In queste settimane, l’argomento dei prezzi delle materie prime alimentari è tornato prepotentemente alla ribalta. Tutti noi sappiamo cosa stia accadendo sull’altra sponda del Mar Mediterraneo, e sicuramente abbiamo ancora vive nella mente le immagini delle rivolte del pane in Messico, pochi mesi orsono.
Un primo punto fermo lo possiamo mettere fin da subito: non ci deve stupire quanto sta accadendo. Era nell’aria, da anni ormai, e in un certo senso, non le cassandre, ma gli analisti veri, quelli seri, avevano previsto questo scenario geopolitico. E sapete perchè? E’ stato possibile poichè alcune delle cause scatenanti, sicuramente le principali, sono determinate da comportamenti umani (giusti o sbagliati lo lascio stabilire a voi).
Come accade per i prezzi dei beni di consumo, così anche per le materie prime vale la regola della domanda e dell’offerta. Chiaramente al calare dell’offerta, a domanda invariata o aumentata, il prezzo della commodity aumenterà. Fin qui nulla di particolare. Certo, gli eventi meteorologici del 2010 hanno influito in una certa misura sull’output totale, ad esempio, di grano: ricordiamo gli incendi devastanti in Russia e le alluvioni in Australia. Questi eventi drammatici hanno ridotto il raccolto, e i prezzi sono schizzati alle stelle (la domanda non è di certo diminuita). Questo scenario, tuttavia, ce l’hanno raccontato per il 2010, ma anche per il 2009, il 2008, il 2007 e così via. Possibile che da anni, in modo sistematico, una parte dei raccolti vada persa al punto da influire sulla offerta globale di grano? Ricordo che in questa occasione parliamo di grano ma, incidentalmente, quanto sta avvenendo per questa commodity sta avvenendo per tutte le altre.
Insomma parrebbe essere di fronte ad una sindrome globale da riduzione sistematica dei raccolti (e così non è)1 , amplificata da un aumento costante della domanda (qualcuno si spinge oltre e dice “delle bocche da sfamare”). Il circolo vizioso che ci prospettano, infatti, è il seguente: sempre più persone stanno avendo accesso alla carne, ovviamente per crescere questi animali destinati alla macellazione, vi è necessità di mangimi. Maggiori quantità di mais, ad esempio, per l’alimentazione animale significa minori quantità di cibo (di base) per gli essere umani. E questo da un lato impoverisce l’offerta e amplifica la domanda, facendo infuocare i prezzi.
Siamo proprio sicuri che sia così? O, come sempre, esistono altre cause, altre concause che rendono il problema di sicuro ancora più complesso, ma che di certo lo sottraggono a valutazioni del tutto sommarie e populiste?
Se ne avete voglia, ripercorreremo qui in dettaglio cosa sia accaduto (in modo facilmente prevedibile) ai prezzi delle materie prime alimentari.
I filoni principali che ripercorreremo qui sono due: da un lato il biofuel, dall’altro la speculazione finanziaria.
Fino agli inizi degli anni ’90, esisteva una legislazione del commercio internazionale che tutelava in modo rigoroso gli scambi e le contrattazioni sui futures legati alle materie prime alimentari. Nel breve volgere di qualche anno, tuttavia, queste regole hanno cominciato ad essere disattese se non del tutto ignorate. Sappiamo bene quanto sia difficile la regolamentazione dei mercati finanziari, a maggior ragione in un contesto di economie emergenti. E’ qui che si crea il primo strappo, fatale, per i prezzi delle materie prime alimentari: questi futures sulle commodities sono diventati veri e propri strumenti derivati che banchieri, hedge fund e investitori hanno cominciato a trattare al pari di altri derivati. Compro, rivendo, speculo. Compro, rivendo, speculo.
Una piccola nota storica. La “speculazione” sulle commodities è sempre esistita, ma fino a che il mercato fu protetto, si trattò di una “speculazione” sana e utile. In pochissime parole, l’agricoltore vendeva anticipatamente il proprio raccolto ad un investitore. Si “scommetteva” sul raccolto: in caso di raccolto superiore alla media, agricoltore e investitore registravano un profitto. In caso di raccolto al di sotto della media, l’agricoltore vedeva il proprio rischio ridotto (grazie all’intervento dell’investitore).
Come detto, dalla seconda metà degli anni ’90, la regolamentazione sui mercati delle commodities è venuta meno, quest’onda è partita soprattutto dagli ambienti economico-finanziari anglosassoni e nordamericani. Ed è qui che entrano in gioco i derivati che, quindi, consentono la contrattazione sugli strumenti sottostanti. E questo ha significato una ed una cosa soltanto: da un certo punto in poi, hanno cominciato a trattare di materie prime alimentari, persone e organizzazioni completamente avulse dal sistema produttivo agricolo.
All’atto pratico cosa significa? Significa che grano, granoturco, olio di semi ecc. vengono trattati similmente a petrolio, oro e altri metalli da lavorazione.
Ma la corsa verso il disastro non è ancora finita, anzi il treno è a piena velocità verso il punto di impatto, anche se questo non è ancora visibile.
Nel 2006 l’America comincia a notare la marea montante dei sub-prime: la crisi è dietro l’angolo ed ecco che i fondi di investimento decidono di investire miliardi di dollari in qualcosa di più sicuro: le commodities alimentari.
Sentiamolo dalle parole2 di Mike Master, manager della Masters Capital Management:
We first became aware of this [food speculation] in 2006. It didn’t seem like a big factor then. But in 2007/8 it really spiked up
In italiano: “Ci siamo accorti per la prima volta di questa speculazione alimentare nel 2006. Allora non sembrava avere molto peso. Tuttavia nel 2007-2008 è realmente schizzata verso l’alto”.
Ma il danno, a quel punto, era già stato fatto.
Mike Master nel 2008 testimoniò di fronte al Senato americano, proprio per lanciare l’allarme sulla speculazione sulle materie prime alimentari. Disse:
Most of the business is now speculation – I would say 70-80%
Il 70/80% degli scambi era ascrivibile alla speculazione.
In caso di mancato raccolto, per via di incendi o alluvioni, l’oscillazione storica del prezzo per bushel si aggirava intorno ad un dollaro. Ovviamente, a questo punto, per ogni singola notizia negativa sui raccolti futuri, il prezzo può variare fino ad aggiuntivi 2 o 3$ a copertura di eventuali minori introiti. Il prezzo schizza alle stelle e il mercato diventa immensamente volatile.
A complicare ulteriormente la situazione ci si è messo anche il divieto per USA e UE di accumulare grano e mais oltre una certa soglia. E sapete perchè? Per i biofuel. Gli Stati Uniti, in particolare, sostengono economicamente la produzione di biofuel, tramite un notevole flusso di sussidi. Proprio per questo motivo, il WTO ha imposto un limite massimo ai sussidi erogabili e una quantità massima di granoturco accantonabile come scorta. E il pasticcio è doppiamente servito. Alla volatilità dei prezzi, derivante dalla speculazione così come ve l’abbiamo spiegata sopra, si aggiunge la volatilità data dall’assenza di scorte alimentari sufficienti, creando improvvisi shortage che non fanno altro che amplificare ulteriormente la corsa al rialzo dei prezzi.
A ciò si aggiunga che per produrre biofuel si sottrae terreno coltivabile per gli esseri umani. Ovviamente questo aspetto agisce dal lato dell’offerta, comprimendola e contribuendo all’aumento dei prezzi.
Ricapitolando3 ,4 ,5 ,6 ,7 . La speculazione, da metà degli anni ’90 ha accumulato tutte le variabili possibili ed immaginabili affinchè si preparasse, alla prima occasione disponibile, una bella bolla speculativa sulle materie prime alimentari. Quindi maggiore volatilità dei prezzi e formazione del prezzo per più di tre quarti dovuta a fattori finanziari, anzichè produttivi. A quanto detto poc’anzi, si aggiunga la crescente produzione di biofuel che, da un lato, impoverisce l’offerta di materie prime alimentari, dall’altro lato contribuisce ad aumentarne ulteriormente la volatilità.
Per dirlo con le parole chiarissime di Deborah Doane, direttore del World Development Movement:
People die from hunger while the banks make a killing from betting on food
Ovvero, la gente muore di fame, mentre le banche commettono un omicidio scomettendo sul cibo.
Ironia della sorte, l’organo preposto a far sentire la propria voce su scala globale, l’ONU, rimane piuttosto neutro e formale di fronte a questi accadimenti. Qualche mese fa, un comunicato recitava:
Apart from actual changes in supply and demand of some commodities, the upward swing might also have been amplified by speculation in organised future markets
In italiano: “A parte gli effettivi cambiamenti nella domanda e nell’offerta di alcune commodities, il trend al rialzo potrebbe essere stato amplificato anche dalla speculazione all’interno di mercati organizzati dei futures”.
Potrebbe, potrebbe. Ma come abbiamo visto, e come ci hanno spiegato analisti, economisti e traders, invece è proprio così che è andata questa vicenda. E che andrà avanti. Il risvolto negativo di questa speculazione è che al momento non si vede proprio come potrebbe essere fermata. A fronte di questa mancanza di regolamentazione, i prezzi delle materie prime alimentari potrebbero aumentare ancora, qualcuno dice di un ulteriore 40% entro il 2020.
Concludendo, con una duplice manovra potremmo far fronte all’attuale ondata speculativa sulle commodities alimentari. Da un lato aumentando l’offerta, ovvero incrementando la superficie coltivabile (e gli esperti ci dicono che sia possibile). Dall’altro lato riducendo la domanda. Ma attenzione, non riducendo le bocche da sfamare come cinicamente sostiene qualcuno, bensì riducendo la quantità di alimenti che vengono convertiti in biofuel. Parallelamente bisognerebbe porre fine alla speculazione finanziaria, ad esempio introducendo nuovamente limiti massimi alla quantità di futures contrattabili.
In tutto questo il global warming antropico ha qualche ruolo? Mi sento di dire che chi utilizza gli attuali moti insurrezionali in nord Africa per dimostrare l’esistenza dell’AGW, si sbaglia di grosso. Il ragionamento è: la gente scende in piazza perchè non può comprare il pane, noi vi avevamo detto che l’AGW avrebbe ridotto la quantità di cibo, ecco che l’AGW è vero e concreto. Al contrario, è vero che le condizioni meteorologiche possano influire negativamente (ma anche positivamente, è il rischio di impresa) sui prezzi delle materie prime. Fino agli anni ’90, questi fenomeni contribuivano relativamente alla volatilità dei prezzi, oggi per colpa della speculazione ne sono la causa pressoché unica.
Prima di invocare Malthus, o puntare il dito verso la CO2, forse, sarebbe meglio fare un po’ i conti in tasca alla nostra finanza.
- http://faostat.fao.org/site/567/DesktopDefault.aspx?PageID=567#ancor [↩]
- http://hsgac.senate.gov/public/_files/052008Masters.pdf [↩]
- http://www.guardian.co.uk/global-development/2011/jan/23/food-speculation-banks-hunger-poverty [↩]
- http://www.globalpolicyjournal.com/blog/18/02/2011/high-food-prices-cause-and-result [↩]
- http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704803604576077751817700340.html?KEYWORDS=food+prices [↩]
- http://www.msnbc.msn.com/id/23632933/ns/politics-capitol_hill/ [↩]
- http://futures.tradingcharts.com/chart/CW/M?anticache=1298206354 [↩]
Post affascinante — assieme ai suoi commenti, perchè induce a riflettere sulla fin’ora poco studiata connessione tra AGW ed indicatori economici.
A mio parere questa materia è ricca e ancora relativamente “vergine”, perchè sono pochi gli studiosi sufficientemente preparati contemporaneamente in climatologia ed economia.
Per dare solo qualche pennellata sulle difficoltà di arrivare a conclusioni affidabili su questa connessione, il “caso” dei prezzi agricoli menzionato nel post è utile — vorrei aggiungere qualche riflessione su alcuni fattori complicanti in gioco, che rendono molto difficile l’analisi di questo caso.
Allora, come scrive il Dr. Gravina, il prezzo del grano è schizzato in su, e tra le cause principali troveremmo anche la “speculazione” fatta da operatori nel mercato dei grain futures.
E’ una ipotesi ragionevole; infatti, alcune derrate alimentari non quotate nelle borse merci, nello stesso periodo, hanno avuto un incremento dei loro prezzi pari alla metà di quelle del grano — ergo, potrei concludere, la speculazione sui grain futures ha avuto un impatto chiaramente negativo, contribuendo ad una “carestia”, nel vero senso della parola.
Non solo: ricordiamo che in una borsa merci — dove si trattano, a prezzi che variano quasi ogni secondo, dei contratti per la consegna alla data X di una quantità Y di una merce — forse non più dell’uno per cento dei contratti negoziati vede poi della merce effettivamente consegnata alla scadenza del contratto. E’ quindi facile capire come un gruppo finanziariamente potente di speculatori, comprando o vendendo un numero elevato di contratti prima della data X, possa riuscire ad influenzarne il prezzo per un certo periodo — però, la soluzione non sta, per divergere dal Dott. Gravina, nel limitare il numero dei contratti, che conviene anzi sia il più alto possibile per motivi di liquidità, ma nel limitare la “concentrazione dei contratti” nelle mani di pochi operatori — concentrazione che da poco è stata drasticamente ridotta dal CFTC, l’organo di controllo delle borse merci in USA, dopo un vero e proprio scandalo alla James Bond avvenuto nel settore dell’argento.
Peraltro, queste borse merci e questi contratti esistono da più di un secolo.
Chiaramente i vantaggi — in termini di liquidità del mercato, di protezione del flusso di cassa delle aziende che producono o acquistano queste merci e come meccanismo di “price discovery”, cioè di determinazione del vero prezzo di mercato di una merce — hanno addirittura fatto aumentare fortemente il numero delle merci contrattate in varie borse merci in giro per il mondo.
Adesso veniamo al sodo.
Avverto il lettore che, per un’attimo, devo prendere il tema alla larga, altrimenti alcune difficoltà della conessione AGW – economia non verrebbe sufficientemente evidenziate. Gli economisti mi scuseranno per l’approssimazione dei termini che userò.
Anzitutto, cos’è un prezzo?
Un fisico lo chiamerebbe una “grandezza intensiva”, come la pressione, mentre il flusso del fluido, la “grandezza estensiva”, corrisponderebbe al flusso monetario delle merci negoziate. Come vedremo, questo parallelo aiuterà nella discussione successiva.
Di nuovo, cos’è un prezzo?
Una risposta classica è il rapporto di scambio tra una unità di merce (o servizio) e la moneta usata per quella transazione.
Allora, cos’è la moneta? Questo, oggi, è molto più difficile da spiegare “onestamente” — vediamo subito il perchè con un esempio che, presumo, farà riflettere.
Da circa 3000 anni un alloggio “piccolo in periferia” si compra con 10 chili d’oro, che diventanto 30 se lo voglio grande, e 100 se lo voglio “in centro”, o in altra zona privilegiata. Aggiungi o togli un 50%, ma per il 90% della storia scritta, dagli Assiri in poi, stiamo lì.
Con questo voglio dire che un mezzo di scambio (cioè, una moneta) come l’oro mantiene un prezzo stabile (un rapporto costante tra merce e moneta, come visto sopra) per un bene più o meno costante e comparabile nei secoli come un alloggio.
Ma è veramente stabile il prezzo dell’oro?
Mi verrà, giustamente, fatto rilevare che l’oro valeva 35 dollari per ogni oncia (circa 31 grammi) nel 1970, e ben 1400 dollari ieri sera!
Per capire cosa stia succedendo, facciamo una domanda un pò provocatoria: supponiamo che l’orologio al polso del Dott. Gravina valga 80 euro, e che io gli offra di comprarlo porgendogli una banconota da 100 euro — se al Dott. Gravina costasse poca fatica ricomprare un’orologio identico, probabilmente accetterebbe, con un guadagno di 20 euro.
Ma, in fondo, perchè il Dott. Gravina dovrebbe scambiare il suo orologio funzionante contro una banconota da 100 euro, cioè contro un pezzo di carta dal valore intrinseco di, forse, 5 cents?
La risposta è semplice: perchè pensa che quel pezzo di carta, per esempio, potrà offrirlo senza problemi al benzinaio per fare un pieno di carburante.
Ma allora, perchè, se il rapporto dell’oro contro case è storicamente costante, in soli 40 anni l’oro, in dollari, si è rivalutato di 40 volte, cioè del 4000 %?
Purtroppo la risposta è semplice: l’oro è un bene la cui “scarsità” è affidabile e conosciuta — ve ne sono in totale circa 160 kT, e quest’inventario varia solamente di circa 1.5 kT/anno — è per questo che il rapporto oro/case rimane, a lungo termine, costante.
Le banconote, visto il loro basso costo di produzione, hanno, per dirlo diplomaticamente, una “scarsità monotonicamente descrescente” e, quando creo inflazione (cioè, quando aumento la quantità della moneta in circolazione), il mercato, con un ritardo di circa 12-36 mesi a seconda dei settori, se ne accorge, ed aumenta corrispondentemente il prezzo delle merci e dei servizi. In realtà, il meccanismo del sistema monetario è più complesso, ma la sua complessità, in questo caso, non cambia le conclusioni.
Bene, ma tutto questo cosa c’entra con il prezzo del grano e, ancor di più, con l’AGW?
Per il grano, quotato in borse merci agilissime, dove il meccanismo del “price discovery” è accelerato al massimo, l’inflazione monetaria verrà ïncorporata nel suo prezzo molto più presto rispetto alle altre derrate non quotate — tutto qui.
Magari fossero veramente le banche, i grandi speculatori, ecc. ad averne fatto aumentare tanto il prezzo! Sarebbe un problema molto più facile da risolvere, con gli strumenti di controllo e coercizione di cui dispongono i governi.
I prezzi, prima o poi, tendono sempre all’equilibrio, anche dopo schocks momentanei come quello di ieri del petrolio, salito del 8,5% in un giorno.
Se veramente sapessi che degli speculatori fossero riusciti a far salire il prezzo del grano oltre il giusto, diventeri ricco senza rischio… venderei subito del grano a futuro, sapendo che oggi il contratto a termine mi costerebbe meno di quello che varrà un domani, e guadagnerei la differenza — ma purtroppo non è così!
La verità, purtroppo, è che i prezzi del grano stanno cominciando, dopo i fatidici 12-36 mesi, a riflettere una politica monetaria molto espansiva, e quindi inflazionaria. Se volete farvi un’idea grafica di quanto espansiva, guardate qui:
http://www.financialsensearchive.com/fsu/editorials/dollardaze/2009/0213.html
(Questi grafici del 2009 per il dollaro non comprendono ancora il famoso “stimolo QE2”, e sono simili per quasi tutte le altre monete!)
Conclusione prima: è difficile misurare la pressione con un manometro di gomma, ed è altrettato difficile misurare il prezzo di una merce, compreso il grano, con una moneta di gomma.
E allora, cosa c’entra l’AGW?
A tutte le incertezze sul “sistema di misura dei prezzi” già accennate sopra, aggiungiamone solo tre “piccole” per l’AGW — altri lettori potranno fare a gara per aggiungerne delle altre ancor più appropriate:
1. L’impatto dell’AGW sui prezzi alimentari, biofuel docet, è anche legato all’offerta totale delle derrate alimentari — e qui forse non conosciamo tanto bene quanto vorremmo l’impatto della CO2 sulla temperatura del pianeta, ma conosciamo benissimo il tasso di aumento della CO2 degli ultimi anni – dovremmo quindi già disporre di dati affidabili sull’impatto quantitativo della produzione di derrate alimentari vegetali in funzione dell’aumento della CO2 — o no?
2. Oggi ci sono circa tre persone in più sul pianeta per ogni persona che già c’era quando sono nato, e le alimentiamo proporzionalmente meglio di 60 anni fa: un miracolo storico dovuto al forte progresso tecnologico in campo agricolo, a momenti quasi ingovernabile, vedi la genesi della PAC in Europa — è chiaro che questo tasso di innovazione ha avuto un forte impatto, favorevole, sui prezzi agricoli; ammesso che riuscissimo a valutare affidabilmente l’impatto dell’AGW sui questi prezzi, come terremmo poi ulteriormente conto del tasso di innovazione come risposta mitigatoria all’impatto dell AGW su tali prezzi?
3. Se ne parla poco, ma, per converso, l’AGW sta già causando un impatto sul ciclo ricerca/innovazione. Un’industriale non entra nella diatriba “AGW si o no”, ma si preoccupa enormemente quando legge di “ricerche sul clima probabilmente asservite a fini politici”, perchè quando quest’industriale, innovando, applica produttivamente una conoscenza acquisita con la ricerca, lo farà tenendo conto del rischi tecnologici e di mercato.
Fino ad adesso non si preoccupava, in genere, del “rischio scientifico”, la probabilità che i risultati di quella ricerca non fossero del tutto oggettivi — sappiamo però, dalla nota asimmetria delle rispettive velocità di “creazione della corruzione” e di “rimozione della corruzione”, che un settore scientifico “infetto” rovina velocemente l’etica dei settori vicini, vedi Lysenko, e l’impatto di alcune chiacchere (o forse più) sull’etica del settore scientifico legato all’AGW avrà un sensibile effetto deprimente nel tasso di innovazione dei settori industriali collegati.
Conclusione seconda: il massimo impatto dell’AGW sull’economia potrà avvenire in modalità, quantità e circostanze del tutto diverse da quelle usualmente prospettate…
La ringrazio come sempre, per i Suoi interventi.
CG
Stiamo sovrapponendo discorsi diversi. C’è un fatto: l’agricoltura europea è inefficiente. Le ragioni della sua inefficienza derivano dalle politiche agricole che hanno cercato di puntellare un precario status quo (fatto di aziende troppo piccole e di valori fondiari – sui quali si concentrano molti altri interessi, non solo agricoli – troppo elevati). I sussidi all’agricoltura scoraggiano da decenni gli agricoltori a cercare le opportunità che il mercato offre, ed è vero, anche se paradossale, che addirittura oggi, con i prezzi che almeno i cereali hanno raggiunto, gli agricoltori spendono spesso più di quanto guadagnino e il loro reddito è dato prevalentemente dal sussidio.
Se si guarda alla realtà di altri paesi, scopriamo che il Brasile negli ultimi dieci anni ha triplicato l’export agroalimentare, aumentato dell’80% la produzione agricola con un aumento della superficie agricola utilizzata di appena il 25% circa. Il tutto senza sussidi, approfittando delle biotecnologie e della domanda esterna, mentre da noi si parla di farmer’s markets, km zero, decrescita e altre amenità del genere.
@Maurizio: la gente sta meglio e i prezzi salgono. Non è una contraddizione. in Cina si creano diversi milioni di posti di lavoro ogni anno. Questo significa che ogni anno si affaccia sul mercato (alimentare, energetico, ecc.) una popolazione attiva pari a quella una piccola nazione europea. E’ un fenomeno epocale, per questo non credo che ci sia bisogno di andare a cercare nei futures e nei derivati la ragione dell’aumento dei prezzi.
non ci dimentichiamo che, almeno in Italia, la lunga mano della criminalità organizzata arriva anche sui grandi centri della distribuzione della produzione ortofrutticola, non è un caso che la DIA (Divisione Investigativa Antimafia) ha in corso indagini e inchieste su infiltrazioni della camorra nel più grande mercato ortofrutticolo d’Italia, quello di Fondi, dove accanto a mele e pomodori, è videodocumentato che alcuni tir trasportano armi;
è noto anche che alcuni prodotti agroalimentari subiscono “spostamenti e trasporti” inspiegabili, che prima li allontanano, e poi li riportano nelle zone di origine, all’unico scopo di aumentarne il prezzo all’utente finale…..
Delle due l’una…o la gente sta sempre meglio e ha sempre piu’ accesso a certi tipi di alimenti, oppure i prezzi di quei tipi di alimenti salgono alle stelle…
Comunque se si tratta di speculazione, arrivera’ presto una “bolla” e i prezzi crolleranno di nuovo. “Statevi accuorti”, pero’, perche’ all’epoca ci diranno che i prezzi bassissimi causano problemi fra le solite popolazioni (quelle cui va male se i prezzi sono alti o bassi), visto che non guadagneranno come prima.
Vivo in una realtà agricola e, purtroppo per me, posso toccare con mano gli effetti della crisi economica in atto. Ventisette anni fa, quando iniziai la mia professione di ingegnere, gli agricoltori rappresentavano la punta di diamante dell’economia locale. Investivano i proventi derivanti dalla vendita dei prodotti agricoli nella costruzione di stalle, fienili, capannoni, abitazioni (per i figli), per l’acquisto di nuovi terreni e per l’acquisto di beni e servizi. Essi, in altre parole, producevano, guadagnavano ed investivano i guadagni: l’economia funzionava perfettamente. Con il passare del tempo le cose sono cambiate in peggio. Parlando con quegli stessi agricoltori che cinque lustri fa rappresentavano il motore dell’economia locale viene una stretta alla bocca dello stomaco. Ormai produrre non è più conveniente in quanto il ricavato dalla vendita dei prodotti agricoli serve a malapena a coprire le spese. Buona parte del reddito degli agricoltori è rappresentato dalle integrazioni comunitarie che, come dice Masini, disincentivano la produzione. Il grano, in particolare, viene prodotto e dato da mangiare al bestiame in quanto è del tutto anti economico vendere un quintale di grano a meno di 20 euro ed acquistare un quintale di mangime a più del doppio di tale prezzo. Non ho incontrato un solo agricoltore che mi dicesse che produrre frumento rappresenta una fonte di guadagno in grado di sostentare una famiglia. Stesso discorso per l’olio, il vino e la carne. Non parliamo del latte: alcuni allevatori aspettano anche sei-otto mesi per essere pagati dalle industrie di trasformazione ed i prezzi unitari del prodotto (al produttore) sono in continua discesa. Domanda: se gli agricoltori producono in perdita ed i consumatori non riescono a comperare il cibo in quanto troppo costoso, qualcuno potrebbe spiegarmi di chi è la colpa? Per cortesia lasciamo da parte il clima che nella faccenda, mi sembra, abbia poco peso.
Ciao, Donato.
@Giordano
Secondo me stai dicendo le stesse cose che ho detto io. È vero che la parola speculazione sia spesso abusata, ma io l’ho circostanziata. E l’ho incasellata a livello storico, quindi non stiamo affatto parlando della chimera di cui tutti parlano negli ultimi due anni. Detto questo, siamo parlando di movimento di capitali molto rapidi, difficilmente spiegabili con una dinamica sicuramente più lenti come l’aumento della popolazione. I prezzi che scendono rapidamente sono, invece, la cartina tornasole della volatilità dei prezzi, di natura prettamente finanziaria. per quanto riguarda i futures, ok è così che funzionano, e infatti da secoli, sebbene sotto nomi diversi, sono stato utilizzati per generare profitto da un lato e per coprire il rischio dall’altro. Ma non sono i futures a generare la speculazione, bensì lo scambio dei prodotti derivati, in modo incontrollato. Le scuole sono due, nulla di male. Quella cui appartengo io, dice che il prezzo si forma per la maggior parte attraverso la contrattazione sul mercato dei derivati. Ovviamente si aggiungono le altre componenti, meteo compresa.
Chiedo scusa per gli errori di digitazione, ma ero sul tablet e in movimento…
Scusami Giordano, ma non sarei d’accordo sul punto 3 e ti spiego perché. Per quanto le banche non portin o in banca il grano nel senso di frumento, sanno però come portare in banca il grano nel senso di denaro.
Non c’è bisogno di un economista per capire che se io sono un banchiere (si fa per esempio, io NON sono un banchiere) e compro del grano a prezzo basso (grano che non deposito nel caveau, naturalmente) e poi lo rivendo quando è aumentato di molto il suo prezzo, io non tocco cereali, fisicamente, ma metto nel caveau una bella quantità di quattrini, corrispondente alla differenza di prezzso tra quanto ho venduto, rispetto a quanto ho comprato. E possono essere bei soldini.
La mia è pura speculazione, perché non ho fatto nulla per facilitare il mercato del grano, non sono un produttore, non sono un distributore, non faccio nessun intervento utile, ma speculo solo, faccio solo soldi a spese del lavoro altrui, e affamo la gente, semplicemente. E questo è un crimine morale che viene permesso e tollerato, e invece dovrebbe essere contrastato.
Secondo me.
il fatto è che se io compro dei futures non compro grano, né reale, né di carta. Compro delle “scommesse” sul fatto che il grano aumenti di prezzo. Posso acquistarne a vagonate, ma se poi la produzione di grano (vero) aumenta e i prezzi calano, io quelle scommesse me le do sui denti.
il motivo per cui le scommesse al rialzo sono aumentate lo si deve al fatto che non si vedono all’orizzonte né cali nella domanda (vera), né aumenti sostanziali nella produzione (vera) grazie soprattutto alle politiche demenziali e distorsive di USA e UE. Per cui se ho soldi da investire posso ragionevolmente pensare che se scommetto sul rialzo dei prezzi delle materie prime probabilmente vinco. e’ come una corsa di cavalli in cui c’è solo un cavallo buono: non è il fatto che scommettano tutti su di lui a determinare il risultato della corsa. sempre che la corsa non sia truccata, ma in questo caso a truccare i risultati sono i governi, non i mercati.
ps. nel mio precedente commento ho numerato i punti del discorso in maniera delirante. Chiedo scusa 🙂
Claudio, non sono d’accordo (ho scritto un post sul tema proprio ieri http://lavalledelsiele.com/2011/02/21/g20-anche-tremonti-va-alla-guerra-dei-mulini-a-vento/). Ho l’impressione che in questa faccenda dei prezzi del cibo rimpallarsi la responsabilità tra global warming e speculazione equivalga sostanzialmente a dare la caccia a due streghe diverse, ignorando alcuni aspetti che per me sono decisivi per spiegare ciò che sta accadendo:
1) Il clima ha fatto la sua parte. il fatto che qualcuno non resista alla tentazione di ascrivere tutto, prezzi, rivolte, morti ammazzati, al global warming non ci autorizza a ignorare il fatto che ciò che è successo in Russia, poi in Australia, e poi anche da noi, dove un inverno non esattamente torrido ha rallentato le semine di frumento abbia avuto un effetto decisivo sull’offerta.
2) i governi se la prendono con la speculazione, ma sono loro, i governi, a poter chiudere le frontiere e a poter limitare la disponibilità fisica di materie prime laddove la domanda è in aumento. Infatti il caos è cominciato quando Putin ha chiuso l’export russo (dopo i cattivi raccolti) e ora anche la Francia ha fatto sapere di avere intenzione di limitare le esportazioni (è stato proprio il grano francese ad aver parzialmente compensato, quest’anno, quelllo russo sui mercati del nord africa).
3) i futures sono pezzi di carta. Se uno compra, un altro deve vendere, in un gioco a somma zero. Non è la quantità degli scambi a far aumentare il prezzo delle materie prime, ma la loro accumulazione se l’offerta è scarsa, e con i futures non vengono scambiate, quindi neanche accumulate, quantità fisiche di materie prime: i banchieri non si portano il grano in magazzino, in poche parole.
4)Le politiche agricole europee e statunitansi scoraggiano l’aumento di produzione: o ci fanno buttare il mais nei serbatoi delle automobili o nei digestori da biogas o ci sussidiano per produrre di meno. Queste politiche sono state varate per compensare i mancati redditi degli agricoltori quando i prezzi erano bassi, ma sono ancora in vigore.
5)Al mondo c’è più gente che mangia di più, soprattutto in Asia. Ma proprio tanta gente. Questo è il grande fattore di lungo periodo che non solo ha fatto aumentare la domanda, ma autorizza a pensare la domanda continuerà ad aumentare.
4) Questi fattori (guarda le previsioni su produzione e consumi per l’annata agraria in corso http://www.igc.int/en/gmrsummary/marketreport.aspx) spiegano da sole sia l’aumento dei prezzi che l’aumento della speculazione: puntare sull’aumento dei prezzi delle materie prime nelle condizioni sopraindicate e in assenza di vere alternative vuol dire vincere facile. in questo credo che i futures svolgano un ruolo essenzialmente positivo, poiché indicano con chiarezza le tendenza reali del mercato al di là delle politiche distorsive dei governi.
5) E’ vero che i prezzi sono raddoppiati mentre l’offerta è calata un po’, ma è vero che il prezzo dei generi alimentari è anelastico: ci vogliono forti aumenti di prezzo per indurre le persone a consumare meno. E’ comprensibile, se il prezzo del cibo aumenta le persone rinunciano ad altro prima di togliersi il pane di bocca.
6) per la stessa ragione i prezzi fanno presto a scendere: è già successo dopo il 2008 (non è vero che i prezzi hanno continuato a salire, nel 2009 si erano già dimezzati) non appena domanda e offerta si riavvicinano.
A mio avviso la speculazione sta diventando l’alibi per consentire ai governi di intervenire sui mercati con misure protezionistiche che hanno, quelle sì, effetti decisivi sui rialzi (Sarkozy ha, con rispetto parlando, […] quando va al g20 a dire che vuole regolamentare la speculazione per proteggere i paesi del nordafrica dai rialzi e poi annuncia di volere bloccare in Francia le scorte di cereali).