E’ accaduto. Come previsto dai meteorologi più esperti degli Stati Uniti c’è stato l’Out-break di Tornado. Le conseguenze sono state purtroppo molto gravi, notizie ufficiali ma ancora provvisorie parlano di oltre 300 vittime.
I Tornado sono l’evento atmosferico di gran lunga più distruttivo e potente che la Natura sappia scatenare e, per ragioni difficili da spiegare e tutt’altro che chiare quasi il 90% di questi eventi capita negli Stati Uniti, più precisamente negli stati centrali della nazione. La conformazione orografica di quell’area, teatro della confluenza di aria calda e umida di provenienza meridionale con aria fredda e secca che scende dalle latitudini settentrionali è la causa principale dello sviluppo di temporali molto intensi, dai quali a volte si scatenano i tornado, il cui innesco e’ comunque condizionato dalla presenza di accentuate condizioni di wind-shear.
Stiamo parlando strettamente di tempo atmosferico, date le dimensioni spaziali e temporali di questi eventi. La domanda è comunque d’obbligo: sono eventi collegabili al clima? La risposta è contenuta nelle poche righe del paragrafo precedente ed è affermativa, perché quella breve descrizione a scala continentale è di per sé all’origine del clima di quella zona del mondo. In senso statistico, quel clima è più incline ad una elevata frequenza di occorrenza di questi fenomeni. Segue dunque un’altra domanda: c’entra qualcosa il cambiamento climatico? La risposta è ancora una volta affermativa, ma non nel senso in cui con molta superficialità si associa oggi il cambiamento climatico alle malefatte degli uomini sulla Terra, quanto piuttosto nel senso che una modifica di quelle condizioni climatiche su vasta scala può influire sui grandi numeri della frequenza di occorrenza degli eventi, mentre nulla può sul singolo caso o, come nella fattispecie, su questi episodi definiti out-breaks.
Nonostante ciò, qualora mai ce ne fosse bisogno, qualche sciacalletto climatico ha pensato bene di provare a segnare un paio di punti per la causa dell’AGW. Con moderazione e prudenza, come sul Sole24Ore, come sale sulla ricetta invece sull’Opinione, con una immane dose di qualunquismo politico su alcune fonti estere (salvo poi aggiornare l’articolo per ripararsi dalla pioggia di critiche) e, infine, con immensa sfacciataggine da parte di uno con le credenziali di scienziato in piena regola Peter Gleick.
A mettere in moto il cervello, dovrebbe bastare soltanto il mantra che stiamo ascoltando nelle numerosissime cronache degli ultimi giorni. Un numero così elevato di violenti tornado non si registrava da circa 4 decadi. L’ultima volta che è accaduto qualcosa di paragonabile era infatti l’aprile del 1974. Ma, attenzione, il punto non è nei tempi di ritorno di questi eventi. Smontare la tesi del “è sempre accaduto” sarebbe fin troppo semplice, anche perché le serie di dati disponibili non consentono di valutare situazioni con tempi di ritorno più lunghi di qualche decade, cioè decisamente troppo poco.
Il discorso è diverso e, pur con le dovute riserve circa la scarsità delle informazioni utilizzabili, si può provare a ragionarci su. Cominciamo dalle serie storiche relative ai tornado di intesità F4-F5 (il massimo della scala Fujita usata come riferimento).
Manca ovviamente il dato sul 2011, purtroppo ancora provvisorio, dal momento che la stagione dei tornado è di là da finire. Ma c’è una cosa che si percepisce immediatamente: in un mondo che si è scaldato e che ha visto scaldarsi anche gli Stati Uniti, la frequenza di occorrenza di tornado intensi è diminuita, non aumentata. Lo stesso dicasi, per fortuna, anche per il numero delle vittime (qui e qui), mentre sono consistentemente aumentati i costi del danneggiamento (ma entrambi questi due ultimi aspetti hanno a che vedere con aspetti sociali, organizzativi e urbanistici, non certo meteorologici o climatici.
Dov’è la chiave allora? Nel freddo. Già, l’ultimo out-break del 1974 arrivò in pieno global cooling, subito prima che le temperature cominciassero la loro scalata verso l’Olimpo dell’AGW. Le stagioni dei tornado intense, sembrano avere una correlazione con La Niña, proprio come quella dalla quale stiamo faticosamente uscendo. Dulcis in fundo (si fa per dire), quelle stagioni sono sempre associate con temperature anomalmente basse negli Stati Uniti centro meridionali, proprio come quelle attuali, con una primavera che sembra non voglia saperne di arrivare da quelle parti.
Roy Spencer ha postato sul suo blog una breve ma illuminante spiegazione al riguardo, concludendo in modo più che condivisibile, che se proprio si volesse fare un’associazione con il clima, si dovrebbe ammettere che è il global cooling a portare tornado più frequenti, non il global warming.
Ora, se come molti “esperti” continuano a dire siamo in regime di global warming inarrestabile, c’è qualcosa che non torna nell’associazione di idee. Se, come i dati dimostrano e come è molto più probabile il global warming ha subito una battuta d’arresto per lasciare spazio ad una tendenza al raffreddamento il discorso purtroppo torna, se non a carattere globale, quanto meno a livello regionale, dimostrando che agitare lo spauracchio dell’aumento degli eventi estremi in un regime di cambiamenti climatici di origine antropica ancora tutti da dimostrare e governati dal riscaldamento, è disinformante e incline alla persecuzione di obbiettivi politici, non certo scientifici.
Riguardo le posizioni degli “esperti” di cui sopra, Roger Pielke Jr ha scritto delle cose interessanti in un post dal titolo cinico ma esplicativo: Il tempo non è il clima fino a che la gente non muore. E’ una lettura interessante, e ancora di più lo sono i link che propone per ampliare la discussione sull’argomento. In particolare, direi sia da tenere a mente l’esternazione di Peter Gleick (che abbiamo letto sul suo blog qualche link più su) alla quale Pielke ne associa un’altra di soli pochi mesi fa. In quella sede Gleick si scagliava contro chi si macchia del peccato di avere dubbi (i dubbi esposti più o meno da tutti quelli che sono stati in questo caso interpellati) circa il collegamento tra global warming ed eventi estremi, colpevole a suo dire di fare cherry picking, scegliendo accuratamente le informazioni da dare e quelle da distorcere. Bene, ora sappiamo chi ha preso la ciliegia più grossa. Peccato abbia il verme.
Aggiornamento
Peter Gleick ha risposto a Roger Pielke jr e ha ricevuto una contro-replica. A mio modestissimo parere peggiorando non poco la sua posizione. Mentre Pielke parla di dati, Gleick fa filosofia, nega il senso delle sue stesse affermazioni e nuota nell’ideologia. Peccato ancora una volta che lo scienziato sia lui.
Trovate tutto qui.
In un certo senso il titolo “…sciacallaggio…” sarebbe confortante!
Infatti, “sciacallaggio” farebbe presumere una volontà cosciente di malinterpretare dei dati scientifici, onde difendere una tesi altrimenti non sostenibile.
In questo caso, temo, Pielke sembra essere piuttosto afflitto da “confirmation bias”, una umana ma antiscientifica tendenza a selezionare i fatti privilegiando quelli che confermano le proprie convinzioni.
Il “confirmation bias”, proprio perché privo di dolo, è un “tarlo” molto più subdolo che corrode alla radice il metodo scientifico.
Reply
Alvaro, immagino che intendessi scrivere Gleick, non Pielke.
gg
Visto che si parla di morti e di gente che vuole approfittare di quei morti, penso che “sciacallaggio” sia il termine migliore.
chiedo venia, nel commento precedente non ho chiuso bene il secondo link…
Pensiero-debole Gleick, eh? E questi sarebbero i “brights”? Qualcuno accenda la (loro) luce per davvero!!
O forse l’hanno spenta perche’ funziona ad energia eolica.