Qualche giorno fa, per la precisione giovedì scorso, il nostro paese è stato colpito da un evento di forte maltempo. Piogge abbondanti, anche molto abbondanti sul nord-est sulla Liguria e sulla Toscana, ma, soprattutto temporali forti sulle regioni tirreniche. E’ quasi inutile ripercorrere la cronaca dell’accaduto in termini di impatto sul territorio, ma tutti sanno che l’area che ha subito le conseguenze più significative è quella della capitale.
Cosa è successo?
Vediamo prima di tutto come ne hanno parlato i giornali. Per non far torto a nessuno prendiamo l’Ansa, la fonte da cui più o meno tutti hanno preso le informazioni.
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L’estate prolungata, con un settembre caldo e soleggiato come non si vedeva da anni, ha un suo prezzo, e se ne sono accorti gli abitanti del Lazio. La perturbazione arrivata dall’Atlantico ha infatti trovato le condizioni piu’ adatte per risolversi in un vero e proprio nubifragio. Il bilancio della Protezione Civile parla di una media di 120 millimetri di pioggia caduti in 3 ore su Roma, mentre a nord si sono raggiunti i 187. Numeri da primato, ma che potrebbero essere presto superati sempre grazie all’ ‘energia extra’ accumulata dal territorio. ”Il temporale sulla capitale era atteso, e segna un po’ l’ inizio ufficiale dell’autunno – spiega Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr – la violenza di questo fenomeno e’ accentuata dal caldo che dura da meta’ agosto: le perturbazioni atlantiche trovano il mar Tirreno e il terreno a una temperatura molto piu’ alta della media, e questo da’ un ‘surplus’ di energia che aumenta l’intensita’ delle precipitazioni”. Oltre alle piogge record, di cui in poche ore e’ caduta la quantita’ che normalmente si registra in un mese, l’energia dell’atmosfera si e’ scaricata anche attraverso i fulmini, oltre 7mila in una sola mattinata, secondo il rilevamento del sistema messo a punto dal Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano (Cesi). Uno di questi ha colpito un treno regionale, provocando il blocco dell’intera linea che porta a Fiumicino. Ogni anno sull’Italia cadono circa 1,5 milioni di fulmini, responsabili secondo le cifre dell’Istituto Superiore di Sanita’ di 10-15 morti. I 7.000 di Roma sono da considerarsi una cifra alta, visto che il record toccato nel 2010 e’ stato di 25 mila fulmini caduti su tutto il territorio nazionale in 24 ore. Secondo l’esperto del Cnr, pero’, servira’ ancora tempo per smaltire gli effetti del settembre piu’ caldo dall’87: ”Ci vorranno un paio di mesi prima che tutta l’energia in piu’ venga scaricata – continua – in particolare gia’ da meta’ della settimana prossima ci aspettiamo una nuova perturbazione, piu’ forte e piu’ estesa di questa, che colpira’ soprattutto la Sardegna e il nord Italia. ”. Dietro il comportamento anomalo del meteo c’e’ anche lo ‘zampino’ dei cambiamenti climatici: ”Uno dei segnali piu’ chiari e misurabili del fenomeno e’ proprio questo – spiega Pasqui – aumentano i giorni caldi all’inizio e alla fine dell’ estate, con le conseguenze che vediamo. Queste piogge cosi’ forti peraltro non bastano a compensare la siccita’ dei mesi passati – sottolinea ancora il meteorologo – perche’ i terreni sono secchi, e quasi tutta l’acqua scivola via”.
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Ovvio no? Dopo il caldo la pioggia. Spiegazione semplice semplice, è arrivata tanta energia e prima o poi doveva accadere. Non si capisce perché non ci sia un solo documento scientifico ad aver codificato questa relazione di causa effetto. Tutto il mondo dibatte sull’impossibilità (e mancanza di razionalità) di attribuire i singoli eventi atmosferici alle dinamiche del clima e la spiegazione è lì, in quelle poche righe. Da non crederci.
Che so, passi per le piogge monsoniche, per gli eventi siccitosi, almeno quelli hanno una dimensione spaziale paragonabile ai temi climatici, ma i temporali no, proprio non si può.
Ora, non me ne voglia Massimiliano Pasqui, che tra l’altro è un amico, ma la faccenda è un po’ meno semplice. E, tanto per cambiare, per comprendere cosa sia accaduto in termini meteorologici, vedremo tra poco che non c’è nessun bisogno di scomodare il clima.
Gli appassionati più ‘tecnici’ mi scuseranno se non arricchirò quanto segue con delle immagini, la deontologia professionale lo impedisce. E spero vorranno scusarmi anche i meno ‘tecnici’ perché in effetti la spiegazione sarà un po’ complessa.
Il quadro iniziale di riferimento vedeva un fronte freddo in rapido ingresso sul Mediterraneo con direttrice nord ovest -sud est, che subiva il classico rallentamento dovuto alla presenza dell’arco alpino. L’aria fredda è entrata inizialmente soltanto attraverso il Golfo del Leone, innescando le condizioni per una ciclogenesi sottovento al Golfo Ligure appena accennata ma non completata. In quota era presente inoltre una intensa avvezione di vorticità positiva (per intenderci quel fattore che dalla quota tende a forzare la rotazione antioraria, cioè ciclonica, negli strati più bassi dell’atmosfera) accompagnata da un sostenuto vento da sud-ovest. Questo ha provocato una rapida intensificazione del gradiente barico, con conseguente altrettanto rapido rinforzo del vento al suolo. Di qui i temporali sulla Liguria di Levante e le piogge abbondanti sottovento alle alpi centro-orientali.
Ma più a sud?
Come anticipato, sul settore centrale tirrenico soffiava un sostenuto scirocco, mentre in quota le correnti pre-frontali erano sud-occidentali. Ne è derivato un significativo shear del vento lungo l’asse verticale che ha innescato la turbolenza necessaria a portare in quota, cioè oltre lo strato stabile, l’energia derivante dalla elevata temperatura presente nei bassi strati tipica dei venti sciroccali. Il punto è, però, che non si trattava di uno scirocco secco proveniente dalle coste africane, di quelli che velano il cielo e non lasciano cadere una goccia finché il vento non cessa. Era vento pre-frontale, nel contesto di una massa d’aria delle medie latitudini di tipo marittimo, non certo di aria sub-tropicale continentale normalmente molto più secca. Molta umidità e aria calda sollevate rapidamente in quota nel settore caldo. Una linea di convergenza. Un evento che quando è in atto è perfettamente riconoscibile perché le celle temporalesche si sviluppano lungo una direttrice allineata con il flusso in quota, insistendo a lungo su una porzione di territorio molto limitata che varia in funzione dello spostamento della zona di massima baroclinicità nei bassi strati, cioè di gradiente termico intenso al traverso di un altrettanto intenso gradiente barico.
La ‘linea’, è nata al confine tra Lazio e Toscana nella notte e si è spostata ortogonalmente alla costa tirrenica molto lentamente, interessando Roma nelle prime ore del mattino e le coste del basso Lazio nelle prime ore del pomeriggio, finendo sulla Campania, altra zona duramente colpita, nella serata e nella notte. La lentezza del movimento è stata dovuta soprattutto alla presenza di un’area anticiclonica piuttosto solida sul meridione, le cui propaggini arrivavano fin sulla Penisola Sorrentina. Tutte le zone attraverso cui è passata la linea hanno fatto registrare ratei di precipitazione intorno e oltre i 60 mm/ora, certamente molto intensi, ma comunque frequenti nei temporali. Il problema è dunque stato nella persistenza, cioè nella lentezza con cui la linea si è spostata, non nella forza del singolo evento precipitativo.
Per intenderci nella serata del 27 luglio scorso, un altro evento precipitativo molto intenso ha colpito la capitale. Non una linea di convergenza ma più presumibilmente una supercella. In pratica più temporali ‘fusi’ in un singolo sistema convettivo piuttosto che una serie di temporali allineati lungo una direttrice. Il rain rate è stato molto simile, cioè superiore ai 50-70 mm/ora.
Chi segue le vicende meteorologiche del Mediterraneo e più direttamente del nostro Paese, sa che questi eventi sono molto comuni. Però il fatto che interessino sempre porzioni di territorio piuttosto limitate e spesso esauriscano i loro effetti sul mare, fa sì che abbiano dei tempi di ritorno molto dilatati sulle singole zone.
Bene, abbiamo parlato di energia. Nel discorso letto sull’agenzia si cita un surplus per giustificare la potenza dell’evento. Di per se la spiegazione data dovrebbe aver già chiarito le idee. Ma è giusto andare a vedere se in effetti c’era o meno questo surplus, ammesso e non concesso che si sappia, con riferimento ai singoli eventi, quale sia la soglia oltre la quale quel che succede si deve considerare anomalo piuttosto che riferibile alla specificità del soggetto atmosferico.
Ecco qua, dal programma di monitoraggio delle acque del Mediterraneo dell’INGV consultiamo le mappe di anomalia delle temperature di superficie.
L’anomalia è positiva, cioè l’acqua è più calda della media di riferimento. Da quanto? Da quando la si misura. Quella di questi giorni di ottobre è uguale agli stessi giorni dell’ottobre 2010. Con un elemento in più. Dopo il picco dei giorni caldi di settembre l’anomalia era in caduta libera, proprio come avviene tutti gli anni in autunno. Guarda caso la stagione più piovosa.
Ora, io non so se un giorno la scienza permetterà di fare questi discorsi di attribuzione degli eventi meteorologici alle dinamiche del clima e ancor più alle eventuali modifiche che queste dovessero subire. Quel che so è che adesso non è così, e non vorrei che a qualcuno venisse in mente che spegnendo la propria auto si possa al contempo anche chiudere l’ombrello.
“l’acqua è più calda della media di riferimento. Da quanto? Da quando la si misura”
infatti mi sono chiesto spesso: non sarebbe il caso di mettere da qualche parte un’indicazione dei dati da cui si calcola la media?
Reply
Flavio, è il concetto di anomalia, ovvero scostamento da un valore di riferimento, mediato, nella fattispecie nello spazio (tutto il Mediterraneo) e nel tempo. Normalmente in climatologia le medie di riferimento si calcolano su periodi di 30 anni, per lo più per convenzione, ma anche perché si ritiene in questo modo di abbattere al minimo l’influenza delle oscillazioni ad onda corta, come per esempio la variabilità stagionale e interannuale. E’ ovvio che la scelta del periodo determina il segno dell’anomalia. Più è lungo il periodo di confronto, più la media può definirsi rappresentativa. Personalmente non ho cercato, ma penso proprio che nel link dell’INGV sia presente la documentazione necessaria a comprendere quale sia il periodo di riferimento. Nutro qualche dubbio che possa essere un trentennio, ovvero che possano esistere delle serie affidabili dal punto di vista della densità dei dati e della standardizzazione della misura per costruire una media rappresentativa. Ma questo problema, se c’è, lo risolverà il tempo.
Non era questo il senso del mio messaggio. Quel che volevo dire è che parlare di un surplus energetico come fattore causale dell’intensità dei fenomeni ha senso se quel surplus è riferito alla scala spaziale e temporale in cui ha luogo il fenomeno, altrimenti non si spiega perché non c’è un alluvione ad ogni temporale. Guardando quelle misure, non mi pare questo il caso. Se il forcing è poi insito nel fenomeno, ovvero nelle condizioni che lo generano, parlare ancora di surplus senza avere la più pallida idea di come questo agisca o meno (alluvione o no, per esempio) sul singolo fenomeno è pura speculazione.
gg
io ho provato a seguire il link
http://gnoo.bo.ingv.it/mfs/B4G_indicators/SST_anomaly.htm
e sono arrivato fino a qui
http://www.ifremer.fr/sismer/program/mater
…che però non si apre (almeno col mio browser)
io chiedevo appunto quale fosse invece il concetto di “normalità” sotteso a definire quelle “anomalie”
io non ho alcuna conoscenza di climatologia ma mi pare che tutti (pro o contro l’AGW) partano sempre con la formula “se è vero tutto questo, ed è vero perchè lo dico io (ed eventualmente questo, quello e quell’altro scienziato)” senza preoccuparsi di controllare che effettivamente lo sia
poi non saprei comunque comprendere quanto una media a diecimila anni sia più significativa di una su dieci…ma la riterrei in ogni caso un’informazione utile