Con questo articolo inizia una serie di scambi, speriamo proficui, tra due dei siti più importanti del network MTG Climate: Climate Monitor e Climate – simulazioni e modelli climatici, appunto. Gli argomenti non necessariamente seguiranno il flusso di informazioni di CM, ma in fondo è giusto che sia così, visto che l’obiettivo è quello di arricchire di argomenti il sito. In questi anni, quando sembra che l’attenzione di tutti gli scienziati, gli organi di stampa e del grande pubblico sia rivolta all’attuale cambiamento climatico, sono emersi ambiti di ricerca veramente interessanti che mettono in luce l’enorme variabilità del clima terrestre. Una domanda ricorrente è: quanto può cambiare il clima del nostro pianeta?
La risposta è che il nostro pianeta ha assistito a variazioni climatiche di proporzioni spettacolari. L’ultima era glaciale, terminata circa ventimila anni fa, ha avuto scala globale ed ha ricoperto il Nord America e l’Europa Centrale sotto uno strato di ghiaccio spesso fino a due chilometri. Questo evento, per quanto ci sembri catastrofico nelle sue proporzioni, è una vaga, pallida rappresentazione di quanto accadde sulla Terra in un periodo compreso tra 700 e 590 milioni di anni fa.
In questo articolo analizzeremo uno degli eventi più massicci e colossali dal punto di vista del cambiamento climatico: quello descritto dalla teoria della “Palla di neve” (“Snowball Earth“), nata negli anni ’60 e recentemente tornata alla ribalta grazie a nuove simulazioni e studi sul campo. L’articolo si dividerà in due parti: la prima introduttiva, la seconda più dettagliata sulla simulazione climatica condotta da MTG Climate.
La Terra è quella del Neoproterozoico, quindi siamo in un periodo compreso tra un miliardo e 500 milioni di anni fa; la geografia del globo è completamente diversa. Ma la disposizione dei continenti non sarebbe l’unica differenza: avremmo di fronte agli occhi, infatti, una Terra completamente avvolta da uno spesso strato di ghiaccio. Stando agli studi più recenti, durante il Neoproterozoico il pianeta si è trovato almeno due volte in una condizione in cui i ghiacci si estendevano sino a 10° di latitudine e al livello del mare. Rimane ancora oggetto di dibattito la presenza o meno di pack glaciale sui mari tropicali, ma la tendenza prevalente è quella di pensare alla Terra di allora come ad una unica massa ghiacciata.
Se il meccanismo che innescò tale processo glaciale su scala globale rimane tutt’ora sconosciuto, cominciano però a consolidarsi le teorie su come tale glaciazione si sia sviluppata.
Per un meccanismo fisico noto, a mano a mano che i continenti si coprono di ghiaccio, ovviamente altamente riflettente, l’albedo complessiva del pianeta aumenta. Questo fenomeno porta ad una maggiore riflessione dei raggi solari, quindi ad un minor assorbimento degli stessi da parte della superficie terrestre. In questo modo si alimenta un processo che, a sua volta, riducendo la quantità di energia solare assorbita dalla Terra, determina un ulteriore abbassamento delle temperature. Un circolo vizioso al quale è difficile sfuggire; più avanti vedremo come la Terra sia uscita da questa morsa di ghiaccio.
La storia di una incredibile intuizione
Il cammino di ogni teoria scientifica è irto di ostacoli, di binari morti e di grandi ed inaspettate rivelazioni. La Snowball Earth non si sottrae a questo percorso, ed anzi si sviluppa nel modo più paradigmatico, subendo alle volte notevoli accelerazioni, altre volte sembrando ormai arrivata al termine della propria vita accademica e cadendo nel dimenticatoio. Tutto ha inizio nella prima metà degli anni ’60. Mentre Brian Harland della Cambridge University ipotizzava una glaciazione durante il Neoproterozoico, grazie alle analisi stratigrafiche condotte in numerosi siti terrestri, uno scienziato sovietico, Mikhail Budyko del Leningrad Geophysical Observatory (Osservatorio geofisico di Leningrado), utilizzando un modello del bilancio energetico terrestre (Energy Balance Model , EBM) mise in luce il noto circolo vizioso dell’albedo (di cui si parlava poc’anzi): se la Terra si raffredda e il ghiaccio comincia a formarsi, allora l’albedo cresce; se il ghiaccio aumenta e scende di latitudine, anche l’albedo aumenterà ad una velocità via via crescente, riflettendo una quantità di luce solare sempre maggiore e provocando un ulteriore rapido raffreddamento dell’atmosfera. Il processo diventa irreversibile (in teoria) nel momento in cui i ghiacci superano la cosiddetta Latitudine Critica (circa 30° N o S): a questo punto, la Terra è condannata a divenire un cristallo di ghiaccio nelle profondità dell’universo.
Ma a questo punto la teoria della Snowball conosce una prima importante battuta d’arresto. Da un lato, infatti, è evidente che il nostro pianeta non si trova più in quella morsa di ghiaccio letale, a fronte di una ipotesi che in presenza di una albedo massima prevedeva una glaciazione irreversibile. L’altra anomalia è costituita dal ritrovamento di reperti fossili, ascrivibili proprio al periodo della Snowball: gli scienziati si chiesero fin da subito come fosse possibile avere tracce di vita organica in un ambiente così ostile.
Negli anni ’70 i biologi marini portarono a conoscenza della comunità scientifica la scoperta di numerosi microorganismi capaci di sopravvivere in condizioni estreme. Tali comunità di organismi sono in grado di sfruttare il calore proveniente dalle sorgenti termali poste sui fondali marini, ma sono anche in grado di sopravvivere nelle gelide Dry Valleys antartiche. Ecco quindi che cade il primo caposaldo della teoria anti Snowball: l’assenza di vita. Durante l’epica glaciazione del Neoproterozoico la Terra non era affatto un luogo sterile, tutt’altro: era diffusamente popolata da minuscoli organismi che si sarebbero resi partecipi di una vera e propria esplosione biologica durante la successiva fase di deglaciazione. Vi proponiamo un elenco (non esaustivo) di ecosistemi, all’interno dei quali è possibile rinvenire organismi cosiddetti “estremofili”:
- sorgenti idrotermali oceaniche;
sacche di acqua intrappolate al di sotto, e all’interno, della massa glaciale (è il caso del lago Vostok in Antartide); - Nunatak: è una parola Inuit che descrive le sommità delle montagne che fuoriescono dalla calotta glaciale. Alle latitudini tropicali e durante il giorno, i Nunatak avrebbero potuto sperimentare anche una debole fusione del ghiaccio.
Ghiaccio irreversibile?
Risolvere il primo dei due enigmi è stato molto più complesso: come può la Terra essere sfuggita ad un processo irreversibile come la Snowball Earth? La risposta è giunta nei successivi anni ’80, ad opera dello scienziato Joe Kirschvink del California Institute of Technology. La soluzione proposta riguarda il ciclo del carbonio. In condizioni normali (intendendo per tali le condizioni odierne) l’anidride carbonica prodotta dagli animali, dagli uomini e dai vulcani si accumula nell’atmosfera. Tuttavia vi sono dei meccanismi che consentono a tale CO2 di ritornare nel suolo terrestre o negli oceani. Il principale artefice di questo processo è l’acqua allo stato liquido. La pioggia riporta l’anidride carbonica a terra, dove viene in seguito assorbita dal suolo, o negli oceani. L’anidride carbonica viene anche sequestrata dalle piante attraverso la fotosintesi.
Ovviamente, in una Terra completamente ricoperta dal ghiaccio e sottoposta a temperature estremamente basse è impensabile trovare la benchè minima traccia di acqua allo stato liquido o gassoso (vapore acqueo). Ecco quindi che durante la Snowball Earth il ciclo del carbonio si interrompe: l’anidride carbonica, invece di ritornare al suolo per concludere il suo ciclo, si accumula nell’atmosfera. Come è stato già detto, la glaciazione è durata circa dieci milioni di anni, quindi dobbiamo prendere in considerazione un accumulo di CO2 durato tanto quanto la glaciazione! Questo portò a livelli elevatissimi di anidride carbonica e ad un effetto serra di proporzioni colossali. La CO2, ad un certo punto, oltrepassò la soglia critica necessaria ad invertire il circolo vizioso dell’albedo planetaria. Due scienziati americani, Ken Caldeira e Jim Kasting della Pennsylvania State University, hanno stabilito che il quantitativo totale di CO2 necessario per generare un riscaldamento sufficiente ad innescare la fusione di una Snowball Earth è pari a 350 volte i livelli odierni di CO2. Questi calcoli sono stati eseguiti tenendo conto che nel Neoproterozoico il Sole aveva una luminosità inferiore del 6% rispetto a quella attuale.
Per non appesantire la lettura, la sezione dedicata alla simulazione è stata inserita in un secondo articolo che verrà pubblicato a breve.
Bibliografia
- The Snowball Earth, by Paul F. Hoffman and Daniel P. Schrag;
- Snowball Earth, a simulation by Jacob West;
- Paleoproterozoic snowball Earth: Extreme climatic and geochemical global change and its biological consequences Joseph L. Kirschvink, Eric J. Gaidos, L. Elizabeth Bertani, Nicholas J. Beukes, Jens Gutzmer, Linda N. Maepa, and Rachel E. Steinberger;
- Neoproterozoic-Paleozoic geography and tectonics; review, hypothesis, environmental speculation, Ian W. D. Dalziel;
- Two or four Neoproterozoic glaciations? Martin J. Kennedy, Bruce Runnegar, Anthony R. Prave, K. H. Hoffmann, and Michael A. Arthur;
- “Did the Snowball Earth Have a Slushball Ocean?” By Linda Sohl and Mark Chandler;
- Oxygen May Be Cause of First Snowball Earth
[…] Qui trovate un approfondimento, frutto di una serie di simulazioni climatiche da noi effettuate. Non capita tutti i giorni che su CM si parli di paleoclima, perchè in effetti la cronaca scientifica di questi anni è decisamente più pressante. Succede, come in questo caso, che venga pubblicato un nuovo studio, talmente interessante, da meritare un approfondimento. […]
I livelli di CO2 durante le grandissime glaciazioni del Neoproterozoico (la Snowball Earth infatti è una condizione di quasi completo congelamento del nostro pianeta, che si sarebbe riproposta, secondo le ultime teorie, più di una volta. Alcuni studi sostengono 2-3 episodi, altri studi fino a 4), dicevamo, i livelli di CO2 sono stimati e potrebbero subire cospicui ridimensionamenti. Detto questo, sono numerosi i periodi della storia geologica terrestre che hanno registrato valori di CO2 immensamente superiori agli attuali, con o senza Snowball. Nessuno di quei valori ha determinato un runaway global warming, così come, va detto, nemmeno le più colossali glaciazioni hanno determinato una runaway albedo. Forse la Terra è un po’ più resiliente di quanto vogliano farci credere.
CG
Molto interessante.
Ma mi ponevo, da profano, una domanda.
Se per interrompere la glaciazione serve una quantità di CO2 350 volte superiore a quella attuale,
secondo il premio nobel (per la pace) Al Gore la quantità di CO2 sarebbe tale da far diventare il pianeta una palla di fuoco, una Fireball, altro che Snowball,
o sbaglio ?
Ma allora non è vero che ci sarebbe un punto di non ritorno vicino vicino ai valori attuali
se
sembrerebbe che saremmo sopravvissuti a quantità (almeno) 350 volte superiori di quelle attuali ? (e varie volte, perché non c’è stata un’unica glaciazione)
Guido Botteri