Ci sono cose, pensieri, piccole azioni, atteggiamenti, che ripetiamo a volte per tutta la vita senza rendercene conto, per la semplice ragione che hanno suscitato la nostra attenzione nell’età dell’apprendimento.
Quando ero poco più di un bambino, tentavo come più o meno tutti i miei coetanei di imparare a giocare a calcio. Dicono che l’impegno fosse lodevole ma i risultati nettamente scarsi, tant’è che i tentativi si sono esauriti molto presto, naturalmente insieme ai sogni di gloria. C’è una cosa però che ricorderò però per sempre. Nel tragitto che dovevo fare da casa al campo di calcio, c’era un tratto di strada sormontato da un muro molto alto che conteneva (e contiene ancora) un terrapieno. Durante i mesi invernali quel muro era spesso coperto di uno strato di ghiaccio. Già, ghiaccio, a sud di Roma, sui colli che a stento superano i 500 mt sul livello del mare. Tutto in quei favolosi anni ’70.
Ora sono passate più di tre decadi, quanto ci vuole – dicono- per misurare una variazione climatica qualora essa avvenga, e non c’è stato giorno, ferie e trasferte permettendo, che non abbia girato lo sguardo verso quel muro cercando il ghiaccio. Tanta era, ed è, la cocciutaggine (e se volete anche una insana malformazione professionale), che la faccenda si ripete anche a ferragosto. Niente da fare, acqua quanta ne volete, ma di ghiaccio nemmeno l’ombra.
Sapete che vi dico? Il clima è proprio cambiato! E se qualcuno dovesse chiedermelo non esiterei a ripeterlo. Forse succederà, perché qualche giorno fa ho scoperto una grossa novità, dalla BBC come media e dalle Biology Letters come fonte scientifica. Per riparare alla figura da ciabattai fatta con la faccenda dei ghiacci dell’Himalaya, dati per morti e poi risorti grazie ad un provvidenziale refuso, ora gli esperti procedono ad una raccolta dati attraverso una serie di interviste alle popolazioni locali. La procedura, che si spera possa essere stata un po’ più oggettiva (ma non vedo come) delle mie esperienze di calcio giovanile, è stata rapida ed efficiente, ha usato strumenti sistematici, è stata strutturata, internamente consistente e rigorosa.
Indovinate cosa ne è uscito fuori: “c’è una sensazione diffusa che il tempo stia diventando più caldo, che le risorse idriche stiano diminuendo, che l’inizio dell’estate e dei monsoni sia anticipato e che ci sia meno neve sulle montagne di quanta ce n’era prima”.
Ma come, non si diceva che queste sono cose che non avvengono a misura d’uomo? Non si diceva che le sensazioni e/o esperienze soggettive non possono entrare nella pratica scientifica? Neanche per idea, la memoria degli uomini fornirà queste ed altre preziose informazioni, in special modo per quelle popolazioni così pesantemente esposte al rischio di disastro climatico prossimo venturo, chiudendo il cerchio tra le ipotesi scientifiche e la realtà degli accadimenti, il tutto secondo un rigoroso metodo scientifico.
E’ un buon segnale, forse prima o poi qualcuno penserà di tornare a considerare anche la memoria della Terra, attualmente lasciata in disparte in favore di output dei modelli di simulazione elevati al rango di dati oggettivi. Per ora però, qualora mai ci fosse bisogno di mettere un altro po’ di confusione nelle poche informazioni di cui disponiamo, la promozione spetta alle chiacchiere da bar.
Cedo alla tentazione professionale e mi abbandono ad una previsione. Cosa uscirà fuori dall’intervista nel bar dell’angolo? Non ci sono più le mezze stagioni. L’avreste mai detto? No? Eppure lo dicono i modelli, per cui, di qui in avanti, li possiamo considerare definitivamente validati.
‘Anvedi cosa ti dice Martin Parry alla BBC: the gaps in the knowledge are so big.
I mercanti del dubbio sono ai massimi livelli, dentro l’IPCC!!!
Non fare disinformazione con quel titolo…le risposte non erano “Sì, no, non saprei”, ma “Sì, certamente, sicuramente”.
Reply
Maurizio, un po’ di obbiettività. Hai letto quali erano le caratteristiche dell’indagine no? Rigore soprattutto.
gg