Se non ci fosse di mezzo la tempesta finanziaria non si parlerebbe d’altro. Così è stato in effetti per quei pochi giorni in cui sembrava che le acque del mercato globale si stessero calmando. Parlo della carestia nell’Africa orientale.
Il 3 agosto scorso esce su Nature un articolo di Chris Funk. Lo ritroviamo sulle pagine di greenreport.it, eccone un estratto:
Avevamo previsto la carestia nel Corno d’Africa un anno fa, con largo anticipo. Ma nessuno è intervenuto, neppure quando le previsioni si stavano puntualmente avverando […].
[…] Il FEWS NET sa anche, per averlo più volte sperimentato sul campo, che un periodo di scarse piogge accompagnato da una contingenza economica con forte rialzo dei prezzi delle derrate agricole determina una forte erosione nella capacità del sistema agricolo di quelle zone di assorbire la siccità. Insomma, facilmente la siccità si trasforma in carestia.
Inoltre, Funk e i suoi colleghi hanno appreso, dalle misure dei climatologi, che la temperatura delle acque dell’Oceano Indiano sta aumentando a causa, appunto, dei cambiamenti climatici. Che un certo rialzo era previsto per la primavera. E che l’alta temperatura dell’Oceano Indiano avrebbe prodotto siccità in tutta l’Africa Orientale per l’intera primavera.
Sulla base di queste tre considerazioni la previsione era scontata: di lì a un anno il Corno d’Africa sarebbe andato incontro a un periodo di terribile carestia.
Il FEWS NET, sostiene Funk, lo ha detto e scritto. Ma è evidente che nessuno lo ha ascoltato.
Perché? Il motivo indicato dal ricercatore americano è preciso. I modelli di previsione dei cambiamenti climatici presi in esami dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) non hanno come obiettivo lo studio del cambiamento del regime delle piogge. E quindi, su questo fronte, è impreciso. In particolare i modelli prevedono che l’Africa orientale diventi più umida, mentre da molti anni le piogge primaverili stanno diminuendo. Cosicché le agenzie delle Nazioni Unite e altri che operano nel Corno d’Africa si sono attrezzate per un futuro umido mentre è arrivata la siccità.[…] (grassetto aggiunto)
C’è parecchio da commentare e anche qualcosa da aggiungere.
Innanzi tutto l’aumento delle derrate alimentari. Contingenza meteorologica che ha condizionato i raccolti in giro per il mondo? Forse. Speculazione per conversione di colture destinate alla tavola all’autotrazione? Sicuro. Ne abbiamo parlato già mesi fa:
Prezzi elevati del cibo: chiarezza sulle cause CM, 22 febbraio 2011, di Claudio Gravina.
Il Famine Early Warning System Network dell’USAID è un sistema informativo progettato per identificare i problemi della catena di approvvigionamento alimentare che possano portare alla carestia o ad altre insicurezze alimentari nell’Africa Sub-Sahariana, in Afghanistan, nell’America Centrale e ad Haiti.
Funk è del mestiere, perciò si suppone che sappia quello che dice. Mi piacerebbe sapere in che modo le Nazioni Unite e altri che operano nel Corno d’Africa si sono attrezzati per affrontare un futuro umido e, se così è stato, in che considerazione sono state prese le previsioni dell’IPCC. Se le accuse di Funk fossero fondate, questo sarebbe un chiaro esempio di policy sbagliate perché fondate su previsioni sbagliate. Previsioni la cui inaffidabilità è assolutamente palese.
Certo si può dire che questo genere di previsioni non ha scopo operativo, o almeno non ne dovrebbe avere nel breve periodo. La gente però muore ogni giorno, non una volta ogni trenta anni per far piacere all’IPCC. E a quanto pare le previsioni operative c’erano, così come è noto che in quella parte del mondo la fame e la carestia sono endemiche. E invece no, noi guardiamo avanti, noi vogliamo salvare il Pianeta per le future generazioni, chi se ne importa di quelle attuali. Due anni fa il Presidente della FAO durante il meeting di Roma lamentò lo scarso impegno dei leader mondiali (che disertarono l’evento) sul problema della fame nel mondo in favore di un impegno molto più serio (e pratico) sul problema (presunto) dei cambiamenti climatici.
Ripeto, non so a quali consiglieri climatici si siano rivolti alle Nazioni Unite. Forse avrebbero potuto ascoltare quelli che dalle pagine di Science oggi fanno sapere che la correlazione tra l’occorrenza di episodi de La Niña e eventi siccitosi nell’Africa orientale è altissima e resiste da più di 20.000 anni, ovvero sin dove è stato possibile tornare indietro nel tempo studiando le sedimentazioni del lago Challa (qui, su Le Scienze trovate un sunto dell’articolo).
Ora i buoi (quelli che nel frattempo non sono morti di fame e di sete) sono scappati. E con un indice ENSO diretto ancora una volta in territorio negativo, ovvero con La Niña che pare proprio tornerà a dominare l’area equatoriale del Pacifico spingendo i suoi effetti fin sull’Oceano Indiano e quindi in Africa Orientale, che si fa? Pensiamo al Global Warming o ci svegliamo definitivamente dal torpore?
Mentre aspettiamo fiduciosi che suoni la sveglia ascoltiamo della buona musica salva-coscienze. Puntuale come un orologio svizzero, è infatti arrivata l’iniziativa mediatica di respiro globale, il classico concertone che per essere al passo sui tempi imperverserà solo sul web. Per carità, ognuno fa quel che può, ma al di là del rumore peraltro gradevole, non sembra che questo genere di iniziative, lanciate per la prima volta nel 1984 (oltre un quarto di secolo fa) abbiano sortito molti risultati.
[…] Ma intanto, mentre ci si preoccupa con ripetuti annunci, degli incendi della Tundra, ci si dimentica della carestia nel Corno d’Africa, forse perché ad approfondire troppo si scoprirebbe che le emissioni di CO2 c’entrano ben poco, come è possibile leggere su CLIMATE MONITOR. […]
Grazie, particolarmente interessante la parte sull’IPCC:”Il FEWS NET, sostiene Funk, lo ha detto e scritto. Ma è evidente che nessuno lo ha ascoltato. Perché? Il motivo indicato dal ricercatore americano è preciso. I modelli di previsione dei cambiamenti climatici presi in esami dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) non hanno come obiettivo lo studio del cambiamento del regime delle piogge. E quindi, su questo fronte, è impreciso. In particolare i modelli prevedono che l’Africa orientale diventi più umida, mentre da molti anni le piogge primaverili stanno diminuendo. Cosicché le agenzie delle Nazioni Unite e altri che operano nel Corno d’Africa si sono attrezzate per un futuro umido mentre è arrivata la siccità.[…]”
Interessante che queste cose ora le pubblichi anche il greenreport (quotidiano ecologista), sarà interessante vedere se sarà accusato di essere pagato dai petrolieri contro IPCC. Può darsi che con l’esplosione della bolla finanziaria in Borsa, il crollo del prezzo della CO2, l’improbabile firma del post-Kyoto, ormai il fronte AGW ha più di qualche crepa. A presto.