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Il Sole sale, ma è ancora buio

Dovrebbe sempre far luce il Sole, dovrebbe sempre contribuire ad illuminare la nostra mente. Usarla per far buio non è giusto. Usarla per avere successo in un terreno fertile e credulone come quello dei disastri indotti dai cambiamenti climatici non è leale.

Quest’anno all’Academy Awards c’è in concorso un documentario, il titolo è Sun come up e possiamo star certi che vincerà. Sulla home page della produzione campeggiano già numerosi premi. Probabilmente tutti meritati, fotografia, ambientazione, sceneggiatura, sicuramente un gran bel lavoro. Il tema è toccante e il fatto che sia vero fa cambiare la categoria in concorso, non una fiction ma un documento, o forse no.

Un po’ di storia. Le isole Carteret sono un piccolissimo arcipelago al largo di Papua Nuova Guinea, poco più di mezzo chilometro quadrato diviso su più atolli appena a nord delle isole Salomone. Altezza massima sul livello del mare 1,5mt, giusto in mezzo a moltissimi altri piccoli arcipelaghi già noti alle cronache climatiche perché minacciati dall’innalzamento del livello del mare. In modo molto virtuale e un po’ colpevolmente, una passeggiata tra i coralli qui su CM l’abbiamo fatta già qualche mese fa, giusto prima del vertice di CO2penhagen. All’epoca erano appena usciti i risultati di una ricerca che misurando le isole della zona ha scoperto che sì, il mare sarà pure salito, ma la loro superficie è in gran parte aumentata, a riprova del fatto che ci sono anche altri fattori da prendere in considerazione nel valutare l’impatto che questi ecosistemi possono subire dai cambiamenti climatici. Tra questi, una non trascurabile variabilità di breve periodo dell’altezza del livello del mare, soggetto ad oscillazioni interannuali anche di 15cm.

Onde evitare di cadere nello stesso errore di disinformazione del documentario di cui stiamo parlando, chiariamo subito che non è questo il caso. Il problema sulle Carteret c’è ed è documentato, nel senso che negli ultimi anni effettivamente l’ambiente delle isole pare abbia subito un progressivo deterioramento. Circa venti anni fa, ad esempio, uno degli atolli è stato diviso in due ad opera dell’erosione.

Wikipedia come abbiamo visto spiega piuttosto bene quale sia la situazione. Le isole siedono in cima ad un vulcano, barriere coralline cresciute, morte e sedimentate su cui nel tempo si è posata della vegetazione con successiva formazione di quello che per i nostri canoni è un surrogato di terraferma. Ciò non toglie che su queste isole ci sia un’insediamento umano che sta attraversando delle  difficoltà tali da aver innescato un processo di evacuazione, principalmente verso la vicina isola di Bouganville, ben più solida e ben più alta sul livello del mare (fino a 2400mt), anch’essa di origine vulcanica e con numerosi coni ancora attivi, anche causa di frequente attività sismica.

Qual’è il problema del documentario e di gran parte dell’informazione che è stata fatta su questo argomento? Semplice e tragico allo stesso tempo. Gli abitanti delle isole Carteret sono stati battezzati come i primi profughi climatici della storia, ovvero come i primi a dover abbandonare le loro case e la loro vita di sempre a causa dell’innalzamento del livello del mare attribuito del tutto o quasi al riscaldamento globale di origine antropica. Addirittura primi dei prossimi duecento milioni di anime, come spiegano dalle pagine di greenreport.it riprendendo i dati dell’IOM. Propaganda. Magari utile per far affrontare il problema da chi avrebbe dovuto, ma soprattutto efficace per garantirsi le prime pagine dei giornali e i favori delle giurie dei premi cinematografici sempre più contrite e disposte al pentimento. Perché in pochi sanno che in un interglaciale il mare è comunque destinato a salire e a mutare la morfologia del territorio, sicché attribuire quello che sta accadendo ad una quota di riscaldamento antropico tutta da definire è semplice propaganda.

Quando una ventina di anni fa si cominciò a parlare di questo problema, qualcuno decise di prendere di petto la situazione e fu finanziato e implementato un progetto di monitoraggio del livello del mare nella zona. Il progetto SEAFRAME consisteva nell’installazione di un numero di sensori ad alta tecnologia per misurare il livello del mare e vari altri parametri atmosferici. Da qualche anno a questa parte il progetto ricade sotto la responsabilità del National Tidal Centre australiano che si occupa della collezione dei dati della loro analisi e dell’accoppiamento con le serie più datate e meno affidabili. La stazione di rilevamento più vicina alle carteret è Honiara, sulle Isole Salomone. Per quella località si dispone di due serie di dati, la più vecchia mostra un trend negativo di 5,7 mm/anno, mentre i dati raccolti con i nuovi sensori, al netto del ciclo stagionale e degli eventuali movimenti del suolo evidenziano un trend di 7,7 mm/anno.

Ma il mare non è salito di 11,5 cm in quindici anni, tanti ne sono passati da quando è stato installato il sensore. Il segnale risulta essere fortemente disturbato dal passaggio di un ciclone tropicale nel 1997 e del successivo super El Niño del 1998. Di lì in avanti non ci sono state variazioni significative. Il NTC produce degli interessanti rapporti annuali, dei quali l’SPPI ha composto un sunto abbastanza approfondito che spiega come funzionano i sensori e qual’è il livello di affidabilità delle misurazioni. Quel che ne viene fuori è che le informazioni disponibili sono ancora decisamente scarse per qualsiasi discorso di attribuzione, le dinamiche delle oscillazioni del livello del mare in quella zona devono essere osservate ancora molto a lungo prima che i trend misurati possano essere defini stabili.

Gli abitanti delle Carteret dunque sono profughi, ma non climatici, bensì ambientali, nel senso che è la fragilità dell’ambiente che ospita gli insediamenti ad aver reso necessario l’abbandono delle isole. Forse raccontandola così non ci sarebbe stata nessuna candidatura all’oscar, ma per una autrice che dichiara di avere una formazione ambientale e giornalistica questo non avrebbe dovuto essere un limite. Peccato.

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Published inAttualitàClimatologiaNews

7 Comments

  1. Giuseppe Tito

    Mille persone possono fare tanto, basti pensare allo stesso numero di uomini appartenenti ad una ben nota spedizione! Occorre la giusta eco mediatica, cavalcare lo tsunami di un’idea dirompente e penetrante, come quella di una rivoluzione sociale, politica o semplicemente legata alla fame, alla miseria o peggio ancora all’ignoranza, ed il gioco è fatto.
    L’ambientalismo di oggi è come quella spinta rivoluzionaria di metà ottocento, ma con mezzi mediatici enormemente più diffusi e dinamici. Alla fine la gente crede a tutto: conoscenti con tanto di laurea mi hanno chiesto se davvero una glaciazione potrebbe cominciare alla maniera di “The day after tomorrow”!
    Allora si arrivò a parlare di certi personaggi come eroi mitologici (non so in quanti posti Garibaldi è stato ferito a morte, probabilmente in molti di questi non ci è nemmeno mai passato!), di battaglie come di eventi biblici. Oggi ogni uragano diventa un film, ed ogni film catastrofico sembra possibile in un futuro ormai alle porte. Ogni anomalia meteo-climatica diventa un segno della catastrofe imminente ed un posto abitato solo da qualche secolo, senza storia né memoria, diventa l’emblema di un futuro già segnato, la vittima sacrificale ad un progresso colpevole, ora più che mai.
    In fin dei conti questi profughi si sposteranno solo di qualche km, ed andranno a vivere in un posto praticamente identico a quello in cui hanno sempre vissuto. Magari fossimo tutti così fortunati; magari lo fossero stati tutti i milioni di profughi di guerra, politici, affamati o allontanatisi a causa di malattie e contagi! Prima che il livello del mare si alzi di qualche decina di cm, tale da movimentare i fatidici 200 milioni di profughi climatici, altri numeri ben più grandi si saranno mossi per sfuggire alla fame, alla miseria e a guerre di ogni tipo! Oggi che la panda vale più del panda, gli ambientalisti si rivolgono ad armi sempre più convincenti, quelle del terrore e quelle della compassione.
    Il livello del mare? Beh in quei posti http://www.psmsl.org/data/obtaining/stations/1860.php ed in altri in giro intorno al mondo, non è affatto in catastrofico aumento; anzi in molte zone è addirittura in calo!!!

  2. Guido Botteri

    Forse qualcuno ha dimenticato che l’India apparteneva all’Africa, e da essa si è staccata per andare a sbattere contro l’Asia, formando la catena dell’Himalaya ? Ha dimenticato la Pangea ? Ha dimenticato le tante isole che nascono e muoiono ?
    Viviamo su zolle che si muovono, e se diciamo “terraferma” questo non vuol dire che sia “sempre” ferma.
    Voglio dire che questa è la Natura. Chi costruisce sotto una montagna, non accusi gli altri se una frana gli porta via la casa.
    Chi costruisce in riva ad un fiume, non se la prenda con gli altri se l’alluvione gliela allaga.
    Voglio dire, la Natura è così. Poi, massima solidarietà a chi è sventurato, ma una cosa è la solidarietà, altra è la “colpa” che qualcuno vorrebbe attribuire all’uomo.
    Se arriverà un asteroide e distruggerà delle case, o ucciderà qualcuno, di chi sarà la colpa ?
    Credevo che fossero finiti i tempi in cui le calamità naturali erano considerate “colpe” dell’uomo. Si facevano, allora, sacrifici umani per placare l’ira degli dèi. E gli dèi erano adirati per l’empietà umana.
    Mi ero illuso che queste cretinate fossero state superate. No, siamo punto e a capo. Nuova riga, nuova accusa, che però è sempre la stessa.
    Colpa dell’uomo.
    E se l’uomo facesse un passo indietro, ma meglio due, o tutti i passi che può, e tornasse alla vita delle caverne, qualcuno potrebbe sfogare il suo odio verso il genere umano.
    No. Viva l’umanità. Viva il progresso.
    Se la Natura uccide, essa uccide di più proprio dove c’è meno progresso, e questi sono dati, sono fatti, non chiacchiere, non opinioni.
    Chi va a vivere su un isolotto alto al massimo 1,5 metri, si mette in una condizione assai rischiosa. Il mare è stato anche 120 metri più basso… potrebbe salire. Credo che l’allarme sia però ingiustificato, perché non vedo che al momento ci siano le premesse per un disastro causato dall’innalzamento dei livelli del mare, ma anche loro si sono messi in una situazione rischiosa.
    La Natura ha forze immense. Cosa avrebbe dovuto fare l’umanità per fermare il distacco dell’India dall’Africa, emettere un comunicato in cui si dica che non si ammette un distacco di più di 2 mmm all’anno ?

    • giovanni pascoli

      Caro Guido mi sono pacevolmente “sorpreso” nel leggere il tuo commento così ricco di “phatos” e con questa visione prospettica lontana dalle picolezze umane e dalla soggettività e vicina invece alla realtà oggettiva dei fenomeni in quanto tali. Se molti avessero questo approccio e questa visione credo che sarebbe un grande passo avanti dell’umanità verso una concivenca pacifica e fruttosa tra noi e il pianeta che ci ospita. Purtroppo mi rendo conto di come invece l’approccio all’ambiente sia sempre più di tipo mistico (a proposito qualche sera fa c’era una ciliegina su questo tema, il film the day after tomorrow, da terrorismo mediatico) e la direzione intrapresa come dici giustamente, sia quella di una regressione verso miti e rituali ancestrali con magari la crazione di un culto e di una setta di “ambientalisti” che difendono come fosse un dio intoccabile. GIà mi ero espresso su questo tema l’approccio all’ambiente dovrebbe essere di tipo “simbiotico” invece al giorno d’oggi è di tipo “schiavista” o “riverenziale” Con questo intendo dire che bisgna convivere con l’ambiente e tutti i suoi aspetti mitigando i problemi e accentuando i benefici di questa convivenza, invece attulamente spesso l’atteggiamento è da una parte di uno sfruttamento indisciminato e fno all’osso delle risorse e dall’altra di un eccessivo rispetto e distacco come se si trattasse di una reliquia.

  3. CarloC

    Ma la posso dire una cosa? Sulle isole Carteret vivono, secondo Wikipedia, circa mille persone. Cioe’ piu’ o meno quante ne vivono in un palazzo della periferia di una delle nostre grandi citta’. Ora, se anche fosse vero che queste isole stanno scomparendo per colpa di un riscaldamento globale antropico, in ultima istanza causato dalle automobili, dall’industria, dall’allevamento, dagli elettrodomestici, dagli aerei, non solo dell’Occidente ricco ma di tutto il mondo, anche di quello che sta inseguendo il benessere oggi – parliamo di piu’ di due miliardi di persone solo fra questi ultimi.. un gigantesco CHISSENEFREGA mi sgorga dal profondo del cuore. Mi spiace, non e’ colpa loro se dovranno trasferirsi su un’isola vicina o sulla terraferma, ma certo il loro disagio e’ risibile se confrontato con i benefici che ne ricavano tutti gli altri. O forse gli autori del documentario pensano, in fondo al cuore, che tnato le responsabilita’ quanto i benefici siano, come sempre, di qualcun altro, magari dei pochi cattivissimi manager delle solite cattivissime multinazionali del petrolio?

  4. giovanni pascoli

    Mi permetto di fornire la mia opinione personale su tutto ciò. L’essenza della mia opinione si ricollega come sempre al contesto spazio temporale proprio dei fenomeni naturali e a quello assunto dall’uomo della nostra attuale società. La situazione delle isole della Papua nuova Guinea è una situazione “limite” nel senso che si trova in un punto di transizione di stato, di equilibrio instabile, un livello diciamo “border-line”. Queste isole apaprtengono all’ampia categoria di isole coralline e/o vulcaniche, che peroprio per le loro caratteristiche, una biogenica e l’altra magmatogenica ( e legata alla tettonica) sono necessariamente destinate ad avere una vita geologicamente breve o comunque caratterizzata da un’evoluzione rapida e spinta. Come giustamente sottolinea il post nelle sue righe finali gli abitanti di queste isole sono soggetti più di altri (ad esempio chi vive sugli scudi cratonici africani o canadesi) a queste variazioni naturali. Cosi come isole vulcaniche possono ergersi e scomparire improvvisamente causando anche la morte improvvisa degli abitanti o esodi di massa (da Santorini a Lanzarote passando per Montserrat) lo stesso possono fare gli atolli corallini ( fattori biogenici) o quelli vulcanici ormai spenti (erosione). In queste aree sensibili inoltre la tettonica ha delle coseguneze sull’ambiente molto più radicali rispetto ad altre regioni meno sensibili, una variazione di qualche mm anno nell’himalaia non ha le stesse conseguenze rispetto ad un arcipelago che si erge solo di un metro sul livello del mare. Il punto è che chi vive in questi posti deve essere informato del rischio ed accettarlo, come sicuramente è stato fatto ad esempio per gli abitanti circumvesuviani (!), in modo che poi si evitino strumentalizzazioni a sfondo politico e travisazioni della realtà come queste del filmato.
    La colpa di tutto ciò è di chi ha fatto credere a questi abitanti di vivere in un paradiso fermo ed immutabile, mentre in realtà ci si trova sopra una giostra in continuo movimento. Benchè l’ambiente di queste isole sia simile all’eden e al paradiso non significa che queste siano nè l’eden ne il paradiso, intese nel senso biblico. Anzi snon piu simili a dei veli che si stendono su un substrato di fiamme e fuoco simile all’inferno.
    Di isolotti che emergono e scompaiono lungo la superficie del mare è pieno il mondo e ne è piena la storia umana e geologica del pianeta, solo che se questi non sono abitati o lo sono stati solo in un passato storico e lontano, non entrano nel diritto di cronaca e conoscenza, come se non fossero mai esistiti e come se il fenomeno non esistessa. QUindi nell’immaginario collettivo la malainformazione fa passare il messaggio che questo caso della Papua Nuova Guinea, sia un caso unico, anomano e per questo riconducibile a cause anomale (l’AGW) mentre invece la realtà dimostra esattamente il contratio, cioè che questo caso fa parte dei cicli naturali del pianeta in parte legati anche al GW o semplicemente ai NCC (Natural Climate Changes). Faccia anche due esempi estremi: Le Dolomiti formatesi come barriere coralline circa 250 Ma fa ora sono degli splendidi rilievi anche a più di 3000 m di altezza sul livello del mare. O il mar Rosso che fino a 30 Ma non esisteva ed era terraferma ora è un piccolo oceano. In questi due casi chissa quanti isolotti hanno visto nascita e morte dorante ‘evoluzione che ha portato le Dolomiti a ergersi sullla Terraferma e al Mar Rosso a sprofondare sotto il mare. Questi esempi per la legge dell’Attualismo dimostrano che sul Pianeta esistano , sono esistite ed esisteranno situazioni intermedie a queste due in continua e costante evoluzione.
    Lo stesso discorso vale per le specie viventi. Alcune specie sono ormai border-line e naturalmente destinate all’estinzionecome il famoso Panda del WWf, specie che ha un alimetazione altamente specializzzata e di nicchia oltre che seri problemi riproduttivi. Il volerle tenere in vita equivale un po all’accanimento terapeutio in ambiente medico. Altra coso sono le estinzioni legate alla caccia indiscirminata e di bracconaggio anche per uso alimentare di specie invece ebn adattate alla “natura” come i bisonti, gli elefanti le balene ecc. Quindi anche in questo caso bisogna fare analisi puntuali e non generalizzare la dove non è possibile.
    Chi pensa di ridurre i livelli del mare, di controllare il clima e gestire l’evoluzione delle specie viventi non può che essere un male informato o un pazzo stile cartoni animati.

  5. max pagano

    eppure non è difficile, anche per i non geologi, cercare sul web o su qualsiasi libro, e venire sapere che la subsidenza dei rilievi vulcanici sottomarini è cosa nota da decenni, e che la storia delle isole in questione è la stessa che da milioni di anni si ripete in tutte le situazioni geologicamente analoghe;
    aggiungo per altro che le isole si trovano in estrema vicinanza delle zone di subduzione del margine della placca pacifica, zone dove, seppur con movimenti lentissimi, il fondo dell’oceano pacifico pian piano viene “risucchiato” verso il basso e si infila sotto il margine della placca australiana…..
    e vabbè……

    🙂

    Reply
    Max temo che un documentario che parli di subduzione non sarà mai candidato all’oscar, a meno che qualcuno non s’inventi che i movimenti tettonici ci porteranno al disastro e noi li stiamo accelerando camminando tutti insieme sulla crosta terrestre… 🙂
    gg

    • giovanni pascoli

      mi piace questa compattezza telepatica di gruppo, segno che si tratta solo di una questione di “CONOSCENZA” vs “IGNORANZA”

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