[photopress:MTGClimate_0170_Small.jpg,thumb,alignleft]Recentemente si è acceso un interessante scambio di battute in merito alle posizioni assunte nelle recenti pubblicazioni dell’IPCC. L’Intergovernmental Panel on Climate Change è stato fondato nel 1988, ad opera della World Meteorological Organization (WMO) e dell’United Nations Environmental Program (UNEP). In questi anni abbiamo sentito parlare molto spesso di IPCC e, ancora di più, dei suoi report, l’ultimo dei quali, il quarto, è stato pubblicato da pochi mesi. Chi legge o si interessa un po’ di climatologia, sa (benissimo) che i rapporti IPCC hanno scatenato discussioni molto accese, oggi ve ne proponiamo una piuttosto singolare e interessante, per la sua particolarità .
Tutto prende le mosse da un’affermazione di Kevin Trenberth, direttore del Climate Analysis Section presso il National Center for Atmospheric Research (NCAR), nonché lead author per l’IPCC (2001, 2007). Leggiamo nel weblog di Trenberth che l’IPCC non esegue previsioni, bensì fornisce proiezioni di come sarà il clima futuro, partendo da precisi scenari e livelli di emissioni di gas serra, in termini tecnici si tratta di scenari “what if”, ovvero “cosa succederebbe se…”. Perché Trenberth, scienziato di punta dell’NCAR e dell’IPCC, scrive un articolo per puntualizzare questi concetti? Perchè deve rispondere ad un intervento pubblico (con relativo rapporto) da parte di J. Scott Armstrong e Kesten Green, che analizzano in modo critico le previsioni IPCC. Armstrong è docente di Marketing presso la Wharton Business School (Università della Pennsylvania) ed è riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori studiosi di processi previsionali a lungo termine. Kesten Charles Green è ricercatore presso la “Faculty of Business and Economics”, dipartimento di Econometria.
Nell’introduzione al lavoro di Armstrong e Green si riassume il concetto di fondo espresso dai due scienziati: le previsioni IPCC sono prive di affidabilità e, statisticamente, nei prossimi 90 anni potremmo aspettarci tanto un riscaldamento globale, quanto un raffreddamento. Ed ecco che, finalmente, ci avviciniamo all’oggetto del contendere, infatti, Trenberth sostiene che l’IPCC non si occupi di previsioni climatiche. Ci troviamo di fronte, invece, a scenari che partono dal BAS (Businness as Usual, ovvero mantenimento dello status quo) e che via via prevedono percentuali differenti di mitigazione del riscaldamento globale di origine antropica, il tutto perfettamente confezionato per i policymakers, ovvero coloro i quali devono prendere le decisioni che contano per il futuro del nostro Pianeta. Del resto diversamente non potrebbe essere, considerato il fatto che l’IPCC è, in seno alle Nazioni Unite, un organo politico.
Leggendo questa sequenza di fatti, che vi proponiamo esattamente nell’ordine in cui sono accaduti, nascono molti dubbi e considerazioni. Ad esempio, è interessante sapere che l’IPCC ci proponga degli scenari possibili con diversi gradi di probabilità e non delle univoche certezze; questo bisognerebbe spiegarlo a buona parte del mondo mediatico e politico: è all’ordine del giorno, ormai, l’immagine di un 2099 con la Terra in preda a temperature da deserto del Sahara e con i mari che giungono nelle zone più interne dei nostri continenti. Magari questo è il “worst case scenario” (ovvero lo scenario peggiore possibile), ma la facilità con cui viene propinato ci fa dubitare che venga proposto come semplice possibilità .
Andiamo avanti, Trenberth afferma che nessuno dei modelli utilizzati dall’IPCC venga inizializzato a partire dalle condizioni osservate, quindi nessuno dei modelli utilizzati ha un legame con le condizioni climatiche attuali (nè si intende utilizzare tale legame), inoltre nei modelli non troviamo niente che assomigli alle sequenze di indici climatici teleconnettivi e non, quali ENSO, PDO, AMO (dietro queste sigle si nascondono indicatori climatici, utilizzati dagli scienziati per raffigurare determinati aspetti del nostro clima. Il più famoso è l’indice ENSO che sintetizza il comportamento del famosissimo fenomeno El Niño), troppo complessi questi meccanismi per essere replicati. Eppure si sottolinea l’importanza di tali fenomeni nel modificare ed intervenire sul clima, anche a livello planetario. Come se questo non bastasse, le condizioni iniziali di partenza dei vari modelli potrebbero portare ad evoluzioni successive estremamente divergenti e a degli errori, anche perché le condizioni iniziali non sono perfettamente note. Tutto questo porta alla seguente conclusione, a cui è giunto da molto tempo ormai il Dr. Pielke senior, noto meteorologo americano, attento studioso degli effetti del cambiamento climatico su scala locale. Dicevamo delle conclusioni di Trenberth, nelle quali si afferma l’impossibilità di poter valutare il cambiamento climatico su scala locale, almeno fino a che i modelli climatici non saranno correttamente inizializzati, ovvero partendo dalle condizioni attuali.
Per prevedere, o meglio, per designare gli scenari futuri, quindi, non rimane altro che utilizzare i modelli climatici e la loro capacità di individuare dei trend, gli scostamenti dei quali ci aiutano a comprendere la tendenza del sistema climatico stesso. Questo sistema funziona bene per le forzanti a livello globale, ma non per quelle a livello locale nè per particolari aspetti del clima come ad esempio il ciclo dell’acqua, e quindi la capacità di prevedere siccità a livello locale, da cui derivano numerosi effetti di feedback.
Sarà bene tenere conto di queste considerazioni quando leggeremo di un futuro climatico già segnato: pensiamo a come è stato generato quello scenario e con quali strumenti. Aggiungo, inoltre, che allo stato dell’arte, nonostante i cospicui fondi ricevuti in questi anni dalla ricerca nel campo della climatologia, gli strumenti a disposizione sono poco affidabili. Inizialmente era necessario sviluppare modelli ad altissima risoluzione, e questo è valso almeno un decennio di stanziamenti milionari. Adesso ci si è resi conto che, in ogni caso, il futuro della predicibilità è a livello locale ma i modelli sin qui realizzati difficilmente riusciranno ad assolvere a questo compito. Altri finanziamenti all’orizzonte? Sia chiaro, la ricerca è l’anima stessa della Scienza, e la ricerca costa. Ben vengano i sostentamenti economici, nella sola ed unica speranza che vengano indirizzati per meriti scientifici e non di appartenza. E inoltre, si tratterà di previsioni, o proiezioni?
Fonti
Biografie
La frase “non si è capaci di prevedere con esattezza neanche che tempo farà fra dieci giorni o anche meno, figurarsi il clima” e’ assolutamente priva di senso. Si parla di due cose differenti. Anzi, paradosslamente e’ piu’ facile prevdere il clima, perche’ si deve prevedere un’andamento medio. Per fare un parallelismo: lanciando i dadi, e’ difficle prevedere che numero uscira’ volta per volta (previsione meteo), mentre e’ piu’ facile prevedere la distribuzione media di N lanci.
Purtroppo la frase non e’ nuova….
Per l’articolo, l’IPCC ha sempre parlato di proiezioni o scenari, i mass media e i politici di previsioni, che nella loro ignoranza non fa differenza. Giusto puntualizzare quindi.
ciao
Silvio
Credo che questo articolo sia perfetto per far capire finalmente alle persone con una semplice passione per la meteorologia,come me,la sottile verità che divide meteoman e scienziati di tutto il mondo.Impossibile prevedere il futuro meteoclimatico della terra,facile però fare tendenze drammatiche,apriamo gli occhi ed usciamo dalla porta della fantasia,entriamo in quella della realtà ,che nell’articolo è ben spiegata.
Un grande complimento, articolo interessante e riflessivo.
Ottimo articolo, Claudio! Complimenti, davvero. Proiezioni e non previsioni: diverse persone erano già portate a dire che non si trattava di previsioni, in quanto non si è capaci di prevedere con esattezza neanche che tempo farà fra dieci giorni o anche meno, figurarsi il clima!
Ah, a proposito: non ho visto fumo. Se ci fosse stato, avremmo una proiezione più bassa di 0,8° C. (…)
Ciao!
cito ad esempio:
“il tutto perfettamente confezionato per i policymakers”
siamo perfettamente in sintonia, complimenti per l’articolo
Mah, non vedo dove stia la novità o la pietra dello scandalo. Sono cose note, se i media non le dicono è colpa loro, non dell’IPCC come si vuol far intendere in questo fumoso articolo….
Inanzitutto complimenti per il tuo primo articolo e poi diciamo che è fatto coi fiocchi Bravo Claudio