So di cacciarmi in un ginepraio. Qualunque discussione si faccia su aspetti meteorologici o climatici dovrebbe aver cura di evitare qualsiasi riferimento alle scie di condensazione, perché su questo argomento ci sono intere legioni di scalmanati complottisti sempre a caccia del nemico. Onde evitare che i suddetti scalmanati decidano di “terminare” questo blog, premetto che in quanto sto per scrivere non c’è nulla di chimico, neanche l’inchiostro che doveste decidere di usare stampando questo post.
Dunque, le scie di condensazione sono quelle strisce bianche che a volte appaiono immediatamente dietro un aeroplano, solitamente a quote piuttosto alte ma comunque non predefinite. Si formano perché in condizioni di sovrassaturazione, ovvero in presenza di vapore acqueo pronto a condensare ma non condensato per assenza di nuclei di condensazione, il passaggio del velivolo genera una perturbazione e quindi un rimescolamento che favorisce l’aggregazione di quelli che, data l’altitudine sono comunque aghi di ghiaccio e non goccioline. A questo si aggiungono i nuclei di condensazione forniti dagli scarichi dei jet, e così nasce la scia. Se le condizioni di temperatura e umidità sono favorevoli, la scia tende a persistere, ovvero ad essere visibile per lungo tempo, trasformandosi a volte in una vera e propria nube cirriforme. Diversamente la scia si dissolve e tutto torna come prima. Spesso la presenza di scie è indice di tendenza del tempo a cambiare, ovvero di arrivo di abbondante umidità in alta quota, tipico delle avvezioni calde pre-frontali.
Ora, che siano indotte dal passaggio di un aeroplano o che si formino naturalmente, le nubi cirriformi hanno comunque un ruolo importante nelle dinamiche del tempo e del clima, ruolo che, per esempio, è noto per essere una delle maggiori fonti di incertezza nelle simulazioni climatiche. Le nubi infatti sono fortemente condizionate da dinamiche a scala locale, non risolvibili dai modelli a vasta scala, ne consegue la necessità di parametrizzazioni imprecise fonte appunto di incertezza.
Tutta questa premessa è stata necessaria per introdurre uno studio fatto da un team di ricercatori del German Aerospace Center e pubblicato su Nature Climate Change con il quale si è tentato per la prima volta di calcolare l’impatto in termini di bilancio radiativo della nuvolosità cirriforme indotta dalla presenza di scie di condensazione.
I risultati cui sono giunti i ricercatori sono sorprendenti, seppur soggetti ad ampi margini di errore come loro stessi affermano. L’effetto riscaldante di questa nuvolosità indotta sarebbe superiore in un solo giorno a quello precedentemente calcolato (anche qui con ampi margini di incertezza e con una serie lunghissima di assunti soggettivi) per la CO2 emessa dai motori degli aeroplani da quando i fratelli Wright hanno sollevato per la prima volta in volo un aeromobile. Questa differenza, cui si aggiunge la predetta disparità di scala temporale, aiuta a comprendere quanti e quali processi debbano essere presi in considerazione nella valutazione di un eventuale impatto antropico sul clima a prescindere dal nemico pubblico numero uno, appunto la CO2. Una volta di più, posto che quanto esposto in questo studio necessita di abbondante approfondimento, si comprende anche quale margine di indeterminazione possa esserci di fatto nelle valutazioni di questi processi che si volevano dare per definiti al fine di fissare l’ampiezza di questo impatto antropico e immaginare quindi delle policy di mitigazione.
Per dare un’idea di quanto si possa banalmente decidere (e di quanto ciò possa essere inutile se non dannoso) di schierarsi pro o contro l’ipotesi dei cambiamenti climatici di origine antropica solo sulla base di atteggiamenti preconcetti, direi che vale la pena leggere lo spaventoso livello di assurdità che la Reuters è riuscita a condensare in poche righe nel riportare la notizia della pubblicazione di questo lavoro.
[…] La scoperta potrebbe aiutare i governi a fissare delle penalità per le emissioni di gas serra degli aeroplani in un assalto al climate change guidato dalle Nazioni Unite. Oppure i nuovi motori potrebbero limitare il vapore e emettere piuttosto gocce d’acqua o aghi di ghiaccio che cadrebbero dal cielo.[…]
Vi prego fermateli, o quantomeno consigliate loro di assumere qualcuno che mastichi questi argomenti, perchè il loro corrispondente ambientale Alister Doyle farebbe meglio a occuparsi d’altro. La Reuters in fondo non è proprio Topolino. Passi la frescaccia delle penalità per le emissioni frutto di puro dogma di politica climatica, qualcuno dovrebbe far loro capire che di vapore dai motori ne esce poco o punto. Quelli che escono sono residui della combustione. Il vapore è già lì, nell’aria, e questi sapientoni che vorrebbero dar consigli su penalità di vario genere, suggeriscono addirittura di aumentarlo con motori di nuova concezione (li avranno brevettati?) che emettano acqua o ghiaccio. Uno spettacolo disarmante.
Comunque, l’unica considerazione che mi viene da fare al riguardo è che quando leggo bestialità di questo genere, mi rendo conto di quante ce ne vengano quotidianamente propinate sugli argomenti di cui non capiamo gran che e che quindi, purtroppo, assorbiamo.
Il primo a far notare l’uscita di questo studio è stato Roger Pielke sr, qui c’è il suo post.
Qui invece trovate il sermone della Reuters.
Qui il press release e relativo approfondimento con le opinioni dei ricercatori del German Aerospace Center.
E qui, infine, l’articolo vero e proprio consultabile liberamente in pdf sulle pagine di Nature Climate Change.
Un paio di pedanti precisazioni:
“con il quale si è tentato per la prima volta di calcolare l’impatto in termini di bilancio radiativo della nuvolosità cirriforme indotta dalla presenza di scie di condensazione.”….il primo se escludiamo tutti i lavori citati nella bibliografia del paper…
Puo’ aiutare dire che il grafico riportato mostra il forcing radiativo netto in mW/m2 e non lo spessore ottico delle contrails cirriformi. Ricordo che il forcing radiativo stimato per la sola CO2 e’ dell’ordine di 1.5W/m2 (50 volte maggiore…)
Nel post di Pielke si parte dall’oggettivo dato dello studio (effetto delle contrails preponderante tra i vari forcing INDOTTI DALL’AVIAZIONE) e si estrapola all’assurdo concludendo, non si sa da dove,
“The human effect on the climate system is not dominated by CO2 and a few other greenhouse gases”.
Dimenticando che nello studio si cerca di comprendere un effetto a scala tmporale limitata (ed incerta) ben consci del rapporto con gli effetti a scale temporali piu’ lunghe indotte dai gas serra:
“[..] the short lived perturbations from contrail cirrus compete with the long term effects of carbon dioxide emissions.”
Reply
Alessio, certo che il paragone è con le emissioni derivate dall’aviazione. E’ sul fatto che si possa essere ben consci del rapporto con gli effetti a scala temporale più lunga che ho qualche dubbio, specie perché si parla di dinamica delle nubi -indotte ma sempre nubi- ovvero di un fattore che risente moltissimo delle dinamiche di piccola scala (sia temporale che spaziale) ma che poi produce effetti importanti anche a scala più ampia.
gg
In un paio di incontri del tutto informali, i ricercatori della DLR mi sono sembrati svegli, smaliziati e assai portati a voler “toccare con mano” i fenomeni che studiano.
Anni fa il loro direttore dell’Istituto di Fisica Atmosferica della DLR, il Dr. Manfred Reinhardt oggi in pensione, fece vedere in “petit comité” un filmino girato da lui sul jump seat del loro Falcon irto di sensori chimico-fisici: verso la fine dei ’90, nei cieli tedeschi, inseguivano, con l’accordo dei controllori ma spesso nella assoluta ignoranza dei piloti “inseguiti”, i voli di linea per analizzare la chimica delle scie durante la loro formazione.
Inziavano la corsa a una decina di km di distanza e risalivano il cuore della scia fino a poche decine metri dai motori, per studiare i componenti della scia in funzione della distanza.
Nel filmino, verso la fine, si vedeva un brusco, pericoloso rollio del Falcon quando, risalito vicino al motore esterno, incocciava il vortice della punta dell’ala di un 747, forte a quella quota a causa della vicinanza dello stallo, subito sfruttato osservando così i tempi di risposta dei sensori uscendo di colpo dalla scia.
Nella pubblicazione menzionata questi ricercatori lasciano aperta una porta aperta notevole per delle future revisioni sui risultati, quando menzionano l’incertezza dell’effetto di “scavenging” della scia sulla umidità circostante disponibile per i cirri naturali.
Dicevo “svegli e smaliziati”, perchè non mi meraviglierebbe affatto che ne sappiano già parecchio di più, quando indicano “with great uncertainty” che questo effetto sia attualmente stimato a -7mW/m-2, praticamente uguale alla schermatura della radiazione corta.
Piuttosto che frontalmente, con un secco “no” galileiano, avranno capito che, a volte, il “consenso” lo si affronta meglio seguendo l’altro gran toscano di un secolo prima, con un machiavellico “yes, however…”.