Il compito era improbo, ma si sono messi d’impegno. Il gruppo Berkeley ha completato le prime quattro pubblicazioni inerenti il progetto di ridefinizione del dataset delle temperature superficiali globali, dei metodi di omogeneizzazione spaziale e temporale, della determinazione del peso, se di peso si tratta, dell’effetto Isola di Calore Urbano, dell’incidenza del posizionamento dei punti di osservazione e, ultimo ma non meno importante lavoro, la correlazione individuata tra l’indice AMO e la variabilità climatica – espressa attraverso il dataset appena ridefinito – tra il 1950 e il 2010.
Tutto questo in un mondo che si è scaldato in questo periodo di 0,911°C (+/- 0.42 °C), con un impatto dell’effetto UHI che si confermerebbe non significativo.
Nell’abstract di uno dei lavori si legge che, considerato il fatto che l’IPCC ha stabilito che le oscillazioni della temperatura precedentemente al 1950 possono essere attribuite a fattori naturali e antropici, ma che solo dopo quella data il fattora antropico è divenuto dominante, stabilire quale sia stato effettivamente il comportamento delle temperature medie superficiali è di particolare importanza.
Questa non è una dichiarazione di attribuzione di questo pattern post 1950 al fattore antropico ma ci manca davvero poco, benché una migliore definizione del rateo di riscaldamento non aggiunga molto alla comprensione delle dinamiche che lo regolano.
I paper sono liberamente consultabili e stanno iniziando adesso il processo di peer review, per una futura eventuale pubblicazione sul JGR:
- Berkeley Earth Temperature Averaging Process
- Influence of Urban Heating on the Global Temperature Land Average
- Earth Atmospheric Land Surface Temperature and Station Quality in the United States
- Decadal Variations in the Global Atmospheric Land Temperatures
La faccenda è già sui media. Considerato il livello dei partecipanti al progetto, è difficile che possano aver commesso errori tali da impedire la pubblicazione o richiedere modifiche sostanziali di questi lavori. Uscire prima sulla stampa generalista che su quella specializzata potrà stonare ma pare così vada il mondo ultimamente. Del resto, come faremo un po’ tutti, basta andare a leggere i lavori e farsi la propria idea.
Così forse ora sapemo un po’ meglio ‘quanto’ il Pianeta si sia scaldato. Una buona ragione per concentrarsi una volta per tutte sul perché.
Addendum
Che si facciano circolare i draft delle pubblicazioni ancora non sottoposte a revisione, è pratica abituale. Che si apra anche ai commenti che non vengono dal mondo accademico o da propri selezionati interlocutori è forse un apprezzabile nuovo approccio alla condivisione dei risultati. Che la rivista scientifica più accreditata di tutte pubblichi un articolo di commento a questi risultati prima che abbiano acquisito solidità scientifica attraverso il referaggio mi pare un po’ eccessivo. Che in questo articolo ci si chieda se questi risultati convinceranno o meno gli ‘scettici’ è ancora più eccessivo, perché chi è scettico non può che essere convinto dalla solidità dei risultati, cioè dalla buona scienza. Che ancora non c’è, almeno secondo i canoni con cui ci è stata sin qui propinata tutta la faccenda dell’allarme clima.
Prima ancora di diventare l’operazione di arricchimento della conoscenza scientifica che tutti si augurano, la gestione dell’informazione intorno a questo progetto sta assumendo sempre più i connotati della propaganda. Finché si prestano i media generalisti va bene, fanno il loro mestiere se c’è qualcuno che li imbecca. Ma se si uniscono al coro le riviste più autorevoli il discorso cambia, e non nella giusta direzione.
Un’ultima cosa. Nell’articolo di Nature si cita anche Steve McIntyre che avrebbe fatto sapere di aver avuto qualche problemino nel replicare i risultati acquisiti da questi studi. Vedremo.
Ci sono alcune cose che non mi sono chiare
– le città? le hanno escluse o non si sono scaldate?
– come hanno fatto a escludere le stazione rurali che invece si sono urbanizzate negli ultimi decenni e che hanno dato adito a varie peer review (Douglas McKitrick ecc) dove si sosteneva l’errore di sovrastima dovuto appunto alle isole di calore.
– il confronto con le altre serie è stato fatto solo sui dati di terra o sui dati globali? Nel secondo caso il dato globale dovrebbe essere inferiore a quello stimate dalle 3 serie principali perchè gli oceani si sono scaldati meno. giusto o no?
Claudio – come vuoi che abbiano fatto? Male, molto male. Il solito gran casino con dati insufficienti e curiose ipotesi (una città di 50mila abitanti diventa “sito rurale”). Il papero sull’isola di calore urbana non vale una mazza. Se ho qualche minuto scrivo un blog e spiego a chi vuole sentire.
Devo confessare una cosa. Noto una certa aria di sconforto. Come ho scritto in un commento la scorsa settimana, il lavoro di R. Muller & C. dimostra (fino a prova contraria, come ama dire lo stesso R. Muller) solo che, analizzando tutti i dati, di tutte le centraline di rilevamento della temperatura, viene confermato un trend in crescita della temperatura globale. Non mi sembra che nessuno mettesse in dubbio che la temperatura globale fosse aumentata rispetto al passato. Nulla ci dice questo studio rispetto a ciò che è accaduto prima del 1800. Nulla ci dice dei vari optimum succedutisi nel corso dei secoli e nulla aggiunge ai dati anteriori al 1800. Lo studio, inoltre, non tiene conto delle temperature al di sopra degli oceani. Esso, infine, nulla aggiunge a quanto sappiamo in materia di cause fisiche del riscaldamento globale. In più, oltre a quello che già sapevamo, sembra che le temperature globali seguano un andamento ciclico simil-sessantennale apparentemente collegato con la AMO. Altro aspetto importante, già sottolinato da Teo, è l’apertura nei riguardi degli scettici, la libera disponibilità (trasparenza) dei dati utilizzati, la volontà di affiancare il processo revisionale ufficiale con una discussione pubblica aperta a tutti e non solo a pochi eletti. Mi sembrano cose molto importanti, secondo me importantissime. In merito alle critiche di McIntyre che ancora non ho avuto modo di leggere (per mancanza di tempo), se son rose fioriranno. Qualora i quattro lavori pubblicati superassero il dibattito pubblico a cui sono stati sottoposti è giusto e corretto prenderne atto ed eliminare dal novero delle ipotesi che giustificano il riscaldamento globale le isole di calore urbano: escludere una causa è un passo avanti verso l’accertamento della verità. Come giustamente faceva notare Teo.
Ciao, Donato.
p.s.: buon proseguimento nell’opera di ristrutturazione anzi di “imbellettamento”. L’importante è che lo scheletro portante resti così com’è.
Venendo al nocciolo della questione – sugli aspetti “politici” di tale studio ero già intervenuto la settimana scorsa, e mi trovo comunque d’accordo con Teo – mi lascia un po’ perplessa quella fascia d’incertezza (o cos’altro è?) indicata nel grafico col colore grigio. Qualcuno, appunto, potrebbe meglio spiegare a cosa si riferisce? Credo che comunque, completato lo studio delle “temperature storiche”, sarebbe opportuno uno studio ad hoc anche sui margini di incertezza di tali ricostruzioni e misure (due cose diverse, per chi ancora confondesse termometri ed anelli degli alberi!)
Quanto a McIntyre, è proprio un rompiscatole, non gli torna mai nessun calcolo fatto da altri, un po’ come certi professori agli esami: sarà mica che, essendo lui uno statistico e gli altri dei climatologi, in statistica è più ferrato lui 😉
Provo a postare? Pronti anche per questo? Complimenti per il nuovo CM!
Volevo aggiungere. Lo studio di Berkeley ritengo sia importante per una serie di ragioni:
1- accoglie alcuni dubbi considerati fondamentali per gli scettici:
2- si propone come interlocutorio nei confronti di quelli che vengono chiamati ‘propriamente scettici’
3- cerca di dare una risposta complessiva, mi sembra da una rapida lettura, sul tema e non sulla polemica.
Per chi fa ricerca per mestiere e’ importante discutere su analisi cosi’ organizzate. Poi forse si troveranno punti di convergenza o di divergenza ma almeno l’approccio e’ su una base metodologica condivisibile.
Anche il richiamo diretto a valutare la portata dello studio a chi non si riconosce nell’attuale impostazione IPCC mi sembra scientificamente rilevante. E questo e’ uno dei motivi per i quali non mi scandalizzo a vedere una sorta di lancio pubblicitario dei lavori di questo gruppo: sembra piu’ una dichiarazione di buona volonta’ interna alla comunita’ scientifica che finalmente viene riconsiderata senza soluzione di continuita’, continuita’ che la diatriba negazionisti-catastrofisti aveva frantumato.
Su questa base anche chi e’ convinto del ruolo urbano come fattore di inquinamento dei dati (come me) sara’ assolutamente disponibile a studiare questi risultati anche nell’ottica di rivedere le proprie convinzioni. E se sara’ convincente non ne morira’ nessuno (io per primo) perche’ NON E’ UNA PARTITA DI CALCIO
Concordo Teo, bisognerà però che lo comprendano tutti, perché in giro ci sono festeggiamenti come se qualcuno avesse vinto il campionato. 🙂
gg