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Cosa è successo ai rifugiati climatici? – Aggiornamento

Lo so, di questi tempi anche solo pronunciare la parola rifugiati fa salire la temperatura della discussione alle stelle. Quello che sta succedendo alle porte di casa nostra è sotto gli occhi di tutti e non mi sogno nemmeno di entrare nel merito. Mi limiterò a dire che anche di recente qualcuno ha pensato bene, prima che le ragioni di quanto sta accadendo fossero chiare, di tirar dentro anche non meglio specificate motivazioni in qualche modo riconducibili a fattori climatici o alla loro influenza sulla disponibilità di materie prime alimentari. Al riguardo la lezione di un passato molto prossimo avrebbe dovuto consigliare cautela ma così non è stato.

Vediamo di cosa si tratta. Mi è capitato per le mani questo articolo del Guardian dell’ottobre del 2005. “L’ONU avverte, 50 milioni di rifugiati ambientali per la fine della decade“. All’interno prima tutta una serie di futuribili disastri. Segue poi la previsione che il numero delle persone in qualche modo costrette ad abbandonare il proprio luogo di origine a causa di disastri naturali (che esistono e purtroppo continueranno ad avvenire) doveva inevitabilmente aumentare. Un problema, secondo quanto riportato, su cui era necessario intervenire in sede di accordi internazionali, equiparando i rifugiati ambientali a quelli vittime di guerre, nei confronti dei quali (in teoria) si saprebbe già cosa è giusto fare. Una cosa buona e giusta sulla quale però non è comunque lecito agitare lo spauracchio del clima che cambia, altrimenti si trasforma la solidarietà in demagogia.

Sempre nell’interno, il richiamo alla disponibilità della Nuova Zelanda, per esempio, ad accogliere già all’epoca 11.600 persone provenienti dagli atolli del Pacifico pesantemente minacciati dall’innalzamento del livello dei mari. Uno dei problemi, si leggeva, è l’aumento della popolazione delle megalopoli costiere. Combina questo fattore con il mare che si alza e con l’aumento del numero e dell’intensità delle tempeste e la miscela diviene esplosiva.

Bene, cioè male, ora siamo nel 2011, la decade incriminata è bella e finita. Di disastri naturali ce ne sono stati, ma nessuno di questi ha ricevuto il timbro che ne attribuisce in modo diretto o indiretto le origini al clima che cambia, quanto piuttosto al clima che è. Non sono certo un esperto in materia di rifugiati, altri potranno dirci di più, però penso che se negli ultimi cinque anni (ma anche sei) 50 milioni di persone avessero dovuto cambiare posto dove vivere forse lo avremmo saputo, non fosse altro perché si sarebbe manifestata quella entusiastica disponibilità verso questi problemi che si respira anche di questi giorni.

Mi capita tra le mani un altro articolo, stavolta più recente, con cui si cerca di di risolvere questo enigma. Così leggiamo che nel 2005 l’UNEP aveva prodotto anche una mappa con la quale si mettevano in evidenza le zone del mondo più a rischio dalle quali, evidentemente, avrebbe dovuto muoversi questa marea umana di rifugiati climatici. Zone costiere a rischio sommersione o esposizione agli uragani, zone siccitose, aree a rischio di inondazione etc etc.

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Il focus di questo articolo va dapprima alle piccole isole in mezzo all’oceano. Si suppone che un esodo di massa causa eventi climatici debba avere effetto sulla popolazione. Beh, Isole Salomone, Bahamas, St Lucia e Seychelles erano nel bel mezzo delle zone più rischiose. Hanno tutte consistentemente aumentato la loro popolazione. Così è avvenuto e in modo massiccio tra l’altro, anche per tutta una serie di città cinesi divenute delle metropoli nonostante sorgano in un’area che nella mappa è esposta al rischio di siccità e desertificazione. Entrambi, ovviamente, fattori ambientali che il cambiamento climatico avrebbe dovuto far aumentare al punto da provocarne l’esodo. Si potrebbe obbiettare anche che le coste degli Stati Uniti, segnate come ad elevato rischio di distruzione ad opera di uragani sempre più frequenti e violenti, sono cinque anni che non ne vedono uno. Ma questo sappiamo anche che è un dato statisticamente irrilevante. Lì gli uragani ci sono sempre stati e prima o poi torneranno. Dire che siano aumentati o che possano farlo in futuro è però alla luce dei fatti quanto meno azzardato.

Ripeto, chi di rifugiati ne sa più di me potrà eventualmente spiegarci se quei 50 milioni (ma anche 5 basterebbero) di persone si sono mosse e, eventualmente, se si sa dove sono. A prima vista direi che ci troviamo di fronte a un’altra previsione a buon mercato di disastro climatico imminente e relativo impatto su coloro che lo avrebbero provocato, che passa alla storia come un allarme ingiustificato. Senza esagerare più di tanto, potrebbe rientrare anche nella categoria del procurato allarme. Per questa pratica le regole già ci sono, chissà che a qualcuno prima o poi non venga in mente di farle valere.

Aggiornamento

E la mappa non c’è più. Dopo il passaggio su media vari, incluso Fox News, l’UNEP ha pensato bene di far sparire la mappa incriminata. Peccato che non sia stata cancellata quella ad alta risoluzione cui puntava la pagina. Né si è potuto far molto per la cache di google, che conserva la pagina in bella copia.

Qui la mappa in alta risoluzione. E qui la copia salvata perché presto sarà soppressa anche quella pagina.

Sul blog di Antony Watts trovate anche i riferimenti bibliografici di questa famosa previsione, nonché la sua resurrezione con la data spostata al 2020.

Così, anche per il nostro amico commentatore che parlava di articoli giornalistici e non di scienza, con i riferimenti bibliografici speriamo di aver soddisfatto la sua curiosità.

Aggiungerei anche che forse avrebbero fatto una più bella figura dicendo semplicemente che le mutate condizioni socio-economiche-politiche-bla-bla-bla (tanto qualcosa muta sempre no?), hanno mandato all’aria la previsione invece di farla sparire. A questo punto devo trovarmi concorde con colui che scrisse che internet avrebbe determinato la distruzione del Pianeta perché consente agli scettici di avere una voce e conseguente presa sull’opinione pubblica. In realtà perché ciò non si avveri basta ricordare di cancellare anche la cache di google, chiudere blog come quello di Watts e come questo e tappare la bocca ai giornalisti che si permettono di scrivere su queste cose con un minimo di spirito critico.

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Published inAttualitàNews

9 Comments

  1. luigi mariani

    Come contributo alla discussione su “cos’è successo ai rifugiati climatici” segnalo che gli stessi dovrebbero essere in mostra a Roma:
    http://www.aiol.it/contenuti/cultura/arti/112-foto-denunciare-i-disastrosi-effetti-dei-cambiamenti-climatici

    In proposito esprimo poi il timore che la massa delle menzogne diffuse in questi anni sui temi del clima e dell’ambiente restino sospese nell’immaginario collettivo, alimentando una sorta di psicosi di massa (lo “Stato di paura” paventato dal buon Michael Crichton).
    In proposito ricordo che ad una mia conferenza tenuta nel novembre scorso una persona di cultura elevata (non certo un sprovveduto) mi chiese che fine avessero fatto quei poveretti che vestiti nei loro costumi tribali erano giunti a New York per protestare per il fatto che la loro isola era stata cancellata dalle carte geografiche per effetto dell’innalzamento dell’oceano…

  2. Faccio notare come non sia obbligatorio rispondere a tutto e tutti. Se venissero commentati solo i commenti degni di essere commentati (che ne so, informativi, interessanti, aperti al dialogo) dopo un po’ i guastatori non avrebbero piu’ il giocattolino e si trastullerebbero altrove.

  3. Paolo

    sig CG e GG continuate a leggere articoli giornalistici..
    io preferisco leggere studi scientifici..
    buona serata

    • Meteogeek

      Ma come mai gli scienziati sapientoni arrivano tutti dall’altra parte?

      Qui non ci sono parti o fazioni. Forse fa comodo a qualcuno esasperare in ogni occasione possibile la diversità di idee. O forse è solo sintomo di faciloneria.

      CG

    • Talmente giornalistici che ora in giro per il mondo si stanno chiedendo come mai l’UNEP abbia RIMOSSO la mappa incriminata…

  4. Paolo

    ottimo articolo gossip come al solito..
    ovviamente la scienza e’ tutta un’altra cosa…
    saluti

    Certo, quando i numeri danno fastidio non sono scientifici, ovvio. Ci vuole raccontare Lei qualcosa di più scientifico? Grazie e saluti.

    CG

  5. Crescenti Uberto

    Caro Guido,
    bisognerebbe chiedere al Guardian e all’UNEP cosa pensano delle loro previsioni non verificatesi. Almeno dovrebbero ammettere di essersi sbagliati, anche se proveranno a rinviare le catastrofi al prossimo futuro. Il club dei catastrofisti trova sempre la maniera di giustificare i loro errori. Il tempo farà giustizia delle loro fantasiose previsioni, come già sta avvenendo in questi ultimi decenni. Cari saluti.
    Uberto (Crescenti)

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