Il caos e gli sconvolgimenti che dall’inizio dell’anno hanno modificato profondamente gli assetti del nord africa e del medio oriente potrebbero avere una radice comune, ma forse non quella che pensate. Ne abbiamo già parlato ampiamente sulle pagine di CM affrontando gli aspetti legati alla speculazione finanziaria e alle tesi e problematiche relative all’aumento della popolazione così, anche il sottoscritto vorrebbe dare un piccolo contributo alla discussione nata su questo sito.
Nelle prime settimane della protesta si è cercato di imputare le sollevazioni popolari all’aumento del prezzo dei cereali la cui causa veniva ricercata nelle particolari condizioni meteo-climatiche dello scorso anno, che hanno causato ingenti danni ai raccolti di grano nella regione russa, inducendo il premier Putin a bloccare le esportazioni per alcuni mes, e alla riduzione di produzione di riso del sud est asiatico.
In pochi, nessuno sui grandi mezzi di informazione, ha citato il problema che deriva dalla produzione di biocarburanti. Non entrerò in questioni tecniche, ma vorrei fare con voi alcune riflessioni.
In primo luogo esiste particolarmente in nord africa una fascia di popolazione che impiega una larga fetta del proprio reddito per il fabbisogno alimentare e anche piccoli aumenti dei beni di prima necessità hanno conseguenze dirette sulla vita delle persone. Tuttavia in diversi paesi come ad esempio il Bahrein non manca certo il cibo e anche nella stessa Libia il fattore alimentare non è stato determinante per innescare la rivolta. Anche in Egitto, dove il problema alimentare potrebbe essere maggiormente sentito, la folla in piazza non chiedeva pane. La folla in piazza inneggiava ad una rinascita nazionale e nazionalistica e nella retorica è tornato in diverse occasioni il richiamo al trattato di pace con Israele, visto da una parte consistente della piazza come una colpa per la quale il regime aveva già pagato con la morte di Sadat, colpa che oggi viene ancora imputata a Mubarak.
Perché ho fatto questo piccolo ragionamento? Per esporre una mia tesi e cioè che il prezzo dei cereali e il loro utilizzo per scopi differenti da quelli alimentari potrebbe essere la causa di importanti eventi, ma non quelli cui abbiamo assistito fino ad oggi.
Questo stato di incertezza e di instabilità ha determinato un deciso aumento del prezzo del petrolio che nel breve termine renderà maggiormente concorrenziali e appetibili gli affari riguardanti le forme di energia alternative al greggio. Tutti abbiamo assistito in questa settimana all’exploit in borsa delle società che si occupano di energie alternative e allo stesso tempo con il brent a 110 dollari e il light crude attorno ai 98 ricavare carburanti dalle materie prime alimentari è diventato ancor più redditizio.
In quest’ottica si potrebbe determinare un pericoloso circolo vizioso, nel quale i prezzi dei beni alimentari di base potrebbero iniziare a crescere spinti non soltanto dalla speculazione, ma da un fattore ben più incisivo sul medio lungo termine, come il business dei biocarburanti. Con il petrolio ad alti livelli, infatti, diventa altamente redditizio produrre biofuel a partire dai cereali o dalla canna da zucchero e il mondo degli affari dove prezzi domanda e offerta sono l’unica legge riconosciuta, non tarderà ad approfittare del momento, supportato dal fatto che oltre a fare un sacco di soldi, qualcuno potrà ergersi a paladino del pianeta vantandosi di ridurre le emissioni di CO2.
Peccato che in questa situazione, per i paesi sub sahariani, dove i prezzi dei cereali fanno la differenza tra la vita e la morte, potrebbe originare di imponenti flussi di migrazione con effetti non pienamente prevedibili su scala regionale e continentale. Una cosa pare abbastanza sicura, il primo approdo di queste persone affamate sarà il nord Africa, dove ad oggi mancano governi capaci di affrontare questa sfida. Subito dopo toccherà all’Europa farsi carico di questo problema. Ma l’Europa non vuole vedere e non vuole sentire, pensa che un nuovo regolamento della commissione risolverà il problema o che una risoluzione delle Nazioni Unite toglierà alle istituzioni di Bruxelles l’onere di prendere una decisione. L’Europa discute, si indigna, condanna e poi non fa nulla, non parla con una sola voce, emergono di volta in volta a seconda delle situazioni alleanze ora franco tedesche ora franco inglesi e chi più ne ha più ne metta. L’unica arma vera che ci rimane a nostra disposizione è il buon senso.
Non è possibile utilizzare il cibo per generare carburanti, non è possibile scegliere di fare il pieno ad un’automobile invece che sfamare una persona, non è possibile utilizzare la terra dei nostri campi per fare sorgere foreste di pannelli fotovoltaici.
La politica deve fare il suo mestiere, che non è solo cercare di raccattare più voti possibili alle elezioni successive; ritengo l’utilizzo di biocarburanti eticamente non tollerabile e mi fa un certo effetto sentire commenti di chi da una parte si batte per una razionalizzazione dei consumi alimentari e poi approva senza riserve l’uso dei biocarburanti o gioisce nel vedere la pianura padana desertificata da campi fotovoltaici che ormai sorgono ovunque perché più redditizi e più sicuri che coltivare grano o frutta.
Purtroppo, spesso, la voglia di non voler scontentare nessuno paralizza le decisioni, la tutela degli interessi particolari impedisce di vedere il problema generale e si preferisce evitare ogni minimo sacrificio nel presente che potrebbe essere invece fonte di grande soddisfazione nel futuro.
Addendum
Penso sia utile aggiungere a questa riflessione quanto scritto da Roger Pielke jr sul suo blog. Il titolo è uno spasso, il contenuto molto meno: “Forse se non lo diciamo nessuno se ne accorgerà“. Il tema è, naturalmente, l’aumento dei prezzi dei cereali. Da quanto dichiarato dalla FAO non ci sono dubbi, il problema è tutto o quasi nel grano (curiosa analogia per il significato slang della parola, ma in questo caso si tratta di cibo). E chi è il maggior produttore e esportatore di granoturco? Gli Usa. E dove va il 40% del grano prodotto in USA? Nei serbatoi delle auto. Attenzione, per chi volesse comunque prendersela con i capricci del clima: pare che il grano raccolto negli USA quest’anno sia ai primi posti della classifica di sempre.
granturco, non grano
Reply
Corretto. Grazie Maurizio. Non ho potuto lasciare la parola barrata perché WP ha deciso di no. Mistero. 🙂
gg
Un post molto interessante. In effetti però l’andamento del prezzo del grano http://it.mongabay.com/commodities/wheat.html e del mais http://it.mongabay.com/commodities/maize.html non sono molto diversi, però è il grano che ha un’escursione in valore assoluto più ampia (a condizione che i grafici che ho trovato velocemente su internet sono reali). Qualcuno sa l’unità di misura $/mt a che corrisponde? Grazie.
Dollaro su metric ton, penso.
Ciao Fabio,
penso che significhi dollari per Tonnellata Metrica. E’ specificato perchè non è unità di misura standard negli Stati Uniti.
1000 kg sapevo sono detti (non nel sistema SI) anche una “tonnellata” indicando l’unità con t o ton, non sapevo che esiste anche la “tonnellata metrica” che è la stessa quantità indicata con mt. Grazie mille 😉