La NOAA ha emesso un comunicato stampa lo scorso 8 settembre: NOAA’s Climate Prediction Center: La Niña is back. Non proprio una buona notizia. Una nuova virata verso il territorio negativo dell’indice ENSO avrà certamente i suoi effetti. In primo luogo fornirà ancora carburante alla stagione degli uragani in area Atlantica. Questo potrà magari far piacere a chi aveva emesso già in maggio la previsione di una stagione “sopra la norma” in termini di intensità e frequenza di questi eventi, ma non sarà gradito certamente a chi vive nell’area caraibica e sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Seguiranno poi rischi elevati di piogge torrenziali sull’Australia orientale, si spera con violenza diversa da quella dell’anno scorso. E sarà inoltre confermata la fase siccitosa negli Stati uniti centrali. A tutto questo, con molto minore capacità di comprensione e prognosi, si sommeranno tutte le altre teleconnessioni che accompagnano gli eventi di raffreddamento del Pacifico equatoriale, compresa la possibilità di un inverno piuttosto rigido per l’area europea.
Sicché, mentre il tempo atmosferico e il clima stagionale continuano ad andare per i fatti loro, registriamo l’ennesima insuccesso per una allora dubbiosa, oggi veramente incomprensibile prognosi di un ruggente ritorno di El Niño, ovvero del caldo, ovvero del riscaldamento globale, ovvero del disastro climatico, che James Hansen, gestore del dataset delle temperature superficiali globali della NASA (GISS), aveva esternato nel marzo scorso:
“Sulla base delle temperature sub-superficiali oceaniche, sul modo con cui si sono evolute nel corso del recente passato, e in analogia con lo sviluppo di precedenti episodi di El Niño, riteniamo che il sistema stia evolvendo verso un forte El Niño ad iniziare da questa estate [quella appena finita per intenderci]. Non è sicuro ma è probabile.”
Nessun problema, tutte le previsioni possono essere sbagliate. Tranne, naturalmente, quelle di un clima disfatto tra qui a cent’anni.
non dimentichiamo inoltre che ci e’ stato detto, a causa delle emissioni cattive gli uragani atlantici saranno di meno ma piu’ potenti. Quest’anno, ovviamente, sono di piu’ e meno potenti…
una domanda:
ma quelli che hanno previsto più uragani, l’avevano fatto sulla base di una temperatura media globale in aumento, o in diminuzione ?
Perché la cosa cambia.
Diceva qualcuno che si può “andare in paradiso per sbaglio” … 🙂
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Giusta osservazione Guido. L’anomalia positiva delle SST atlantiche è ovviamente entrata nel discorso, anche se da quanto abbiamo scritto qui http://www.climatemonitor.it/?p=19193, non pare abbia giocato un ruolo importante. Anzi, è più evidente la sottrazione di calore ad opera dell’uragano che ha fatto precipitare l’anomalia in territorio negativo che il fueling del calore nei confronti del ciclone.
gg
Scusate l’ignoranza ma cosa significa “…gestore del dataset…”?
La NASA passa ad Hansen i propri dati e lui ci fa quello che vuole?
La domanda è seria.
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Andrea, mentre scrivevo sapevo che questa definizione avrebbe suscitato qualche perplessità. Hansen è a capo del GISS (Goddard Institute for Space Studies). il GISS gestisce, ovvero assimila i dati, li post-elabora e poi li pubblica, delle temperature medie superficiali globali. Lo stesso lavoro che fanno l’NCDC (NOAA) e l’Hadley Centre dell’East Anglia (quest’ultimi per conto dello UK Met Office). In questo senso è gestore del dataset. So che avrei potuto e dovuto spiegarlo meglio, ma sono erroneamente partito dal presupposto che la figura di Hansen sia piuttosto nota nell’ambiente.
gg
Ma la NASA non può “gestire” direttamente i propri dati?
Perchè appalta questo lavoro a terzi, che di terzietà hanno ben poco?
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Ma come terzi, il GISS è la NASA: http://www.giss.nasa.gov/
gg