Nel primo volume di Nature Climate Change, lo spin off della rivista scientifica più seguita interamente dedicato alle questioni inerenti il cambiamento climatico, è comparso un articolo molto lungo e articolato che affronta il tema della comunicazione della scienza del clima.
L’argomento non è affatto nuovo, anzi, negli ultimi mesi, dopo la la caduta di credibilità cui questa particolare branca delle scienze sperimentali è stata soggetta in seguito al climategate ed ai passi falsi del 4° rapporto dell’IPCC (4AR), in molti si stanno interrogando su come riguadagnare credito nei confronti della pubblica opinione e, soprattutto, dei decisori politici.
A dire il vero questo ha un po’ spostato l’attenzione dalle problematiche reali, cioè dall’elevato livello di incertezza che ancora sussiste nell’attribuzione delle recenti dinamiche del clima a cause in larga misura antropiche, verso un problema di mera comunicazione dei risultati acquisiti. Sembra che per buona parte della comunità scientifica – il mainstream- il problema non sia non aver ben compreso come funziona il sistema, fatto di cui è testimone il gap sempre più evidente tra scenari prospettati e realtà di quanto accade, quanto piuttosto come riuscire a convincere il mondo del rischio che si corre nonostante le incertezze di cui sopra. Non un problema di conoscenza dunque, ma di capacità dell’uditorio di comprendere i “segreti” della scienza del clima. Se l’incertezza cresce, questo diventa un problema serio per un mainstream il cui motto all’indomani dell’uscita del 4AR era “the science is settled“.
Nel testo di Nature Climate Change (“The role of social and decision sciences in communicating incertain climate risks“), è contenuto un periodo estratto da un’altro articolo della stessa rivista firmato da Kevin Trentberth, scienziato del National Centre for Atmospheric Research di Boulder, nel Colorado (More knowledge, less certainty), nel quale ci si interroga circa l’opportunità di giungere ad un livello appropriato di comunicazione dell’incertezza contenuta nelle proiezioni climatiche, onde evitare che quanto diffuso possa essere male interpretato. L’articolo di Trentberth è in pratica una breve descrizione di alcuni dei tratti salienti del futuro 5° rapporto dell’IPCC (AR5), atteso per il 2013.
Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di commentare il fatto che in questo prossimo lavoro il panel delle Nazioni Unite cercherà di affrontare specificatamente il tema delle previsioni climatiche nel breve e medio periodo (10-30 anni), abbandonando quindi il concetto di scenario climatico per questa scala temporale, continuando tuttavia ad adottarlo per la scala temporale più lunga (50-100 anni). L’attenzione di Trentberth va soprattutto ai modelli di simulazione del clima e, per certi aspetti, quanto da lui esposto è rivelante rispetto al problema di comunicazione della scienza del clima intesa come prioritaria rispetto alla scienza stessa:
[…] Un altro capitolo si occuperà di proiezioni a lungo termine, verso e oltre il 2100, utilizzando un pacchetto di modelli globali. Molti di questi modelli tenteranno di rappresentare in modo nuovo e migliore degli importanti processi climatici e i loro feedback – in altre parole, quei meccanismi che possono amplificare o attenuare l’effetto totale dell’aumento della radiazione entrante. Includere questi elementi produrrà delle simulazioni più realistiche del sistema climatico, ma introdurrà anche delle incertezze.
Così, ecco la mia previsione: L’incertezza nelle proiezioni climatiche dell’AR5 sarà molto maggiore che nei precedenti rapporti dell’IPCC, principalmente per le ragioni sopra espresse. Questo potrebbe rappresentare un problema per la comprensione del cambiamento climatico da parte del pubblico. Non sarebbe ragionevole attendersi che al crescere della conoscenza e della comprensione l’incertezza dovrebbe scendere? Ma mentre la nostra conoscenza di alcuni fattori aumenta, così fa la nostra comprensione di fattori che in precedenza non erano stati considerati o addirittura identificati. […]
Realizzare una scienza del clima innovativa pubblicamente potrebbe facilmente portare ad incomprensioni, e richiederà un grosso lavoro di comunicazione molto attenta verso il pubblico e i decisori politici, per essere sicuri che i risultati siano utilizzati in modo appropriato. […]
Le riflessioni di Trenberth meritano più di un commento. In primo luogo ciò che lui paventa, ovvero un uso sbagliato di quanto diffuso in ordine al livello di comprensione scientifica del cambiamento climatico, è esattamente quanto accaduto sin qui. E la colpa è, in larghissima misura, proprio di chi ha gestito la comunicazione su questo tema. L’aver attribuito il cambiamento climatico alle attività umane con un livello di confidenza statistica del 95% nel 4AR e nel relativo Summary for Policy makers, nonostante sussistessero – e ora ce n’è l’ammissione- ampissimi margini di incertezza, ha innescato una serie di tentativi di attuare politiche di mitigazione che hanno trasferito il problema dal piano scientifico a quello politico. Preoccuparsi di non essere capiti in futuro è piuttosto strano, specie da parte di chi si è in tutta evidenza fatto capire sin troppo in passato sovrastimando alquanto il proprio livello di comprensione del problema. In teoria il ragionamento sarebbe il seguente: un modello più complesso ma più realistico è politicamente scomodo, uno più semplice ma meno realistico è politicamente utile. Tutto questo perché aumenta il livello di incertezza, finendo per indebolire il messaggio del cambiamento climatico. In pratica lo scienziato si preoccupa di non riuscire a trasmettere correttamente un messaggio politico. Non sembra preoccupato dell’incertezza in sé, perché non la percepisce come tale. La verità è nel suo messaggio e ignora – o finge di ignorare- che quella incertezza identifica il suo livello di comprensione del problema, di fatto invalidando il messaggio. Sicché se ne fa un problema di comunicazione, ignorando ancora una volta che alla base di questa incomprensione c’è soprattutto l’incomprensione del problema da parte della scienza.
E’ certamente vero, come dice Trenberth al termine del suo articolo, che quello del cambiamento climatico è un problema di “alto profilo denso di significati politici che implica vincitori e perdenti” ma sembra che qui si stia più che altro cercando di non perdere la faccia, essendo consapevoli che con l’inserimento nelle simulazioni di fattori di primaria importanza precedentemente ignorati, si corre il rischio di non poter più dire al mondo di aver capito tutto e che il sistema è CO2 dipendente. Trovo curioso poi, con riferimento alle tecniche di comunicazione, che la figura 1 dell’articolo di Trentberth metta in evidenza l’accordo tra alcune simulazioni climatiche e le temperature osservate, troncando però il paragone ai primi anni di questo secolo, ovvero quando questo accordo è sparito del tutto. Al riguardo, non mi pare ci sia molta incertezza, quindi perché non dirlo, specie in un testo in cui si affronta con dovizia di particolari anche il tema delle previsioni di breve periodo?
Non so rispondere a questa domanda, ma forse perché non me ne intendo di comunicazione…
Poi, significativo il titolo dal paragrafo “From projection to prediction”. Parecchio tempo fa, ho sostenuto che consideravo i GCM degli ottimi strumenti di “proiezione” nel senso comune del termine, ove lo strumento, in qualche caso, supplisce alla carenza di comprensione con metodi statistici. Poi, mi è stato spiegato che il termine “projections” si riferiva a “what-if” scenarios. Cioè, quello che distingueva queste “projections” da “predictions” era solo l’andamento di alcune variabili libere (tipicamente l’andamento di immissione della CO2). Adesso, in tutto l’articolo di Trenberth traspare proprio l’ambiguità su come interpretare il termine “projection” cui siamo stati abituati (addirittura viene scritto che i what-if in fondo non erano così importanti per previsioni sul clima prossimo venturo: “Because the amount of warming that will take place up to 2030 is largely dependent on greenhouse gases that have already been released into the atmosphere, it is theoretically possible to predict, with modest skill, how the climate will respond over this time period”). Se i GCM sono divenuti o diverranno così evoluti da poter effettuare “predictions” o “forecasts”, fino ad oggi come dobbiamo interpretare le “projections”?
Mi fermo qui scusandomi per il lungo commento che ho preferito spezzare in sue. Vorrei solo precisare che sto solo cercando di dare la corretta interpretazione degli output dei GCM, non sto dicendo che siano sbagliati, o suggerendo di non ridurre le emissioni, o altro. Se qualcuno volesse contestarmi qualcosa, lo faccia su quanto ho scritto.
Ciao Agrimensore g e ben tornato. Qualche mese fa lo letto il tuo sfogo in cui annunciavi di non voler più scrivere di clima. Me ne dispiacqui. Oggi sono contento di leggerti di nuovo.
In merito all’articolo pubblicato noto, con grande tristezza, che continua il dialogo tra sordi. E’ quasi impossibile discutere serenamente di problemi. Si trascende sempre nel bisticcio (verbale, fortunatamente). A me, obbiettivamente, non era sembrato che Guido Guidi avesse cercato di mettere in evidenza errori di ordine concettuale nel lavoro di Trenberth. Aveva solo constatato, come tutti, del resto, che non veniva effettuato il confronto tra i dati reali degli ultimi cinque anni e le previsioni. Per il resto possiamo tranquillamente concordare con Antistrafalcione circa i filtri decennali ecc. ecc.. Una domanda, però, mi sorge spontanea: visto che i dati reali erano stati mediati su intervalli decennali, non poteva farsi lo stesso anche con le previsioni in modo da tagliare la testa al toro ed evitare di suscitare tutte queste polemiche? Se non erro questa, seppur espressa con altri termini, è stata anche la considerazione di Guido Guidi.
Ciao, Donato.
Grazie Donato, ma in fondo non scrivo che banalità, i miei commenti sono solo semplicissime considerazioni.
Per quanto riguarda la figura, anche tagliando i primi anni del secolo in realtà, secondo me, non si vede granchè accordo tra hindcast e osservazioni, anzi, credo proprio questa differenza evidente sia il timore di Trenberth. Tra l’altro, e mi riaggancio alla tua osservazione per capire se stiamo dicendo la stessa cosa, le tre hindcast non sembrano essere medie a 10 anni, mi paiono troppo poco (direi quasi per nulla) “smoothed”. Infatti nelle hindcast compare l’effetto Pinatubo, intorno al 95 (che nell’ascissa della figura è scritto, per refuso, 55), mentre lo stesso effetto non si vede nelle medie a 10 anni delle temperature osservate e lisciate. Mi sbaglierò, e comunque non ci vedo un fine particolare, solo che a questo punto non si può fare alcun confronto a impatto visivo. Viceversa dalla spiegazione accanto alla figura avevo capito tutti i grafici erano 4 medie a 10 anni.
Questo è il problema di cui parlavo precedentemente nel mio commento. Nel corso degli anni andando a caccia di uno standard interpretativo, in realtà ne sono stati creati troppi. Ed è velleitario voler applicare “l’eyeballing” a grafici così diversamente elaborati.
Si, penso che stiamo dicendo la stessa cosa. Le previsioni non sono “lisciate” le osservazioni si. Confronti non dovrebbero proprio farsene. Nonostante ciò troviamo tutto in un unico diagramma. Che vuoi così va la vita!
Ciao, Donato.
Avevo deciso di non scrivere più sul clima, considerata l’inutilità del confronto con chi la pensa diversamente e contemporaneamente suppone gli altri siano in malafede e pagati, ma questo post, e soprattutto l’articolo di Trenberth quasi mi obbligano a commentare.
Francamente, penso che il grafico con medie a 10 anni anziché loess sia l’ultimo dei problemi, piuttosto mi riesce difficile stabilire quale sia il primo in ordine di importanza.
Comincerei con il commentare questa frase: “When that knowledge is incomplete, one strategy is to omit certain complex processes and to assume that they are constant, even when it is known that they cannot be” Questa strategia va benissimo, è la cosa migliore da fare: si introduce un parametro costante (talvolta qualcosa di più complesso) laddove “knowledge is incomplete”. La costante, ovviamente, si calcola in base ai dati conosciuti. Che si può fare di meglio? Nulla. Però, subito dopo, piuttosto che calcolare livelli di confidenza, bisognerebbe domandarsi (e in effetti molti scienziati lo fanno): non è che introdurre un nuovo parametro porta all’overfitting? Per scoprirlo è indispensabile confrontarsi con la realtà futura. In sostanza, poiché la conoscenza è incompleta, non posso sapere a priori se quanto ignoro influisce significativamente oppure può essere davvero approssimato da una “costante”
Piccioni a parte, questo scambio e’ davvero un bell’esempio di simplicitudine.
I nostri mancati interlocutori infatti hanno preso il grafico di Mr. T come oro colato, e non si sono davvero chiesti perche’ dovesse fermarsi proprio dove si e’ fermato: prova ne sia il fatto che la spiegazione e’ probabilmente in uno o piu’ dei link forniti da Trenberth, ma nessuno si e’ preso la briga di investigare (dire “e’ decennale” e’ una bella schifezza, perche’ non si sa perche’ parta dove parta, se sia un running mean che includa passato e futuro, etc).
E questo dimostra come certi atteggiamenti di accettazione supina della ‘scienza’ (o meglio, delle dichiarazioni degli ‘scienziati’) in nome di una non meglio specificata Battaglia per Difendere il Pianeta e l’Ambiente contro le forze del Male, porta semplicemente a (a) chiusura mentale; (b) mancanza di curiosita’; (c) “ipse dixit”.
Su quali basi questi personaggi ritengano di poter ragionare in termini di “public policy”, non e’ dato sapere.
ps complimenti alla redazione di Climate Monitor. Ormai su altri blog, non si parla che di voi (noi, ma io scrivo pochino, ultimamente).
Reply
Beh, vedi di rimediare 🙂
gg
Cominciano ad andare tutti i pezzi al loro posto. D’altronde dopo Lodovico delle Colombe, Volpe e Oca ci stanno benissimo nel “Da Cilicia Fan Club”, quello dove tutto si legge e tutto si ripete (a pappagallo, naturalmente).
Come ho gia’ scritto a suo tempo, frequentare cambioclimatisti e’ come andare allo zoo.
Reply
Maurizio please.
gg
L’idea della “Lega del Pippione” non e’ certo farina del mio sacco.
Guarda caso, i messeri Lodovico dC e Vincenzo dG si rivelarono ben presto digiuni in matematica…i soliti corsi e ricorsi storici…
ma non vi renbdete conto che se si scrive una sciocchezza se ne accorgono in tanti? la rete ha questo di bello, non perdone; gli antistrafalcioni come me sono in crescita; fate attenzione
Ma sì, sì, stia tranquillo. Faremo attenzione.
CG
Reply
Claudio (Gravina), non prendertela se ti rispondo qui, prometto che condividerai con ASF solo lo spazio di un misero editing. Ho letto benissimo ten year mean, pero’ qualcuno deve spiegarmi/ci perché non si poteva fare in modo che quella media con filtro a dieci anni non potesse partire in modo che la curva terminasse con gli ultimi dati disponibili. E’ una scelta? Mi sta bene, ma e’ una scelta che omette di rappresentare dati importanti e – come si sa bene – significativi in termini di trend. Come lo vogliamo chiamare, hide the decline?
Quanto a te ASF, lo sai che lo scambio di personalità può essere patologico? Vorrei che tu sapessi che i tuoi commenti ancora appaiono su cm perché ti riconosco un certo skill nella materia in discussione, oltre alla forza di difendere più o meno a viso aperto (sono sicuro che questa faccenda dell’anonimato un po’ ti brucia, fattelo dire da uno che ha un carattere simile al tuo. Sono sicuro che vorresti tanto firmarli questi commenti, ma poi i buoni ti accuserebbero di promiscuità…ah, com’e’ dura la vita nel mainstream) le tue opinioni. Gli starnazzi altrui invece qui non passano e sai perché? Perché difettano di skill e di coraggio, adottando tra l’altro un cliché trasversale che e’ ormai un libro aperto. E’ perciò con grande soddisfazione che apprendo di essere oggetto di cotanta attenzione fregandomene altamente della stessa. Qui sono a casa mia e decido io, come sono a casa propria quelli che si attengono alle nostre regole. Tra queste, quella non scritta della trasparenza degli intenti e della lealtà nei confronti dell’interlocutore. Questo per dirti che la prossima volta che con una faccia commenti qui e con un’altra commenti altrove, rimani solo altrove. Sempre perché trattasi di casa mia. Ah, quando dall’aia si scriverà che mi sono arrabbiato, fai loro sapere che sto ridendo di gusto mentre scrivo questo commento. Devo infatti confessare che, proprio in ragione dell’affinita’ caratteriale di cui sopra, essenzialmente se non litigo non mi diverto, un po’ come quei pazzi furiosi che hanno il crick in macchina per prestarlo a quelli con cui litigano (perdonami la metafora un po’ cruda). Prometto che quando deciderò di smettere lo faro’ sapere all’aia in anticipo, di modo che si possa decidere se vale la pena o meno continuare a pagare l’hosting di pagine su cui non c’e’ più nulla da scrivere….
…uhm…gli antistrafalcione aumentano…ma che e’ una maledizione sta faccenda dell’aumento di tutto? Temperature, livello del mare, scioglimento dei ghiacci, eventi estremi…adesso anche gli antistrafalcione. Sara’ mica colpa del riscaldamento globale?
gg
E’ singolare questo commento apparso pochi minuti dopo sul sito dell’Oca:
http://ocasapiens-dweb.blogautore.repubblica.it/2011/05/04/watching-the-deniers-propongo-una-colletta/#comment-103022
Che finalmente il nostro Antistrafalcione abbia commesso un passo falso, svelando la sua vera identità?
M.G.
Non ci interessa più di tanto, sa. Noi sappiamo bene chi è ASF, in fondo ormai è quasi meglio tenerlo anonimo, onde evitargli brutte figure anche nel mondo reale.
CG
Da econometrista e amico di Guido Guidi, sono certo che avrà letto solo “mean” e non “ten-year mean”. In ogni caso, trovo singolare il filtro applicato a quei dati. Si decidessero: prima 5 anni, poi 30 anni, adesso 10, ma anche 3 e perchè non uno. Ma d’altronde è risaputo nell’ambiente, i peggiori conoscitori (e utilizzatori) della statistica sono proprio i climatologi.
Ci sono un milione di modi per smoothare quel dataset, di almeno 999mila ne abbiamo parlato qui su CM in anni e anni (rilasciando pure il codice R). Noi personalmente usiamo un LoWeSS
E non si preoccupi, qui la statistica la conosciamo quanto basta, per mangiarci un’oca a testa 😉
Lupo, pelo, vizio. Roba gia’ nota.
oh gg! mi colpisce che il suo desiderio di trovare in fallo il grande Trenberth fallisca cosi’ miseramente;
dice T. nella caption della figura:
Ten-year mean global surface temperatures from observations in red
Ora gg, se uno fa una media su dieci anni non potrà usare gli ultimi 5 anni, poichè altrimenti non avrebbe una media a dieci anni; ERGO le medie a dieci anni si DEVONO fermare 5 anni prima dell’ulitmo punto;
convinto?no? lo trova ancora curioso?
mi spiace la statistica è cosi’, curiosa per chi non la conosce; buona serata
Reply
Sei veramente un comico nato. Bastava iniziare nel 1950 con le serie storiche. Se proprio soffriva per la mancanza del confronto nella prima parte della figura andava bene anche il 1960. Ma in fondo il problema non è così attuale, che ce ne frega di quello che è successo di recente, perché arrivare al 2010? CURIOSO però, le previsioni per il 2010 ci sono nella figura. Sentirti difendere una raccolta di ciliegie come questa è veramente divertente. Avresti fatto meglio a puntare sull’annus horribilis per le temperature, ovvero il 2010, il terreno era più solido.
Comunque, diversamente da te, che frequenti queste pagine solo per cogliere in fallo il prossimo più che per discutere, a me di cogliere in fallo Trentberth non me importa un fico secco, perché so che ne sa di questa materia e vederlo ricorrere questo genere di tricks colmi di bias ideologico mi dispiace. Aspetta però, ha pubblicato nel giugno scorso. Hai ragione! Allora ascolta, tu che ne sai di statistica, di petrolio, di clima, di nucleare, di energia, di economia, di moda, di barbabietole, di scarpe, di tutto insomma, sai se la statistica vieta di fare medie iniziando con i numeri dispari tipo il nove? Ti prego illuminami.
gg