CDM, ovvero Clean Development Mechanism, uno dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto. Al link indicato è spiegato tutto chiaramente, ma ve ne riassumo il funzionamento. Un’azienda di un paese sottoposto a vincolo di emissioni nell’ambito del Protocollo, può realizzare progetti mirati ad attività che sviluppino tecnologie verdi nei paesi in via di sviluppo. Lo scopo è duplice: ridurre le emissioni e esportare tecnologia. La differenza tra quello che sarebbe emesso in assenza del progetto per le stesse attività e quanto emesso svolgendole, genera dei crediti di emissione (CER) per le aziende coinvolte. Questi crediti possono essere commercializzati sul mercato del carbon trading o mantenuti per far tornare i conti delle proprie emissioni in patria. Perché i crediti siano validi, la riduzione di emissioni del CDM deve essere addizionale a quelle che si avrebbero in assenza del progetto, altrimenti, di fatto, le emissioni non si riducono.
Chi decide quali progetti rientrano nei requisiti e quali no? I paesi interessati prima e un’autorità specificatamente designata poi, sulla base di un processo di certificazione definito in ambito UNFCCC. Se un progetto riceve l’approvazione e la certificazione e si scopre che i requisiti non sono rispettati, quello che circolava prima, l’anidride carbonica, continua a circolare, ma ad essa si aggiunge una circolazione di denaro di fatto basata su riduzioni di emissioni mai avvenute. Da notare che questo meccanismo serve ai paesi sottoposti a vincoli per raggiungere i loro obbiettivi di riduzione. Per quel che riguarda l’UE, inoltre, ai meccanismi e alle riduzioni imposte da Kyoto si sono aggiunte anche le norme comunitarie, il mancato rispetto delle quali è potenzialmente passibile di sanzioni all’interno dell’Unione.
Ed ecco che un mese fa sul sito di Wikileaks viene pubblicato un cablo dal quale si capisce che molti dei progetti CDM avviati e approvati in India non possedevano i requisiti per la certificazione e che le autorità indiane erano a conoscenza del mancato rispetto del principio di addizionalità. Nonostante ciò i CERs sono stati concessi, le riduzioni conteggiate e i soldi hanno girato.
E così, dalle pagine di Nature leggiamo:
Quanto trapelato conferma la nostra opinione che nella sua forma attuale i CDM sono sostanzialmente una farsa “, dice Eva Filzmoser, direttore del programma CDM Watch, un organizzazione di sorveglianza con sede a Bruxelles. Le rivelazioni implicano che milioni di tonnellate di riduzione delle emissioni di gas serra sono solo fantasmi, dice, e mettono potenzialmente in dubbio il principio del carbon trading. “Alla luce di questi commenti non c’è da meravigliarsi che gli Stati Uniti si siano tenuti lontani dall’emission trading”, dice Filzmoser.
Nell’articolo di Nature, cui va dato atto di aver portato a conoscenza del mondo del clima e del grande pubblico una notizia che aveva sin qui circolato molto poco, sono presenti anche altre opinioni di personaggi più o meno autorevoli del settore dei CDM. Uno di questi, Martin Hession, a capo del CDM Executive Board, ci tiene a far sapere che “il CDM è molto più trasparente e affidabile di quanto il tenore di questo messaggio lasci immaginare“.
Non abbiamo dubbi. In ragione di questa trasparenza è però lecito attendersi che i CERs – ad oggi in India i progetti CDM sono 720 per 120 mln di tonnellate di riduzione delle emissioni- siano rivisti, sottoposti a nuova e questa volta reale procedura di certificazione, e se nel caso annullati, con relativa restituzione del maltolto da parte di chi ne goduto, possibilmente prima della prossima kermesse climatica di Durban.
Quando poi si decideranno ad ammettere che l’intero concetto di scambio delle quote di emissione serve solo a delocalizzare il problema e a movimentare valanghe di denaro di cui il circo del clima che cambia non può fare a meno pena rivelarsi per quello che è, sarà sempre troppo tardi. Altrimenti, sarà impossibile non dar credito alle dichiarazioni di Ottmar Edenhofer prima del summit di Copenhagen, e cioè che “La politica del clima non ha più nulla a che fare con la salvaguardia dell’ambiente. Il futuro summit climatico di Cancun, sarà in realtà un summit economico, durante il quale sarà negoziata la redistribuzione delle risorse mondiali”. Con questo il problema, se vi era mai entrato, esce dai canoni scientifici e entra in quelli politici, che sarebbe preferibile fossero discussi in ambito elettivo, non dalla burocrazia delle organizzazioni sovranazionali, a quanto pare quanto meno inadatte e gestirlo.
…alla fine la domanda è una sola: chi paga per questa mega-bufala (..o dovrei dire “truffa”..) mondiale?
Credo che la tua sia una domanda retorica, ovviamente.
Ciao, Donato.