In questi ultimi mesi stiamo assistendo ad un interessante rimescolamento di carte, nell’ambito della più sacra produzione scientifica a sostegno delle tesi di IPCC & Co. L’ultima in ordine di tempo, ne abbiamo parlato anche su CM, è relativa all’imponente numero di rifugiati ambientali. Avrebbero dovuto essere 50 milioni nel 2010, ma ben sappiamo quale sia la realtà. Leggo in queste ore che, alla luce del piccolo terremoto mediatico intorno a questa notizia, alcuni ricercatori mainstream abbiano spostato tale data al 2020.
Oggi tuttavia non parleremo di rifugiati, bensì delle barriere coralline. Non sono un biologo, ma da quando sono bambino in ogni scuola di ordine e grado mi hanno sempre spiegato che le barriere coralline rivestono un ruolo importantissimo nell’ecosistema marino. Peraltro sono dei capolavori di madre natura, e chi ha avuto la fortuna di vederle dal vivo sa di cosa parlo. Un frutto così bello di madre natura, ovviamente, non poteva non diventare l’ennesima icona del clima che cambia a causa dell’uomo e della distruzione imminente del globo terracqueo. Tant’è.
Richiamiamo alla memoria un documentario della ABC, nel corso del quale il commentatore fornisce alcuni dati estrapolati da uno studio del Global Coral Reef Monitoring Network (noi questo studio lo stiamo cercando, perchè ci piacerebbe leggerlo in originale).
Cosa ci dicono questi dati? Ebbene, nel 1992 avevamo perso il 10% delle barriere coralline e nel 2000 ben il 27% . Arrivò poi puntuale la classica previsione apocalittica: ci dissero (era il 2002) che nel 2010 avremmo perso quasi la metà delle barriere coralline mondiali.
Allora, siamo nel 2011: secondo voi viviamo in un mondo con metà delle barriere coralline presenti una decina di anni fa?
Voce ai numeri. Nel 1997 la superficie stimata1 delle barriere coralline ammontava a 255 mila chilometri quadrati. Certo il 1997 non è il 1992, ma andiamo a spanne e calcoliamo il 40% di riduzione tra il 1997 e il 2010 (così come previsto dal GCRMN). La calcolatrice di CM ci dice quanto segue:
255000 * 0,40 = 102000 ; 255000 – 102000 = 153000
Quindi, a spanne sia chiaro, oggi dovremmo avere residue barriere coralline per un totale di 153 mila chilometri quadrati.
Indovinate un po’? Oggi abbiamo ben 249 mila e rotti chilometri quadrati di barriera corallina (controllate qui, per i più scettici).
In buona sostanza si tratta di una riduzione di circa il 2% che, lasciatemelo dire, essendo proiettata su 10 anni e su misurazioni di superficie con ampi margini di errore, potrebbe quasi essere considerata pari a 0.
Le barriere coralline vanno difese, questa è l’opinione dello scrivente, ma da due nemici potenziali: da un lato lo sfruttamento meccanico delle stesse, dall’altro la disinformazione. Entrambe le cose sono potenzialmente devastanti.
Difese anche da coloro i quali le governano e le dovrebbero preservare. Basta andare a vedere cosa combinano, in nome del dio Denaro e del turismo di massa, sulle barriere degli atolli maldiviani. Gli stessi atolli il cui governo, sempre in nome del dio Denaro, pronostica sott’acqua nei prossimi anni…
Se veramente fosse per denaro, lo sfruttamento delle barriere coralline avrebbe un “effetto protezione” assicurato e a costo zero.
Chi è proprietario di una barriera corallina e la vuole sfruttare per fini turistici, ne teme il suo deterioramento (cosa potrebbe offire ai suoi clienti altrimenti?) e quindi sua principale preoccupazione sarà quella di preservarla con ogni mezzo economicamente conveniente.
Così funziona anche nei parchi o riserve private dove vivono gli elefanti: nonostante siano oggetto di caccia, sono le uniche aree in cui la loro popolazione è in aumento, proprio perché di proprietà, quelle aree sono controllate efficacemente contro i bracconieri.