Da uno articolo pubblicato da Science Daily apprendiamo che secondo i calcoli fatti da un paio di ricercatori americani, autori di uno studio uscito sul PNAS , il cambiamento climatico previsto-prossimo-venturo (perdonate la ridondanza di declinazioni del futuro ma in effetti siamo tutti qui ad aspettarlo benché non si sia ancora visto un gran che) non avrà alcun impatto sulla produzione di energia eolica. Cioè, con specifico riferimento agli Stati Uniti, l’area su cui si sono concentrati, non sono previsti dai modelli di simulazione climatica dei cambiamenti significativi della ventilazione. Questo ci tranquillizza. In primis perché non vorremmo gettarci anima e corpo in qualcosa che poi si debba presto definire “finita” o in pericolo al pari delle fonti fossili. Secondariamente perché negli ultimi tempi abbiamo visto passare nelle pagine delle riviste scientifiche alcune ricerche che dicevano esattamente il contrario. Ad esempio in Europa pare che il vento sia diminuito, mentre altrove (non ricordo bene dove) sembra sia aumentato. Del resto, si sa, il vento è capriccioso.
Quando si dice il caso. Alcuni giorni fa due nostri lettori si sono scambiati un paio di commenti (qui e qui) circa la possibilità che uno sfruttamento su vasta scala dell’energia eolica possa avere un impatto sulle dinamiche atmosferiche. L’idea non è peregrina, perché non bisogna dimenticare che una pala eolica di fatto funziona sottraendo energia cinetica al sistema trasformandola in energia elettrica. L’obiezione sollevata dal primo dei nostri lettori è stata velocemente liquidata dal secondo fornendo dei dati piuttosto generici circa la quantità di energia disponibile nel sistema e la quantità che sarebbe invece necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico mondiale.
Alla richiesta successiva di dati più precisi e ponderati, non è giunta alcuna risposta, perciò ho fatto un po’ di ricerca in giro. E’ stato un lavoro semplice, perché il caso ha voluto che alcune risposte siano state recentemente rese disponibili fornendo un approccio al problema decisamente innovativo. La fonte è il blog di Roger Pielke sr, il quale ha pubblicato le coordinate di una nuova ricerca condotta da due ricercatori del Max Plank Institute con questo titolo: “Estimating maximum global land surface wind power extractability and associated climatic consequences”.
Perché si tratta di un approccio nuovo?
Anche qui per due ragioni. La prima è che il problema dell’estrazione dell’energia dal sistema, ovvero della quantità di energia disponibile, non è affrontato soltanto con approccio ingegneristico, cioè in funzione delle limitazioni tecniche della tecnologia eolica attualmente disponibile, ma è studiato in relazione alle dinamiche atmosferiche alla funzione che il vento svolge nell’ambito del sistema, con particolare riferimento allo strato più basso dell’atmosfera, il Boundary Layer, cioè lo strato dal quale questa energia sarebbe prelevata. Per quanto infatti si possa sperare nello sviluppo di tecnologie innovative – leggi Kitegen- difficilmente si potrà mai andare a cercare il vento più su di 800-1000 metri, per le difficoltà che sussisterebbero per trasportare poi l’energia al suolo. Le seconda se volete è meno tecnica ma parimenti importante. La ragione per cui il mondo si sta dannando per trovare delle risorse energetiche alternative (oltre ad essere per definizione finite quelle attuali) è che molti pensano che a furia di utilizzare le fonti fossili, emettendo grandi quantità di gas ad effetto serra, si corra il rischio di perturbare le dinamiche del clima, portandolo verso una deriva catastrofica. Logica vuole (o vorrebbe), che qualunque soluzione alternativa sia valutata in primis sotto questo aspetto, cioè esplorandone l’eventuale impatto sul sistema, altrimenti si rischia – posto che ci si creda- di fare più danno che guadagno.
Già questo sarebbe sufficiente a prendere sul serio questo lavoro, ma c’è anche molto di più. Dall’analisi dei due ricercatori scopriamo che la quantità di energia estraibile dal sistema è in realtà molto inferiore alle stime che si sono viste sin qui. Il valore che propongono è infatti in un range tra 18 e 68 TW. Va da sè che questi numeri sono comunque interessanti, perché la stima del fabbisogno mondiale è di circa 15-17 TW, ed è riferita alla totalità delle risorse disponibili. Non è infatti possibile pensare a nessuna risorsa energetica in via esclusiva, sicché già il minimo da loro stimato sarebbe più che sufficiente ad assicurare all’eolico un ruolo significativo.
Il problema è un altro, ed è riferito alle conseguenze che questa “estrazione” avrebbe in termini climatici. Concettualmente, ci sarebbe un’alterazione dei processi dissipativi nel BL, i cui effetti – scrivono i due ricercatori- sarebbero paragonabili a quelli stimati per un raddoppio della CO2, cioè per quello che i sostenitori delle origini antropiche del cambiamento climatico vedono come il disastro assicurato. Temperatura a due metri, flusso di calore sensibile e calore latente, precipitazioni e radiazione termica superficiale, tutti fattori che subirebbero delle modifiche significative. La simulazione mette a confronto l’estrazione di 17 TW dal sistema con il raddoppio della CO2 e con l’estrazione imputabile alla produzione di energia eolica nel 2008 (0.03 TW secondo dati della World Wind Energy Association). La turbolenza prodotta nei bassi strati da un massiccio ricorso alla fonte eolica, provocherebbe l’intrusione di aria proveniente da quote più elevate con temperatura potenziale più alta, provocando un aumento della…..temperatura. Saremmo punto e a capo, perché tutto questo vuol dire anche alterazione della trasformazione della radiazione solare incidente in energia di movimento. Allora sì che si potrebbe dire che il Global Warming può avere impatto sull’energia eolica, peccato che quell’impatto l’eolico se lo sarebbe procurato da solo.
Naturalmente però stiamo parlando di simulazioni, perché quello impiegato è comunque un modello, ovvero un sistema che sappiamo avere grosse difficoltà a riprodurre correttamente le dinamiche atmosferiche. Lo stesso però vale per gli impatti stimati di un raddoppio della CO2, per cui forse le due cose, pur forse lontane dalla realtà, sono comunque paragonabili. Inoltre i calcoli di Miller e soci sulla quantità di energia estraibile sono riferiti alle sole terre emerse non coperte da ghiaccio. Questo potrà apparire restrittivo ma ha una sua logica, perché gli impianti off-shore sono comunque in prossimità delle coste e quindi ad esse ascrivibili e perché operare generatori eolici sulle zone glaciali non è certo possibile attualmente.
E’ anche chiaro che tra 0.03 TW e 18/68 TW c’è un abisso, cioè una grandissimo potenziale di impiego dell’energia eolica, però, seguendo la logica di questo studio, impatti per ora decisamente trascurabili sarebbero necessariamente destinati a crescere.
Sono certo che altre ricerche del genere seguiranno, magari modificando in modo importante le conclusioni di questo studio, resta il fatto però che quello della quantità di energia effettivamente estraibile dal sistema e dell’impatto che questa estrazione avrebbe sul sistema stesso, non mi sembra sia un problema di poco conto.
NB:
- Qui c’è l’abstract della pubblicazione;
- Qui la versione integrale in pdf;
- Qui un interessante scambio di opinioni che Roger Pielke Sr ha avuto con uno degli autori.
[…] elettrica. Già qualche anno fa, sebbene solo in modo abbastanza sommario, avevamo affrontato una discussione sull’impatto che questa continua e crescente estrazione di energia potrebbe avere sulle […]
[…] vasta scala dell’energia eolica possa avere un impatto sulle dinamiche atmosferiche. … Leggi fonte notizia: Notizie correlate:Eolico sotto scacco: il global warming minaccia l’intensità dei […]
Giampiero, è vero semmai il contrario relativamente ai pannelli PV. Solo una frazione dell’energia incidente è trasformata in elettricità. La maggiore quota di energia incidente invece genera… calore, anche in virtù della colorazione scura dei pannelli. Non vedo alcun effetto compensativo con l’eolico, da questo punto di vista, anzi. Se oltretutto consideriamo che i pannelli installati in campo aperto impediscono la crescita di vegetazione, l’effetto globalmente riscaldante dovrebbe essere evidente. L’impatto zero purtroppo non esiste, checché ne dicano i sostenitori di queste tecnologie.
Articolo intrigante ma, a mio avviso, un po monco…
Difatti il supposto aumento della temperatura dovuto all’estrazione di energia dal nostro sistema chiuso inerente l’utilizzo delle pale eoliche ( e trasformato in energia elettrica) è ben controbilanciato dall’utilizzo su scala planetaria ( cosi almeno auspicato) dei pannelli fotovoltaici. Essi infatti, seguendo lo stesso ragionamento, sottraggono energia termica dal sistema, trasformando la stessa in energia elettrica, e quindi raffredano il sistema!!
Utilizzando un mix appropriato delle due tecnologie otterremo un buon bilanciamento dei due effetti contrapposti, vivendo tutti felici e contenti.
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Giampiero, come col Lego. Fantastico!!!
gg