Calma, non di CM, lo avreste saputo in modo diverso, magari notando qualche poco dignitoso accenno di euforia nei nostri testi. Si parla del nostro Paese in realtà. Clima della pianura padana? Recenti piogge torrenziali in Sicilia? Caldo estivo sul Piemonte? No, niente di tutto questo.
Si parla del processo che vede coinvolti i componenti della commissione grandi rischi per i noti fatto del terremoto in Abruzzo del 6 aprile di due anni fa. Un processo che pare stia facendo venire i brividi lungo la schiena a molti scienziati -specie geologi ma non solo- che hanno spesso a che fare con le crisi potenziali o reali generate dagli eventi naturali ma che non hanno mai pensato, probabilmente, che le loro decisioni o valutazioni potessero portarli di fronte a un giudice. Questo, come sapete è recentemente accaduto.
La questione è controversa e non è assolutamente mia intenzione entrarci. Il problema ruota tutto intorno alla comunicazione del rischio, non già, come qualche disattento potrebbe credere, alla mancata previsione del terremoto. Questo perché, notoriamente, i terremoti non sono prevedibili. Così come è molto difficile prevedere dove e come colpirà un evento atmosferico estremo, pratica su cui siamo comunque molto più avanti dei colleghi geologi, così come è ad oggi impossibile prevedere le conseguenze di un cambiamento climatico, qualunque sia la sua origine.
L’analogia tra scienza della Terra e dell’Aria non è casuale. Nella fattispecie del terremoto del 2009 qualcuno dice che il rischio non fu comunicato adeguatamente. L’evento, purtroppo, c’è stato. L’esito del procedimento chiarirà se le cose stanno così oppure no. Il rischio del cambiamento climatico è invece abitualmente over-comunicato, sebbene ad oggi non sia possibile ascrivere nulla di quel che accade a questo cambiamento e sussiste grande incertezza sul futuro. Che si fa? Si ricorre alla legge per ragioni uguali e contrarie alla situazione del terremoto? Per dirla con Maurizio Morabito non appena inizieranno – perché inizieranno- le pratiche di geoingegneria sarà difficile tenere il conto delle class action alla prima grandinata.
Non c’è più abilità nelle previsioni climatiche di quanta ve ne sia in quelle per i terremoti. Entrambe ad oggi semplicemente non sono fattibili. Sono certo che esisteranno fior di tentativi di modellizzare l’occorrenza dei terremoti. Siccome però quei modelli non sono attendibili, nessuno si sogna di basarci le policy da adottare nei prossimi cent’anni, preferendo più logiche politiche di adattamento e prevenzione dei danni. Questo dovrebbe far riflettere tutti quelli che ripongono cieca fiducia negli apocalittici scenari climatici che scaturiscono da modelli parimenti privi di validazione. Si dirà che la differenza consiste nel fatto che i terremoti sono eventi di chiara origine naturale e i cambiamenti climatici no. Giusto, peccato che sull’origine antropica dei cambiamenti climatici ci sia incertezza pari a quella degli scenari futuri. Anzi, è più corretto dire che l’incertezza è esattamente la stessa, visto che l’attribuzione è frutto degli stessi modelli da cui scaturiscono le previsioni. In pratica per un problema reale di proporzioni attualmente insormontabili – i terremoti, si esige giustamente una corretta comunicazione del rischio. Per un problema virtuale, intendendo con questo il fatto che scaturisce da simulazioni non verificabili, la comunicazione del rischio oltrepassa quotidianamente il parossismo, e viene entusiasticamente digerita. Dov’è la differenza? Semplice, i terremoti, purtroppo, esistono sul serio, e quando la terra trema tutti se ne ricordano. La catastrofe climatica di origine antropica è invece tutta da dimostrare.
Sicché, ripeto, non volendo entrare nel merito della specifica questione del procedimento vi raccomanderei di leggere la frase più interessante del post di Judith Curry sull’argomento:
Quel che si deve fare in questi casi è mostrare umiltà di fronte alla complessità della Natura. Penso che questa sia probabilmente una buona cosa da tenere a mente.
[…] tre settimane fa abbiamo pubblicato un commento al rumore che sta facendo nel mondo scientifico il procedimento in corso nei confronti della […]
Mi domando perché i nostri amici sostenitori dell’ipotesi AGW, oltre a voler fermare il clima, non abbiano pensato a fermare i terremoti… un bel limite, deciso in una lussureggiante località turistica, tra pranzi e bei discorsi in hotel a 5 stelle… avrebbero potuto imporre per legge ai terremoti di diminuire del 2 percento 🙂
Velleitario ? Certamente, ma forse governare il clima non lo è ? 🙂
In alternativa, potrebbero decidere per legge di attenersi alle previsioni, obbligando la gente ad abbandonare case, negozi e attività nel raggio di… nel raggio della validità della previsione.
Per quella dell’11 maggio 2011, qualcuno ha detto che era giusta perché effettivamente in quella data ci fu un terremoto (di nessun danno) in Spagna. Dunque, se un terremoto previsto a Roma, avviene in Spagna, coerentemente bisognerebbe evacuare l’intera Europa ad ogni notizia di terremoto, e dato che i terremoti sono praticamente giornalieri, bisognerebbe evacuare il mondo definitivamente.
Essendo questo, spero, inconcepibile (ma non mi stupirei, ormai, che qualche fanatico lo sostenesse), si potrebbe evacuare una regione….Giuliani ha detto che la previsione del terremoto non può essere così precisa da riguardare una città, ma andrebbe intesa per una regione, magari per “l’Italia centrale”…e allora, ad ogni notizia di terremoto evacuiamo mezza Italia, o almeno una regione ?
Allora, visto che la previsione è, al momento, un sistema ancora troppo impreciso, e impraticabile, la via maestra per affrontare il tema terremoti ce la dà il Giappone.
Terremoti spaventosi in Giappone fanno pochissime vittime o nessuna vittima. Sappiamo bene che i morti a Fukushima furono dovuti non al terremoto, e nemmeno alle radiazioni, ma allo tsunami.
Ci sono terremoti, in Giappone, molto più forti di terremoti che in Italia hanno fatto molte vittime.
Dunque la via è quella, costruire in modo antisismico.
E allora, visto che le previsioni sono inattendibili e sono praticamente inutili, perché mancano di precisione sul luogo dell’epicentro, sul momento dell’evento, e sull’intensità dell’evento, tanto vale allora attenersi al metodo giapponese.
Questo non vuol dire che non si debba ricercare un metodo efficace e utile di previsione….ma, e questo non vale solo per i terremoti, una cosa è “studiare” (che è sempre giusto), altra è prendere decisioni economiche e vincolanti sulla base di studi ancora non maturati a risultati concreti veramente scientifici e utili (dal punto di vista “decisionale”).
Secondo me.
Be’, Guido, ci provo a commentare sul topic come l’hai inteso. In realtà, qualcosa ho già detto. Ponendo il problema in termini generici, ci sono due punti:
1. c’è una certa probabilità che io, cittadino, possa subire un danno da un evento
2. ci sono organismi preposti a ridurre quella probabilità e l’ammontare del danno
Questi due presupposti implicano due cose:
a. c’è una conoscenza condivisa (io cittadino e gli organismi preposti) sulle probabilità, intendo dire su come si usano (sono uno strumento, come tutti gli strumenti si usano con un fine)
b. c’è un consenso generale (sempre tra tutti i partner) sul modo di calcolare quelle probabilità
Il punto (a) è già un problema, pur essendo semplice cultura di base scientifica. Tanto per capirci con un banale esempio, poche settimane fa ho avuto una discussione con i miei, persone di cultura, perché non capivano che la cinquina 1 2 3 4 5 ha le stesse probabilità di uscita di qualsiasi altra combinazione.
Il punto (b) è poi un casino totale. Nel caso citato di UARS ho visto numeri di tutti i tipi, calcolati in modi probabilmente assurdi, sulle probabilità di danno da parte dei frammenti del satellite. Sui terremoti abbiamo mappe di probabilità elaborate dagli istituti nazionali. Tuttavia, qualche dubbio sulla loro correttezza sorge, se pensate ad esempio al terremoto di un mese fa in Virginia, che non fece danni, ma era totalmente inaspettato. Insomma, ci vuole un momento di passaggio in cui si pesca dal calderone dei modelli scientifici e si decide quali sono validi in un certo momento per basarci su decisioni politiche. Questo momento di passaggio non può che essere una decisione tecnico-politica: cioè, compiuta da esperti nel settore che ricoprono un ruolo di responsabilità appuntato dalla politica. Senza entrare nel merito dei nostri soliti discorsi sulla validità della teoria AGW, l’IPCC è un chiaro esempio di quanto dico: un panel di esperti, nominati dalla politica, dichiarano quali sono i modelli validi su cui prendere le decisioni. Organismi nazionali, come le protezioni civili, compiono scelte simili.
Ora, secondo me questi organismi non possono che essere auto-referenziali. Insomma, se vogliamo criticare le loro decisioni su base giuridica, a quale esperto affidiamo un giudizio tecnico? Secondo me, non potrebbe mai aver senso portare in giudizio un IPCC per aver sopravvalutato o sottovalutato un pericolo, perché non vedo organismi più titolati dell’IPCC per prendere quelle decisioni. Le critiche, necessarie, non possono che essere di carattere scientifico e, se avvalorate, operare una lenta operazione di conversione di rotta; un po’ come il consenso scientifico si muove. Sto ovviamente escludendo casi eclatanti di dolo, come la presa di decisioni per corruzione o interesse personale, che possono essere dimostrati dall’autorità giudiziaria. Ma qui siamo su un altro piano.
Trovo tutto decisamente complicato. Essendo portato per natura a cercare le semplificazioni, a me viene in mente un’altra cosa. Se non conosco quali sono le probabilità esatte che io domani finisca sotto le macerie della mia casa per via di un terremoto, o – nel caso le conoscessi – avessi dubbi sul modo con cui le hanno calcolate, mi sentirei comunque più tranquillo se le autorità facessero in modo che la mia casa stia in piedi con qualità antisismiche. Dopotutto questo è un modo evidente di ridurre le probabilità di danno di un certo fattore, indipendentemente dal valore di rischio iniziale. E, ripeto, è proprio su questo piano che vorrei vedere un maggior interesse, sia da parte dell’opinione pubblica, sia da parte della magistratura.
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Beh, alla fine ci siamo arrivati. La soluzione c’è, si chiama adattamento. Forse è per questo che lo facciamo da qualche migliaio d’anni. Fino a quando qualcuno non ha pensato che si potesse intervenire in un processo che avrebbe preso una certa direzione per causa nostra. Si chiama mitigazione. Promuoverla a discapito dell’adattamento è l’errore più antropocentrico che questa cultura di presunta eliminazione dell’effetto antropico potesse immaginare. Un autentico paradosso.
gg
Prevedere i terremoti. Anzi no, comunicare il livello di rischio che ci sia un terremoto. Questa è bella. I cinesi fanno ricorso agli animali (da cortile e selvatici), altri vanno a misurare i livelli di emissione di radon dai pozzi profondi, altri si immergono in calcoli astrusi che tengono conto delle forze mareali di pianeti e stelle, altri ancora si affannano a trovare correlazioni piuttosto ipotetiche tra eventi tellurici ed eventi solari di notevole rilievo (fares, in particolar modo). Personalmente ho dubbi grandi quanto una casa circa le possibilità umane di prevedere terremoti. Veniamo, però, al fatto che più mi interessa cioè l’adeguata comunicazione del rischio connesso al terremoto. Visto che abbiamo introdotto il concetto di rischio è appena il caso di sottolineare che esso è quantificabile. Nella bibliografia pacificamente accettata il rischio o, per essere più precisi, il livello del rischio è pari al prodotto di due grandezza: la probabilità di verificarsi del fenomeno rischioso e la magnitudo dello stesso (la maggiore o minore intensità delle conseguenze del fenomeno). Noi, nel caso dei terremoti, conosciamo entrambe queste grandezze. La probabilità è 1 (uno) perché in Italia sono pochissime le zone in cui un evento sismico non si verificherà mai, mentre esso si verificherà con certezza nella quasi totalità del Paese. La magnitudo è stata calcolata per ogni Comune della Repubblica con tanto di tabelle e di valori dell’accelerazione al suolo. Abbiamo, cioè, la possibilità di comunicare, comune per comune, il livello di rischio connesso al terremoto. In realtà non serve neanche comunicarlo in quanto è scritto a chiare lettere nelle leggi vigenti. Calcolato il livello di rischio siamo anche in grado di ridurlo mediante opportune tecniche di mitigazione. Ciò che, a mio modestissimo parere, è necessario ed urgente comunicare, anche in maniera brutale, è che se si vogliono evitare le serie conseguenze di un terremoto, bisogna mitigare il rischio costruendo in maniera antisismica e demolendo o rinforzando gli edifici esistenti (personalmente ho pochissima fiducia nell’adeguamento sismico degli edifici: fatte le dovute eccezioni è molto più sicuro ed economico demolire e ricostruire).
I tentativi di creare dei modelli matematici che prevedano i terremoti, secondo me, hanno solo una valenza scientifica, ma da un punto di vista pratico non sono di grande utilità. Che facciamo, infatti, se un modello prevede un terremoto in una certa area, per esempio, una grande città? Scappiamo tutti, abbandonando lavoro e beni? Non credo proprio che questo sia fattibile in quanto la previsione sarebbe piuttosto aleatoria (vedi previsioni meteo, economiche e via cantando) e, in caso di falso allarme, i costi sarebbero spropositati.
Ciao, Donato.
Penso che l’accusa, per essere credibile dovrebbe dimostrare che una previsione fosse possibile, e tale da indurre a provvedimenti immediati. Che poi si sia davvero verificato il terremoto è solo una sciagurata coincidenza, che dovrebbe essere valutata insieme alle continue previsioni che non si verificano, come quella dell’11 maggio 2011, e le tante, tantissime altre previsioni di sciagure che regolarmente non si verificano. Un giorno, per dimostrare come sia non-scientifico fare previsioni sui terremoti, feci una previsione che ci sarebbe stato il giorno dopo almeno un terremoto (senza dire ovviamente né dove, né quando esattamente). Azzeccai la previsione (qualcuno se lo ricorderà, se ha seguito la mia pagina facebook, e comunque sta tutto lì e può essere ritrovato e riletto) e ci furono addirittura vari terremoti.
Perché non passa giorno, praticamente, che non ci sia un terremoto da qualche parte nel globo. Prevedere un terremoto, quindi, non è una previsione, è una certezza.
Diverso è prevedere un terremoto in modo che sia “utile”. Ma perché una previsione sia “utile” deve specificare il luogo, il momento e almeno grossolanamente l’intensità.
Non mi risulta che questo sia possibile in questo momento, e chi crede che lo sia, credo stia prendendo una cantonata colossale.
Se Giuliani avesse avuto un metodo scientifico per prevedere i terremoti, ne avrebbe previsti altri, e avrebbe avvisato. Non mi risulta che l’abbia fatto. Una volta può essere una coincidenza, ma per provare che non sia una coincidenza bisognerebbe fare altre successive previsioni esatte.
In mancanza di un seguito di previsioni esatte, non mi resta che pensare tutto il male possibile.
La forza dei ciarlatani sta nel fatto che la gente non bada o si dimentica le previsioni fallite, che sono la maggioranza assoluta. Nella mia pagina facebook ho elencato un certo numero di previsioni di fini del mondo. Ora, non mi chiedete se fossero sbagliate… 🙂
Secondo me.
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Vabbè, se non tornate al topic ritiro il post! 🙂
gg
Avevo subodorato una tua decisa reticenza, Guido, pero’ il problema della comunicazione e’ anche il problema di cosa fare quando le delibere ufficiali vengono distorte dai mass media (o quando un collega dice castronerie ai giornali). Stare zitti significa essere complici, nella mia modestissima opinione, specie in una situazione “acuta” come quella de L’Aquila.
In materia di salute pubblica c’e’ la ghigliottina, o delle procedure convenute e prestabilite. Le occasioni per i dilettanti porteranno loro solamente rogne.
Maurizio
non è reticenza. Ho scritto espressamente che non è mia intenzione entrare nel merito specifico della questione. Con ciò intendendo che non ritengo sia corretto discutere della liceità del procedimento, perché è in corso innanzi tutto, poi perché non conosco i fatti come si dovrebbe per parlarne, poi perché né la sismologia né il diritto sono campi in cui mi muovo a mio agio. Quello che mi interessa, e l’ho scritto nel post, è l’analogia con un presunto livello di comunicazione del rischio accettabile e necessaria (nella fattispecie forse omessa, si vedrà) e una comunicazione del rischio ai limiti dell’assurdo per le altre note vicende che animano i nostri quotidiani scambi di opinione. 🙂
gg
Non vedo molta differenza tra “comunicazione del rischio” e “mancata previsione”. Per esempio: se UARS fosse caduto su una casa facendo qualche morto, sarebbe stato legittimo denunciare la Protezione Civile? Visto che, ad evento concluso, possiamo dire che i modelli erano carta straccia e le probabilità di caduta erano sostanzialmente uniformi nella fascia di latitudini compatibili, direi proprio di no. L’unica soluzione “pratica” sarebbe stata l’evacuazione di massa della popolazione al di sopra del 50 parallelo. Direi che l’effetto del processo in corso si è già visto nel momento in cui la Protezione Civile ha suggerito di non stare nei piani alti ed eventualmente di mettersi sotto le architravi. Il secondo suggerimento assolutamente inutile, visto che le finestre che ci coninvolgevano erano notturne. Secondo voi milioni di persone non sono andate a dormire e si sono messe in piedi, ferme, sotto un’architrave? Ma se qualcuno ci avesse lasciato la pelle mentre non stava sotto un’architrave, be’, si poteva dire che era stato avvertito. L’effetto assurdo di iniziative giudiziarie assurde (garbage in, garbage out).
Cambiati i termini della questione, la stessa cosa vale per il terremoto dell’Aquila. Non sapendo dove avrebbe colpito non si poteva effettuare nessun piano di evacuazione, che sarebbe stata l’unica soluzione per evitare i morti.
Mi assumo la responsabilità di quello che dico: il processo è un’indebita ingerenza del mondo giudiziario che spesso si crede il padreterno. In passato abbiamo avuto già episodi simili, quando qualche magistrato impose il rimborso da parte dello stato degli intrugli di qualche improbabile scienziato spacciati per medicine.
Nel frattempo, mi risulta che abbiamo una mappa di rischio nazionale da dopo il terremoto del Molise e praticamente tutta l’area appenninica è a rischio. Qualche magistrato si è mosso per verificare se i comuni delle aree coinvolte si stanno dando da fare per la prevenzione?
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Fabrizio,
ho meditato a lungo circa l’opportunità di affrontare questo argomento. Per evitare nei limiti del possibile che si finisse a disquisire dell’opportunità del procedimento (cosa che ritengo impossibile fare in assenza di informazioni compiute e comunque non vorrei fare perché trattasi di territorio minato), ho volutamente spostato il ‘core’ del post sul problema della comunicazione del rischio e sulla solidità scientifica delle informazioni che la devono supportare.
Sinceramente preferirei che ci si attenesse a questo ambito nei commenti.
Al riguardo, proprio ora mi sono imbattuto in qualcosa di decisamente interessante in termini di modellizzazione delle probabilità di terremoti: http://quakesim.org/.
Quando si dice il caso.
gg
Per coerenza, allora, bisognerebbe processare anche chi ha lanciato allarmi infondati, come il famoso terremoto a Roma dell’11 maggio 2011…..e, a pensarci bene, ci sarebbe una sfilza di falsi allarmi, su cui la magistratura farebbe bene ad indagare 🙂