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Mazzarella e Scafetta: La NAO ha un ciclo di 60 anni

Sessanta anni, tanto sarebbe secondo l’ultima pubblicazione di Adriano Mazzarella e Nicola Scafetta la lunghezza delle oscillazioni della North Atlantic Oscillation (NAO). Nota sin dagli anni ’20 del secolo scorso, la NAO è estremamente familiare per i meteorologi europei. Scaturendo infatti dalle variazioni del gradiente di pressione tra le isole Azzorre -sede dell’omonimo anticiclone- e l’Islanda, a sua volta zona di caccia della omonima depressione, la NAO determina il percorso delle perturbazioni che scorrono nel letto degli westerlies ovvero dei venti occidentali delle medie latitudini. Semplificando al massimo, la NAO fa letteralmente il bello e il cattivo tempo per le coste occidentali europee e non solo.

Leggendone la definizione, avrete appreso che la NAO subisce normalmente oscillazioni ad alta frequenza. Ciò non toglie che come molti altri meccanismi del sistema climatico possa per periodi più lunghi, e magari ciclicamente, spostare verso l’alto o verso il basso lo zero dell’oscillazione, trasferendo quindi dal piano meteorologico a quello più squisitamente climatico i suoi effetti.

E’ questa la tesi sostenuta nella pubblicazione di cui parliamo oggi:

Evidences for a quasi 60-year North Atlantic Oscillation since 1700 and its meaning for global climate change – THEORETICAL AND APPLIED CLIMATOLOGY DOI: 10.1007/s00704-011-0499-4

The North Atlantic Oscillation (NAO) obtained using instrumental and documentary proxy predictors from Eurasia is found to be characterized by a quasi 60-year dominant oscillation since 1650. This pattern emerges clearly once the NAO record is time integrated to stress its comparison with the temperature record. The integrated NAO (INAO) is found to well correlate with the length of the day (since 1650) and the global surface sea temperature record HadSST2 and HadSST3 (since 1850). These findings suggest that INAO can be used as a good proxy for global climate change, and that a ~60-year cycle exists in the global climate since at least 1700. Finally, the INAO ~60-year oscillation well correlates with the ~60-year oscillations found in the historical European aurora record since 1700, which suggests that this ~60-year dominant climatic cycle has a solar–astronomical origin.

Leggiamo quindi dall’abstract e poi successivamente dal testo che l’evidenza di questa ciclicità viene dall’analisi di molte serie di dati di prossimità (proxy) provenienti dal territorio europeo allargato ai confini con l’Asia. La necessità di ricorrere ai proxy scaturisce come sempre dall’indisponibilità di serie storiche abbastanza lunghe dell’andamento della NAO. Così facendo, invece, gli autori sono riusciti a risalire fino al 1650.

Nella discussione, il buon livello di correlazione dell’indice INAO con la lunghezza del giorno (LOD) e con i dataset della temperatura di superficie del mare dell’Hadley Centre autorizza a impiegare questo indice come un proxy per i cambiamenti climatici, mentre un’altra interessante correlazione con le serie storiche delle aurore in Europa, suggerisce delle origini solari e astronomiche come meccanismo causale di queste oscillazioni cicliche, ricollegandosi così ad un altro lavoro di Nicola Scafetta, nel quale si analizzava una oscillazione astronomica di analogo periodo (60 anni circa) collegata ai moti planetari.

Perché la lunghezza del giorno? Già in altri lavori di Adriano Mazzarella, questo parametro è stato preso in considerazione in quanto fornirebbe delle utili indicazioni circa le modalità assunte dalla circolazione generale dell’atmosfera a livello emisferico. Una diminuzione della lunghezza del giorno è associato a una circolazione prevalentemente zonale, ovvero disposta lungo la latitudine, per diminuzione della velocità di rotazione del Pianeta, con contrazione del vortice polare e periodi di riscaldamento. Diverso il discorso per un aumento dell’indice LOD, associato invece a circolazioni prevalentemente meridiane, cioè con asse nord-sud, vortice polare espanso e periodi di generale raffreddamento.

Sin qui una generica descrizione di queste dinamiche, ovviamente molto più approfondite nel lavoro di Mazzarella e Scafetta. Ora il meccanismo causale, analizzato partendo dalla correlazione dell’indice INAO con le serie storiche delle aurore europee.

L’aurora è un fenomeno di elettrificazione dell’alta atmosfera di chiara origine solare e astronomica. Sicché si torna anche in questo lavoro ad ipotizzare un collegamento delle dinamiche del clima con l’attività magnetica del Sole e con la modulazione che questa innescherebbe nel flusso di raggi cosmici che arrivano sul Pianeta.

Un discorso molto ampio e complesso quello affrontato in questo lavoro. Indubbiamente un discorso di impostazione puramente qualitativa, concentrato sulla descrizione delle possibili dinamiche evolutive del sistema nella sua totalità, piuttosto che nell’ambito ristretto del forcing indotto dalle attività umane che tanto piace al mainstream scientifico. Conosciamo già le critiche che potranno esser mosse: mancano i numeri, mancano i meccanismi fisici attraverso cui le dinamiche descritte innescherebbero queste oscillazioni.

Vero, come è vero che chi preferisce l’approccio riduzionistico con cui si attribuisce al forcing antropico la totale responsabilità delle recenti dinamiche del clima, i numeri invece li fornisce. Peccato che non siano quelli giusti.

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NB: il prof. Mazzarella, che ringrazio moltissimo per avermi segnalato questo lavoro, mi ha autorizzato a renderlo disponibile. Trovate il pdf a questo link.

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Published inAttualitàNews

Un commento

  1. Maurizio Rovati

    Secondo me non si tratta di un approccio riduzionista, ma di un approccio riduttivo. Il riduzionismo epistemologico chiede di prendere in considerazione il minor numero di fatti sufficienti a spiegare un fenomeno, non di rinunciarvi in favore di uno solo.

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