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Il meglio che abbiamo

L’eresia è il sale del dibattito. Desidero sgombrare il campo da ogni genere di dubbio: questa non è una mia opinione ma la condivido totalmente. E’ un pensiero di Freeman Dyson, espresso in un lungo articolo che trovate qui, tra le news di CM. Il mondo ha da sempre avuto bisogno di eretici, alcune volte le loro teorie si sono dimostrate esatte, altre volte no, ma hanno sempre contribuito al progresso. A determinare chi sia eretico e chi non lo sia sono generalmente i numeri. Quando le opinioni cessano di essere voci nel deserto ed iniziano ad essere condivise da un buon numero di eretici, cessano anche di essere eretiche.

Se il dibattito sul clima e sulla sua evoluzione, compresa la possibilità che questa abbia origini antropiche o meno, fosse rimasto nell’alveo del confronto scientifico,  il contributo degli eretici sarebbe stato quindi prezioso e ben accetto. Purtroppo però questo non è accaduto, nè mai potrà più accadere perché le conoscenze scientifiche si sono inestricabilmente intrecciate con le esigenze politiche, nel segno della ricerca di risposte chiare ed inequivocabili che supportino ora questa ora quella decisione. Un mondo scientifico che dovesse rispondere semplicemente “noi non sappiamo”, cioè che dicesse la verità sul livello di comprensione scientifica del sistema clima, sarebbe ritenuto inutile in una società volubile e dinamica quale quella che ci siamo dati. Urgono perciò certezze assolute, poco importa se queste siano molto più dogmatiche che altro, perciò bando ai dubbi, al dissenso, all’eresia. Ma c’è di peggio: le risposte necessarie, per essere impiegate politicamente non devono riguardare problemi stringenti ed apparentemente facili da risolvere, meglio che si proiettino in un futuro lontano. In questo modo la scelta di policy si ammanta di lungimiranza traendone grande beneficio ed evita allo stesso tempo di confrontarsi con il campo minato della quotidianità, nel quale esiste la possibilità che i risultati ottenuti siano sottoposti a verifica.

Negli ultimi anni siamo stati a poco a poco convinti che sia assolutamente necessario conoscere quale potrebbe essere l’evoluzione del sistema clima nel corso dei prossimi due o tre secoli. Ultimamente si è andati ancora più in là, scavalcando la scala temporale millenaria. Naturalmente gli strumenti messi a punto per sviluppare queste indagini hanno rispettato le specifiche: essere assolutamente inutili nel breve e medio periodo e fornire invece quadri chiari e leggibili nel lungo periodo, in modo che quanto immaginato, simulato e ipotizzato sia assolutamente non verificabile. Di questi strumenti si deve quindi avere fiducia tout court e, soddisfatti della rassicurazione che essi rappresentano il meglio che abbiamo, ci si deve adattare all’uso che di questi fa l’orientamento politico.

In una società che evolvesse in una scala temporale paragonabile a quella climatica questo sarebbe a ben vedere molto utile. Ma nella realtà del nostro mondo, cambiato dal giorno alla notte rispetto a solo due o tre decenni fa, tutto questo non può funzionare. Ciò di cui si ha bisogno sono informazioni nel breve e medio periodo, che supportino ad esempio scelte concrete, come ad esempio la costruzione di argini più solidi attorno a città come New Orleans o evitino di popolare zone geologicamente instabili o depresse, di cui è ad esempio ricco il nostro paese. Per queste cose non c’è bisogno che il clima cambi, le abbiamo già. Qualcuno è veramente disposto a credere che spendere migliaia di miliardi di dollari o euro dietro alla CO2 possa evitare che altri uragani entrino nel Golfo del Messico o altre piogge torrenziali colpiscano Capoterra? Qualcuno immagina veramente che sia possibile evitare che le isole del Pacifico, che svettano -si fa per dire- di appena pochi metri sul livello del mare in quanto prossime alla fine del loro ciclo geologico, possano resistere più a lungo grazie a velleitarie politiche di mitigazione? Dov’è l’utilità di scelte che non tengano conto di questo?

Uno dei lettori di Climate Monitor ha fatto di recente questo commento: […] D’altronde è meglio spendere denaro per sapere che il numero deli orsi bianchi al polo nord è aumentato che dare acqua potabile a 150 milioni di bambini che soffrono la sete […]. Temo che abbia ragione, nel prossimo futuro ne sapremo sempre di più su orsi, coralli ed affini e sempre meno di tutto il resto ma, poco importa, avremo usato il meglio che abbiamo che, evidentemente, non è il nostro cervello.

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Published inAmbienteAttualità

Un commento

  1. Giancarlo

    Avrei preferito NON condividere mai questo articolo, ma purtroppo o per fortuna mi trovo invece a doverlo fare.
    Qualsiasi persona onesta intellettualmente NON potrebbe non condividere quella che in fondo è la parte della nostra essenza, elevata e promossa ai vertici del nostro stesso “sistema mondo”.
    La scienza in effetti stà naufragando, fra catastrofismi e “doverose” menzogne montate ad arte per “il bene dell’umanità”
    … o forse del suo prodotto interno lordo.
    Forse l’umanità , nella sua accezione moderna ma non troppo , sarà salvata assieme al pensiero, del quale si è nutrita fino quasi ai nostri giorni, da una “legge della compensazione”.
    … In fisica ovviamente esiste, anche se non sempre riusciamo a leggerne tutti i passaggi.
    Anche l’economia di mercato segue un andamento ciclico fatto di alti e bassi ed anch’esso è in qualche modo soggetto ad una sorte di “legge della compensazione”
    Se si forma una montagna da una parte, si creerà un abbassamento del suolo, da un’altra …
    e questo vale anche per la distribuzione della ricchezza, senza per questo voler fare qualunquismi.

    La verità invece sembra seguire un percorso indipendente , che raramente accompagna il pensiero umano contemporaneo (semmai l’avesse seguito), o perlomeno, … quello che sembra sia rimasto “sul mercato” delle idee e dell’uso che si fa del nostro cervello (parte analitica).

    Cordiali saluti
    Giancarlo

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