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To’, si stava peggio quando si stava meglio…

Climate change e crisi globali, c’è da sperare che le cassandre abbiano ragione.

La storia insegna che fu così: la premonizione di Cassandra si avverò. Nella fattispecie ci fu chi ne trasse beneficio e chi vide scomparire il proprio mondo. Come dire, ad ognuno il suo. In materia di cambiamenti climatici però, se dai della Cassandra al catastrofista generico medio, al di là della comune ma errata percezione che questo significhi che la sua premonizione è scorretta, finisci per fargli un complimento. Ma egli, sempre il catastrofista generico medio, non lo sa e vi spiego perché.

Alcuni giorni fa è uscito sui PNAS un articolo decisamente interessante che se siete anche appassionati di storia lo è ancora di più.

The causality analysis of climate change and large-scale human crisis (Zhang et al., doi: 10.1073/pnas.1104268108)

Lo studio, partendo dalla conoscenza acquisita che le oscillazioni della temperatura siano state in passato in fase con periodi più o meno favorevoli per la nostra società, si prefigge lo scopo di stabilire il nesso di causa effetto e – se del caso- la catena degli eventi che può condurre una società ad eventi di crisi in relazione ai capricci del clima. L’arco temporale di riferimento è quello dei secoli che hanno preceduto la rivoluzione industriale, un periodo freddo, ma comunque caratterizzato da oscillazioni a più alta frequenza delle condizioni climatiche, né più né meno come quello attuale è certamente caldo ma caratterizzato da altrettanto numerose fluttuazioni.

Come già accennato, l’argomento non è nuovo, né a chi si occupa di studi sociologici o storici, né a chi si occupa di clima. Non può essere stato un caso se alcuni specifici periodi climatici (notate l’assenza del segno ma ci arriviamo) sono stati classificati con l’appellativo ‘Optimum’, compreso quello attuale. Tuttavia, la contemporaneità degli eventi – di questo chi si appassiona di clima ne sa qualcosa, non necessariamente fornisce informazioni utili a stabilire un rapporto di causa effetto. Infatti, in assenza delle interessanti intuizioni di questi ricercatori, molti periodi di crisi della nostra società si ritiene abbiano avuto all’origine dei fattori che si potrebbero definire endogeni al sistema. Fra questi, ad esempio, figura senz’altro la pressione demografica.

Così non è, o, almeno, così pare non sia stato in passato, quando in realtà la causa principale dei periodi di crisi è stata sempre di natura climatica, un fattore che agisce direttamente attraverso inversioni di tendenza economici originati da avverse condizioni climatiche.

Produttività biologica e agricola, disponibilità di cibo, disagio sociale e guerre, migrazioni e epidemie, carestie e stato nutrizionale, tutti fattori che agiscono anche sulla pressione demografica e che da essa sono a loro volta influenzati, in una serie di meccanismi di feedback che finiscono per accentuare la crisi, alla cui origine, però, c’è sempre solo e soltanto un fattore: la ‘malevolenza’ del clima.

Di particolare interesse, nella loro analisi, è la successione temporale degli eventi. Infatti, all’insorgere di un problema climatico, le variabili della produttività agricola e della disponibilità di cibo rispondono immediatamente, mentre il disagio sociale, le guerre, le migrazioni, lo stato nutrizionale le epidemie, le carestie e la componente demografica subiscono variazioni con un lag temporale dell’ordine di 5-30 anni. A supporto di questa ipotesi, giungono anche fattori antropologici. Ad esempio l’altezza media degli individui europei che cessa di aumentare o addirittura decresce nei periodi di difficoltà prolungata. Questo, come molti altri fattori analizzati, reagiscono in genere linearmente alle variazioni di temperatura. Mentre, altre variabili, reagiscono invece in modo esponenziale, al punto, ad esempio, che la pressione demografica generata dalla scarsità di cibo, innesca la necessità di una netta diminuzione della popolazione: e così, in un periodo di massima crisi climatica, l’indice di mortalità in guerra cresce anche di venti volte.

Ma, gli uomini, sono sia consumatori che produttori. Se diminuiscono drasticamente e improvvisamente, le morti eccedono le nascite e la forza lavoro viene a mancare. Con essa, si abbatte ulteriormente la produttività e la disponibilità di cibo, in una spirale che accentua la crisi. Tutto finché le condizioni climatiche non tornano ad essere favorevoli, permettendo così una maggiore produzione e una ripresa del rateo di accrescimento demografico.

Tutto questo, sembrerebbe far eco alla teoria di Malthus, secondo la quale quando la popolazione supera la produzione di cibo, la crisi è inevitabile, specie se il rateo di crescita della popolazione è particolarmente accentuato. Tuttavia, scrivono gli autori di questo studio, è chiaro che la crisi viene innescata dal declino della disponibilità di cibo per cause climatiche. Non una crescita insostenibile della domanda quindi, quanto piuttosto una significativa contrazione dell’offerta di origine esogena.

Una volta definiti dei limiti di variabilità per i fattori di feedback, usando i dataset di temperatura disponibili per l’Europa e per l’emisfero nord, gli autori hanno simulato dei periodi cosiddetti ‘golden’ e ‘dark’. Nella loro simulazione, sia i i periodi bui che quelli d’oro coincidono con quanto la storia ci ha riportato. Secoli bui e illuminismo, per fare un paio di esempi.

A conferma della loro convinzione circa l’esistenza di un elemento causale esogeno – il clima- e non endogeno, ovvero dipendente da dinamiche soprattutto sociali, c’è la scala spaziale a cui questi periodi appartengono. In assenza di ogni forma di contatto (e quindi di quello che oggi definiremmo contagio ad esempio pensando alla crisi economica attuale) tra popolazioni appartenenti a diversi continenti e con diversi livelli di sviluppo sociale, l’esistenza di analoghe situazioni di difficoltà sociale per analoghi periodi di tempo, non può che confermare un elemento scatenante comune ma esterno, appunto, il clima.

Ma, si dirà, tutto questo è vero, o comunque lo è stato, per strutture sociali sostanzialmente fondate su un economia rurale o addirittura agricola, cioè diverse da quella post-industriale. Vero, ma solo in parte e solo per quella piccola porzione di mondo che questo cambiamento lo ha conosciuto. Anche oggi, purtroppo, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive, spesso molto male, in un contesto di economia strettamente dipendente da quello che la terra concede. Questo sicuramente attualizza il problema e chiarisce le ragioni di questo studio.

E’ quindi il momento di attribuire un segno alla malevolenza del clima. Sorpresa: l’elemento climatico scatenante delle crisi è il freddo. Nel caso del periodo in esame, tra l’altro, il più freddo del freddo, cioè le fasi più acute della Piccola Età Glaciale.
Che dire? Con riferimento alle attuali premonizioni di disastro climatico imminente a causa del caldo, non si può pensare altro che questo: si stava peggio quando si stava meglio.

NB: qui trovate il pdf di questo studio.

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Published inAttualitàNews

Un commento

  1. Guido Botteri

    Che le condizioni climatiche influenzino in qualche modo, come uno dei fattori in gioco, non c’è dubbio, ma mi lascia perplesso l’affermazione che sarebbe il clima a governare la storia.
    In questo momento storico in cui la Cina sta vivendo un momento di espansione, mentre l’Occidente è in aperta crisi, per chi fa freddo e per chi fa caldo ?
    La storia vede sempre vari protagonisti, in lotta tra di loro. C’è chi vince e c’è chi perde. Faceva caldo o faceva freddo per i Cartaginesi e per i Romani, nelle guerre puniche ? E per chi fece più caldo, per Sparta o per Atene ?…per i Greci o per i Persiani ?
    E allora, questo clima non è poi così globale, se dobbiamo credere che esso determini la storia.
    Che il clima contribuisca alle migrazioni, posso anche crederlo, ma non credo che sia ciò che le governa. L’Italia è stato Paese di emigranti, ed ora lo è di immigrati… non credo che basti un termometro per stabilire la storia.
    Secondo me.

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