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Grano nel serbatoio e alberi nelle centrali: Che affarone!

Dall’Informatore Agrario. Il mondo dell’agricoltura si accorge che la conversione delle coltivazioni da colture destinate all’alimentazione a quelle per il biocarburante è un problema. E come se non bastasse di aggiunge anche la speculazione, altra pratica praticamente sconosciuta nevvero? Così, i prezzi delle materie prime alimentari aumentano a dismisura. Dal giugno 2010 a maggio 2011 il prezzo internazionale del grano è passato da 158 a 354 dollari la tonnellata, +124%.

Grano tenero sempre più conteso tra pane e biocarburanti, questo il pezzo.

Gli eventi atmosferici e gli incendi un Russia e Ucraina hanno avuto il loro peso, mentre in Europa e Canada la produzione è scesa a causa del freddo. Molto meglio in Sud America, dove la produzione è aumentata, limitando quindi il deficit rispetto all’anno precedente al 5%. Nel frattempo la domanda cresce, soprattutto per la pressione dei paesi in via di sviluppo. Su tutto questo una speculazione che il Commissario UE all’agricoltura ha definito “scandalosa”, deplorando l’uso eccessivo dei mercati a termine, futures, altro strumento finanziario del tutto sconosciuto…

http://www.informatoreagrario.it/ita/Riviste/Infoagri/11ia31/5900_web.pdf

Così, quelli che dovrebbero essere degli strumenti atti a controllare la volatilità del mercato, divengono invece fonti di grande profitto per gli operatori extra-agricoli, accrescendo invece le difficoltà degli operatori del settore e dell’utenza.

Nel frattempo la domanda cresce, con le percentuali di prodotto destinate all’alimentazione diretta o indiretta che aumentano nei paesi in via di sviluppo e diminuiscono in quelli sviluppati, dove però cresce la percentuale di prodotto destinata al biocarburante. Se infatti in alcuni paesi grandi produttori il biocarburante viene soprattutto dal mais, salvaguardando in parte la produzione di grano, è soprattutto in Europa che si è dato molto impulso all’utilizzo del grano per la produzione di carburanti, anche perché l’Europa continua a correre davanti a tutti nell’imporre ai paesi UE di accrescere la percentuale di combustibile non fossile utilizzato per soddisfare il fabbisogno dei paesi membri al fine di “contrastare il cambiamento climatico”. Direi che come strategia salva-pianeta non c’è male.

Nelle stime dell’OCSE e della FAO tuttavia, la percentuale di grano utilizzato per l’autotrazione dovrebbe arrivare all’8% nel 2020, senza che questo “implichi una sottrazione di quantitativi ai segmenti principali“, perché nel frattempo dovrebbero aumentare (a Dio piacendo e tempo permettendo) le superfici destinate alla coltivazione e le rese per ettaro. Che questo poi implichi a sua volta un problema di variazione di destinazione d’uso del suolo e di eccessivo sfruttamento delle risorse è un’altra storia, il cui finale certamente più problematico di quanto potranno mai esserlo le emissioni antropiche di anidride carbonica in atmosfera, evidentemente sfugge agli analisti di queste due istituzioni.

Ma non è tutto grano quel che brucia, purtroppo, nelle climaticamente consapevoli strategie di questi anni. Altro problema non da poco è quello dell’utilizzo delle biomasse per il riscaldamento e per la produzione di energia, settore che molti giudicano promettente ma che cela anch’esso forti elementi di perplessità.

Leggiamo questo articolo da corriere.it:

Centrali a biomasse con alberi del Sud del mondo per le «nostre» rinnovabili – Multinazionali hanno acquisito terreni nel Terzo mondo per piantare alberi da trasportare in patria

Per ora solo in Gran Bretagna, diversi vegetali, stessa direttiva UE di aumento del ricorso alle fonti rinnovabili. Alberi che arrivano via nave per diversi progetti di centrali a biomassa, con aumento del fabbisogno di materia prima stimato nel 600%. E così è scattato l’interesse delle compagnie dei paesi sviluppati per l’acquisizione di grandi quantità di terreno, soprattutto in Africa.

Tra questa esigenza (?) e quella descritta sopra per il biocarburante, sarà difficile trovare un orticello dove far crescere qualcosa da mangiare, dove tra l’altro, e siamo certi che questo non sfugge né all’OCSE né alla FAO, si fa decisamente fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.

Non sfugge infatti agli autori di questo paper dello IIED (Istituto Internazionale per l’ambiente e lo sviluppo), che “il crescente interesse esterno in terreni africani per progetti agroalimentari o bioenergetici crea rischi importanti per le popolazioni locali” che spesso non possiedono la terra ma la usano in concessione quando non per tradizione familiare, finendo così per essere esposti al rischio che le amministrazioni statali, che con il business internazionale hanno più volte dimostrato di andare molto d’accordo, decidano in loro vece di cambiare la destinazione d’uso delle piantagioni.

Così leggiamo dal sito IIED appena linkato:

“Gli occhi di tutti sono puntati sul cibo e sui biocaburanti, ma la coltivazione di alberi per energia da biomassa potrebbe diventare presto un motivo per la corsa globale all’acquisizione di terreno,” dice Lorenzo Cotula, un ricercatore dell’IIED coautore del paper. Duncan Macquueen, anch’egli ricercatore e coautore aggiunge: “Il legno è una fonte energetica rinnovabile vitale, e i paesi del sud del mondo dovrebbero svilupparla per la sicurezza energetica locale, non al fine di esportarla per sostenere il deficit energetico del nord del mondo a spese delle loro stesse popolazioni.”

Una domanda che ci siamo posti molto spesso su queste pagine: ma IPCC, FAO, OCSE e compagnia cantando, si parlano? E che si dicono?

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Published inAttualitàNews

2 Comments

  1. donato

    Le organizzazioni internazionali, molte volte, non sono la soluzione del problema ma sono parte del problema. Nella stragrande maggioranza dei casi sono organismi burocratici elefantiaci che, per le sole spese di funzionamento, bruciano una parte consistente del loro budget. Se poi si parlano o meno è un altro discorso: personalmente credo che il dialogo sia piuttosto limitato ma, non essendo un esperto di politica e di istutuzioni internazionali, il mio è solo un parere di bassa lega.
    In merito alla speculazione finanziaria sui prodotti agricoli, credo che non scopriamo nulla di nuovo. Ormai si specula su tutto: futures, derivati e derivati dei derivati hanno drogato l’economia mondiale. I grossi fondi internazionali muovono volumi monetari che superano di diverse volte il PIL mondiale: essi hanno soppiantato gli Stati e sono diventati i veri detentori del potere economico globale (che, oggi come oggi, rappresenta il potere reale). E adesso, passiamo ad un altro argomento, sempre legato al post.
    Mentre ero intento a leggere il post mi sono passate davanti agli occhi le immagini di volti familiari che si lamentavano delle disastrose condizioni economiche in cui versano. Persone che ho conosciuto come benestanti e, oggi, me le ritrovo in condizioni di disagio economico, tutti agricoltori, allevatori ed imprenditori legati al mondo agricolo (alla terra, si sarebbe detto una volta). Si parlava di grano venduto a 354 dollari a tonnellata. Dove, però? Certamente non nel campo rovente dove è stato trebbiato, ma in qualche borsa delle varie city sparse per il globo. Il grano appena trebbiato, da notizie fresce di giornata, dalle mie parti viene venduto a meno di 200 euro a tonnellata: non si riesce nemmeno a coprire le spese di produzione con questo prezzo. Qualche giorno fa, alla radio, ho ascoltato l’intervista ad un esperto di problemi agricoli. Egli ripeteva, pari pari, le parole usate da G. Guidi nel suo post e, concludeva, paventando, di qui a poco, una carenza di prodotti alimentari addirittura negli scaffali dei supermercati. Come si vede, di qui a qualche anno non solamente in Africa, ma addirittura nei paesi sviluppati potremmo avere il problema di mettere insieme il pranzo con la cena. Le cause? Credo che oltre alla sottrazione del terreno agricolo alle coltivazioni per uso alimentare per far posto a colture destinate ai biocarburanti o alla produzione di biomassa, esistano anche altre ragioni che stanno mettendo in ginocchio la nostra agricoltura e che in questa sede non credo sia il caso di esaminare. Dico solo che si tratta di cause economiche, culturali, politiche e sociali molto complesse.
    Ciao, Donato.

  2. francesco salvadorini

    Ai terreni sottratti all’agricoltura, aggiungerei anche quelli coperti dalla ferraglia del fotovoltaico.
    Cordiali saluti

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