invece produrre stagioni invernali più calde o più fredde, in relazione alle modalità spaziali e temporali dell’avvenimento. La dinamica di questa diversità risiederebbe negli effetti che l’oscuramento parziale della radiazione solare operato dall’eccesso di aerosol può avere sulle configurazioni bariche permanenti e semipermanenti dell’area atlantica, il cui comportamento è efficacemente descritto dagli indici dell’Oscillazione Artica (AO) e della North Atlantic Oscillation (NAO). Tutto ciò è in grado di produrre ben più di 0.7°C di anomalia della temperatura, sia in positivo che in negativo. Sarebbe opportuno che si tornasse a riflettere su questo in termini di strategie di adattamento, piuttosto che continuare a progettare fantasmogorici interventi di mitigazione stile montagna che partorisce il topolino.
Ho letto da qualche parte, anche se purtroppo non mi ricordo dove, che l’anno successivo all’anno senza estate è passato agli annali come l’anno senza inverno. Ricordo che la cosa mi stupì molto, ma adesso posso capire il motivo di un simile fenomeno. Molto interessante, qualcuno conosce studi in proposito?