Ha capacità di attrarre ogni genere di interessi, da quelli più nobili a quelli più nefandi. Un colore una garanzia. E’ il colore dei soldi, solo incidentalmente (ma forse varrebbe la pena cercar di capire perché a suo tempo si deciso di stampare le banconote con questa tonalità) è anche il colore dell’ambiente.
Loschi traffici si celano dietro l’atteggiamento del mondo e dei suoi grandi, sempre più recalcitranti nell’imbracciare le armi per combattere la catastrofe climatica e ambientale che ci attende dietro l’angolo. Quante volte avete sentito parlare di queste cose? Qualcuno ha coniato anche dei neologismi per arrivare prima al cuore di chi legge o ascolta. Sarebbero, anzi sono, i bigoilisti (quelli delle big oil) i più cattivi.
E invece no, ora si scopre (ohibò come faranno i duri e puri?) che anche tra quanti propongono soluzioni salva-pianeta da mattina a sera, qualche interesse per i verdoni c’è.
Trattasi di McInsey, la società di consulenza ambientale meglio accolta nei salotti buoni della governance globale. Greenpeace ha pubblicato un rapporto in cui dichiara apertamente che i dati sulla deforestazione forniti da questa società sono gonfiati ad arte per far arrivare sovvenzioni più ricche ai paesi deforestatori nell’ambito dei cervellotici accordi di redistribuzione degli sforzi per la lotta al global warming sottoscritti alla Cop16 di Cancun.
Adesso, ma non è che ce ne fosse bisogno, abbiamo capito perché non potendo (e non sapendo) parlare di scienza e di clima, in queste salvifiche kermesse mondiali ci si preoccupa sempre tanto di giungere ad accordi di tipo economico. Sarei curioso di sapere quanta azione di lobbyng ha fatto McInsey alla Cop16 per esempio. Potrebbero essere informazioni istruttive.
NB: lo aveva segnalato un lettore qualche giorno fa, ora c’è il link all’articolo sul Corriere. Un avvertimento: diffidate dell’ultimo periodo del pezzo, sta lì per dovere d’ufficio.
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