…alle falde del Kilimangiaro. Lo so, questa faccenda vi sarà venuta a noia, ma ne è uscita un’altra veramente gustosa. La doverosa premessa è che ormai da tempo si sa che i ghiacciai dell’icona d’Africa non hanno perso buona parte della loro massa a causa del riscaldamento globale, ma per effetto delle variazioni ambientali intervenute alle pendici del massiccio, variazioni che hanno modificato il regime dei venti e dell’umidità atmosferica della zona. Ne abbiamo parlato qui e qui.
E’ però noto che le immagini del ghiacciaio ormai asfittico abbiano costituito uno dei pezzi forti della celeberrima clima-fiction di Al Gore, per rinforzare, qualora ce ne fosse bisogno, le “evidenze” delle origini antropiche del global warming. Nella pellicola, il buon predicatore dell’AGW sentenziava che nell’arco di un decennio avremmo visto scomparire del tutto le tracce di bianco dalla cima del monte. A supportare questa fosca previsione uno studio pubblicato su Science nel 2002 da Lonnie G. Thompson e vari altri, nel quale si asseriva che se le condizioni climatiche analizzate e descritte avessero persistito, il ghiaccio sarebbe scomparso dal monte Kilimangiaro tra il 2015 e il 2020. Inutile sottolineare che Gore prese per buono il limite inferiore, così, tanto per essere preciso.
Ora Thompson, che nel frattempo non ha smesso di andare su e giù dall’Università del Massachussets alla Tanzania, compare quotato a più riprese insieme a Douglas R. Hardy, anch’egli firmatario del famoso articolo di Science in un pezzo pubblicato su un media d’oltreoceano. Il titolo è “Le nevi del Kilimangiaro disubbidiscono alle previsioni del Global Warming“. Non è certo il New York Times, ma non importa, perché le loro dichiarazioni -credo autentiche- sono spettacolari.
“Sfortunatamente abbiamo fatto quella previsione, vorrei non lo avessimo fatto“, così, tanto per inquadrare il problema. “Nessuno di noi aveva molta esperienza professionale su quella montagna, e non avevamo capito molti dei complicati processi sulla sua cima come invece sappiamo ora“. Però la pubblicazione c’è scappata (338 citazioni) e la previsione pure, cui seguirono puntuali gli acuti di Al Gore.
Ma cu nasce tonnu non po morere quadrato, per cui sotto con un’altro vaticinio: “I ghiacciai si stanno ancora ritirando, e nelle prossime decadi quasi certamente spariranno, ma potrebbe trattarsi di tre o quattro decadi, forse cinque. Ma non lo sappiamo con precisione, potrebbero anche essere due“. Per fortuna adesso hanno le idee più chiare. Da notare che nell’articolo non si fa alcuna menzione del fatto che previsione sbagliata a parte, perché il ghiaccio si è ritirato sì ma conserva ancora uno spessore giudicato importante dagli stessi quotati, in realtà all’epoca si sbagliò completamente bersaglio, chiamando in causa per la ritirata dei ghiacci delle modifiche alla circolazione causate dal riscaldamento globale, ignorando quanto ora è noto e vi abbiamo anticipato nelle prime righe di questo post. La colpa è sì dell’uomo, ma dell’uomo che ha coltivato le pendici del monte per mangiare, non di quello che sfreccia con il SUV altrove.
E infatti leggiamo ancora: “Dal 2000, abbiamo perso circa il 30% dell’estensione, ma lo spessore, almeno per il ghiacciaio principale, quello settentrionale, non è cambiato molto. Era spesso 50 metri allora ed è ora nell’ordine di 45 metri“.
Però, state certi, prima o poi scomparirà. Infatti, chiude poeticamente Thompson: “Le opinioni di chi dubita del global warming cambieranno in un attimo a seconda che ci sia un inverno freddo o un’estate calda. L’unica opinione che conta è quella della Natura. La Natura ha la capacità di umiliarci tutti. Dobbiamo ancora vedere chi sarà l’ultimo“.
Appunto, la Natura. Della serie non è ancor detta l’ultima parola. Ma che fa, ci spera?
Ah, un’ultima cosa. Naturalmente nessuno dallo staff di Al Gore ha voluto commentare la faccenda. Questa previsione era più facile.
Ricordo un servizio della Sagramora per Geo & Geo: parlava con il gran monte alle spalle e accusava l’uomo bianco di averne rovinato i ghiacciai con il GW…
Per inciso la preoccupazione per i ghiacciai del Kilimangiaro in estinzione non ha dissuaso alcuno di questi “salvatori del pianeta” dal fare viaggi su viaggi in aereo per raggiungere l’area…
Moralismi a parte, a chi fosse interessato alla tematica del clima dell’area del Kilimangiaro e i fenomeni coinvolti a macro e mesoscala suggerisco un articolo assai ben fatto e che tratta della climatologia dinamica del Kenya (il Kilimangiaro sta ovviamente in Tanzania ma il Kenya è assai vicino….):
Mukabana J.R., Pielke R.A., 1996. Investigating the influence of synoptic-scale moonsonal winds and mesoscale circulations on diurnal weather patterns over Kenya using a mesoscale circulation model, Montly weather review, 124, 224-243.
Il pdf si trova nella lista delle pubblicazioni di Roger Pielke Sr al sito http://cires.colorado.edu/science/groups/pielke/pubs/
Luigi