Alcuni mesi fa, quando abbiamo commentato i risultati dell’ultima sessione negoziale dell’UNFCCC a Cancun, abbiamo ipotizzato che fosse stata presa la decisione di dare in futuro una minore risonanza mediatica a questo genere di eventi per due buone ragioni. Da un lato l’attuale contingenza economica impedisce di fare pianificazioni di medio e lungo periodo troppo onerose sul processo di decarbonizzazione, dall’altro forse qualcuno si è reso conto che indicare ognuno di questi appuntamenti come “ultima spiaggia” piuttosto che far concentrare gli sforzi accentua la delusione per gli insuccessi. Per cui meglio lasciare che il processo negoziale e burocratico faccia il suo corso, magari nascondendo sotto il tappeto gli scarsi risultati acquisiti e esaltando le dichiarazioni di buona volontà che si vendono a un soldo la dozzina.
Sarà per questa ragione che se la copertura mediatica della Cop16 di Cancun era stata decisamente più scarsa di quella della Cop15 di Copenhagen, dell’ultimo appuntamento negoziale di Bankok praticamente non ne ha parlato nessuno. Non che ci fosse molto da dire del resto. Apprendiamo infatti dalla stampa internazionale che si è trattato dell’ennesimo nulla di fatto, anzi, pare proprio che siano stati fatti addirittura dei passi indietro.
Lo scopo di questo appuntamento intermedio, era quello di redigere un’agenda negoziale che preparasse alla prossima riunione della Convenzione Quadro di Durban (Cop17). Il nodo principale è rappresentato dal futuro del Protocollo di Kyoto, che scadrà a dicembre 2012 e deve quindi essere rinnovato o prolungato pena un vuoto normativo che non si saprà come colmare. I paesi che non hanno mai ratificato Kyoto – tra cui Canada e Stati Uniti- spingono per la formulazione di un nuovo accordo che aumenti il livello di coinvolgimento di tutti quei paesi che da Kyoto avevano molto da guadagnare perché essendo all’epoca meno “pesanti” in termini di emissioni, non debbono sottostare ad impegni vincolanti. Logico dunque che questi ultimi – tra cui figurano Cina, India e Russia, divenute nel frattempo trainanti nell’economia mondiale e nelle emissioni- aspirino ad una estensione del Protocollo che mantenga lo stesso schema e veda i costi della decarbonizzazione tutti o quasi a carico dei paesi occidentali. Tra questi due blocchi, la spinta crescente dei paesi in via di sviluppo, che continuano a chiedere somme stratosferiche per favorire la propria crescita a bassa intensità di carbonio.
A Cancun praticamente si era fatto finta di nulla, cioè, per non far fallire definitivamente il tavolo negoziale si era optato per un accordo “leggero” che in pratica piuttosto che affrontare i termini della questione li escludeva dalla discussione. Ora il problema è tornato a galla e dalle parole di Christiana Figueres Segretaria dell’UNFCCC capiamo che in assenza di meglio tutto sarà per l’ennesima volta rimandato al prossimo appuntamento.
Certo, il cambiamento climatico farà pure alzare il livello del mare, ma pare che ogni volta che si arriva ad un ultima spiaggia ne spunti fuori un’altra.Della salute del clima a questo punto non so, ma di sicuro so che quella della burocrazia è ottima!
http://www.guardian.co.uk/environment/2011/apr/08/bangkok-climate-talks-stall
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