Certo, di questi tempi vanno ancora bene quelle d’oro, bene rifugio prediletto per quanti cercano di mettere al sicuro dalla crisi i propri risparmi (a patto di averne ovviamente), ma non sono lontani i tempi in cui il metallo giallo sarà sostituito dal fossile nero e polveroso.
Il ballo del commercio delle quote di emissione è iniziato da un pezzo e, benché il libero mercato lo abbia letteralmente stroncato – vedi la liquidazione del CCX negli USA– in Europa è eroicamente sostenuto a termini di legge, consentendo alla musica di continuare a rallegrare i soliti noti.
Il Manifesto li chiama i profittatori del clima, ma credo che chi scrive sappia che il clima non c’entra un fico secco. E’ business pesante, in cui vince chi fa meglio il gioco delle parti. Non a caso, come leggiamo chiaramente nel pezzo, i cosiddetti profittatori sarebbero gli stessi che osteggiano la fonte del loro profitto. C’è evidentemente qualcosa che non funziona.
L’oggetto, l’avrete capito, è il commercio di quote di emissione. Il problema, avrete capito anche questo, è che qualcuno ci sta facendo soldi a vagonate, con il placet delle istituzioni nazionali e sovranazionali che hanno prima pensato, poi scritto e poi implementato le regole del gioco.
Ora la questione è dicotomica. Nessuno lo aveva previsto? Difficile a dirsi, sono cose che circolano in rete da anni, ma si lasci pure il beneficio del dubbio. Era tutto previsto? Più probabile, ma anche qui mancano le prove.
Che fare? Stringere i denti e sperare che arrivi presto il 2012, non il 21 dicembre però, ma il 31, cioè la “naturale” scadenza del protocollo di Kyoto, la fonte di tutti questi guai. E pare -per fortuna- che non ci sia negoziato che tenga, non ci sarà un seguito.
“Dopo Kyoto il vuoto” titola il quotidiano ecologista Terra, proponendo un’intervista a Vincenzo Ferrara appena tornato dal consueto infruttuoso appuntamento negoziale in quel di Bonn. Tre gli elementi fondamentali dell’intervista. Nessuno sa da che parte stiamo andando in termini di legislazione “climatica”, il prossimo appuntamento a Durban vedrà un ennesimo nulla di fatto e nessuno ha voglia di assumersi la leadership di questi negoziati.
Beh, meglio il vuoto senza Kyoto che le tasche piene con.
Qualcuno saprebbe elencare una o piu’ conseguenze positive dell’attivita’ cambioclimatista dal 1992 in poi? Qualcosa di pratico, cioe’, e non la solita aria fritta delle dichiarazioni d’intenti.
Impossibile dare una risposta seria, quindi do una risposta ‘di panza’.
Il cambioclimatismo ha fornito a chi ci governa a livello nazionale e comunitario un sistema di controllo supplementare per influenzare economia, politica ed opinione pubblica. In nome di cosa dovremmo risparmiare energia, veder aumentare il prezzo delle risorse, fare delle rinunce se non in nome di un bene superiore (in versione laica)?…. Quindi ci ritroviamo un peccato originale (consumo di risorse ed emettere CO2), una punizione (catastrofe climatica) ed occasionali assoluzioni (comperare una Prius).
Io continuo ad illudermi che tutto questo viene fatto a fin di bene in quanto un “business as usual” conclamato dal 1992 avrebbe comportato diversi problemi. Non certo dal punto di vista energetico o dell’inquinamento visto che de facto da 20 anni si procede consumando allegramente sempre più fonti fossili, ma dal punto di vista politico la questione climatica è sicuramente un ‘collante’ che dà uno scopo comune all’Europa, da’ uno scopo a trattati mondiali e permette più o meno blandamente di controllare lo sviluppo i paesi emergenti ed i consumi dei cittadini.
La domanda è: chi ci governa a livello nazionale e comunitario crede davvero al cambioclimatismo? Perchè se ci si crede davvero, a mio modesto (e forse errato) parere si rischia di strozzare la gallina dalle uova d’oro…. ovvero di azzoppare irrimediabilmente le nostre economie.
Concordo pienamente con l’analisi “di panza”. In merito alla domanda una risposta molto qualunquista e forse sciocca è quella che viene a tutti: chi se ne importa del cambio climatico, vediamo di far soldi. Sono convinto che questa non è la risposta. Secondo me una buona percentuale di politici crede veramente all’AGW ed alle politiche di decarbonizzazione. E, suppongo, lo fa in buona fede. Esiste poi una percentuale, mi auguro modesta, che fa finta di crederci in quanto le lobby non sono una favola per bambini ma elementi concreti della vita politica ed economica nazionale ed internazionale. L’unione di queste due realtà fa maggioranza e, quindi, direttive comunitarie e leggi nazionali.
Ciao, Donato.
Molto semplicemente, presentarsi come difensore dell’ambiente e decarbonizzatore e’ come dichiarare che la propria politica sia basata, per esempio in Italia, sulla difesa della Mamma, della Nazionale di calcio e della Pasta al pomodoro. Consenso unanime, o almeno si spera, fra gli elettori.
Tanto poi, se le catastrofi arrivano, il politico cambioclimatista potra’ dire: “Non mi avete dato abbastanza poteri”. Se non arrivano, “Avete visto? Ho salvato il mondo!”. Fine della storia.
Infatti…
http://wattsupwiththat.com/2011/06/25/eu-carbon-credit-trading-takes-a-dive-in-greece-they-cant-hardly-give-eu-carbon-credits-away/#more-42243
Non manifesto il mio pensiero riguardo al Manifesto.
Intanto in Europa, siccome ci si è resi conto che nel 2020 non si potrà raggiungere il risparmio del 20% di energia primaria indicato come obiettivo dal mitico 20-20-20, si propone una nuova direttiva sull’efficienza energetica (N.B. una direttiva europea deve essere obbligatoriamente convertita in legge dai governi degli stati dell’ unione ). I provvedimenti proposti impongono, in vari modi, da qui al 2020 una riduzione dei consumi energetici dell’1,5% annuo. Il tutto ovviamente si rifletterà in un aumento del costo dell’energia previsto tra il 2,6 ed il 4,7%.
E come al solito le carbon-tax o gli interventi di efficienza energetica vanno a gravare sul prezzo del kWh di energia elettrica, sul prezzo del m3 di gas o sul prezzo del litro di benzina andando a pesare molto di più sui redditi bassi che sui redditi alti.
http://ec.europa.eu/energy/efficiency/eed/doc/2011_directive/com_2011_0370_en.pdf
Più che la gallina dalle uova di carbone, ho l’impressione, che a finire in brodo saremo, come al solito, noi contribuenti. Dice un vecchio detto che, in borsa, quando uno ride, cento piangono (ed io ne so qualcosa!). Anche in questo tipo di trading (quello dei permessi di emissione) sicuramente vale la stessa legge. Di conseguenza se questi signori stanno facendo soldi a vagonate, ci saranno altri che ce li stanno rimettendo. In economia le cose vanno come in fisica: la ricchezza si trasforma (pardon si trasferisce) non si crea o si distrugge. Chi, in questo momento, sta perdendo soldi? Questi certificati di emissione sono stati emessi dagli Stati (alias noi contribuenti) e ceduti alle industrie (gratuitamente, se ho capito bene) per consentire loro di produrre ed emettere carbone. Contestualmente gli organi di governo (i nostri rappresentanti) hanno legiferato in modo da ridurre le emissioni finanziando energie “verdi” (fotovoltaico, eolico, ecc. ecc.). In tal modo i contribuenti-consumatori hanno sopportato l’onere della spesa ed i soliti noti adesso possono lucrare vendendo i certificati di emissione in loro possesso. Noi comperiamo machine euro 5, loro inquinano; noi foraggiamo le imprese che installano pannelli fotovoltaici, loro guadagnano con il trading verde.
L’unica nota positiva di tutto questo discorso è che settori molto vicini all’ambientalismo nostrano cominciano a rendersene conto (Il manifesto, report della Gabanelli e via cantando). Meglio tardi che mai.
Ciao, Donato.
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Forse sarebbe il caso di tornare a crearla la ricchezza, magari producendo qualcosa di utile.
gg
Report? Dovevate vedere il peana dell’idrogeno fotovoltaico con annesse interviste a Rifkin. Il Manifesto? Dà contro a industrie dell’acciaio e del cemento che sono state costrette dagli stati ad entrare nel traffico del CO2 e che adesso causa crisi si ritrovano un tesoretto di crediti (ma bisognerà vedere quanto valgono perchè mi sa che 30 $/ton non li paga più nessuno).
Vero è che alla fine tocca pagare agli utenti, con le tasse, meglio se nascoste come contributo alle rinnovabili in bolletta.
Non sonomica fessi. La crisi è arrivata lasciandoli con quote di emissione inutilizzate. Ora le vendono, o ci provano perchè se il mercato vende i prezzi crollano e i miliardi sono solo sulla carta.