Nel meeting dell’American Geophysical Union dello scorso dicembre è stato presentato uno studio interessante che presenta chiavi di lettura piuttosto controverse1. Si mescolano la storia del Nuovo Mondo, con particolare riferimento al periodo coloniale e all’esplosione delle pandemie che gli europei hanno esportato nelle Americhe, il clima della Piccola Era Glaciale2 e la concentrazione dei gas serra in atmosfera di quell’epoca. Un tentativo di approccio a trecentosessanta gradi per cercare di comprendere se l’impatto delle attività umane sul clima possa essere iniziato davvero solo con l’era industriale o se questo sia addirittura più datato. L’impresa, di per sè ardua ed ambiziosa è forse a dire il vero anche un pò forzata dall’assoluta necessità di trovare un ruolo sempre più determinante all’azione dei gas serra, per cementare la convinzione che questi, in modo molto più accentuato, siano effettivamente la forzante di prima grandezza nelle recenti vicende climatiche.
Il concetto di partenza è la scoperta di tracce di una importante rigenerazione delle foreste del continente americano nel periodo immediatamente successivo alla nascita delle colonie europee. Una netta diminuzione degli incendi e l’annientamento rapidissimo delle popolazioni indigene con consegunte abbandono delle terre coltivate, sarebbero le cause scatenanti di questa rinascita vegetale. Tale rigenerazione, stimata in 5mln di km2 avrebbe sottratto dalle 5 alle 10Gt di carbonio dall’atmosfera, causando una diminuzione del 2% della concentrazione di anidride carbonica e quindi contribuendo all’importante raffreddamento occorso a scala globale dal 1500 al 1850 circa, ovvero nel periodo della PEG.
Non c’è dubbio che una lettura così interdisciplinare dei fatti sia affascinante e possa contenere molti aspetti largamente condivisibili. Le condizioni ambientali, geografiche e climatiche hanno del resto sicuramente giocato un ruolo determinante nella storia del pianeta e dell’uomo. Di questo ci ha parlato già Jared Diamond nel suo capolavoro letterario Armi Acciaio e Malattie, vincitore addirittura del premio Pulitzer. Quanto al meccanismo di forcing del clima causato da questi eventi mi sembra però che si possano sollevare alcune obiezioni.
Sappiamo che la CO2 interviene direttamente nel bilancio radiativo ed è legata all’aumento della quantità di calore disponibile sulla superficie unitaria da una funzione logaritmica. Questo al netto di tutti gli eventuali feedback, dei quali giustamente gli autori non parlano affatto e dei quali anche ai nostri giorni si può dire più o meno tutto ed il contrario di tutto. Perciò possiamo provare a fare due conti. La base di partenza può essere la concentrazione della CO2 stimata per la fine della PEG intorno al 1850, ovvero 280 ppm3; il 2% di questa si aggira attorno a 5-6 ppmv. Tale valore avrebbe indotto un forcing stimabile nell’ordine dei centesimi di °C. Per chiarire il concetto, se ciò avvenisse ai giorni nostri, la CO2 scenderebbe da 390 a 382ppmv. Più o meno la concentrazione dei primi anni di questo secolo. L’effetto sulla temperatura? Praticamente un soffio di brezza.
Altro problema. Con la quasi totale estinzione delle popolazioni precolombiane sono scomparsi molti milioni di individui, questo è putroppo assodato. Ma sembra quanto meno esagerato ritenere che all’epoca questi potessero aver adattato alla coltivazione, una porzione di territorio pari a poco meno di un terzo dell’america meridionale4. Ammettendo che questo sia effettivamente accaduto, dovremmo sottrarre dal calcolo tutta la Foresta Amazzonica che occupava ed occupa ancora circa 5,5mln di Km2 e l’area delle Ande, lunga 8000km e larga 500.  Sorge il dubbio che la vegetazione sia piuttosto aumentata nel periodo perchè con il raffreddamento potrebbero essere aumentate le precipitazioni e non che la rinascita delle foreste abbia contribuito a far scendere le temperature.
Che in effetti sono scese, come sottolineano gli stessi autori nell’affermare che insieme alla forzante solare ed agli eventi stocastici di origine vulcanica, forse ha giocato un ruolo di primaria importanza anche la diminuzione della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Questa è la buona notizia o se vogliamo il passo avanti. Infatti nonostante numerosi studi basati sui dati di prossimità quali sedimenti marini e lacustri o stratificazioni geologiche lo avessero già  individuato a scala globale, il periodo della PEG è stato eliso dalle ricostruzioni “ufficiali” della temperatura dell’ultimo millennio in quanto ritenuto regionale, ovvero relativo al solo continente europeo. A quanto pare invece CO2, cicli solari particolarmente deboli o eruzioni vulcaniche che ne siano stati la causa, la PEG ha interessato tutto il globo e, all’epoca, direi che l’effetto antropico per come molti lo immaginano sicuramente non c’era.
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