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Tipping point, fuori due!

Cos’è un tipping point? Un punto di non ritorno. Con riferimento al clima è un neologismo, adottato appositamente per esasperare il terrore del disastro climatico imminente. Cosa c’è infatti di più spaventevole di un punto oltre il quale non c’è più modo di correre ai ripari? Praticamente nulla. Il termometro dello spavento a quel punto è a completa disposizione di chi lo ha ficcato sotto le ascelle della pubblica opinione. Basta avvicinare opportunamente ogni volta la data del presunto “tipping point” per far salire la preoccupazione -e quindi la disponibilità ad agire- di chi ascolta.

la pratica è ben consolidata, tanto che non occorre essere studiosi di clima per fare delle eccellenti performances divulgative sugli spaventosi tipping point del clima. Se ne può anzi fare largo uso a tutti i livelli. Lo fa la burocrazia climatico-ambientale nelle ufficialissime sedi ove si riunisce, per esempio dichiarando di voler a tutti i costi tenere la temperatura media superficiale del pianeta sotto i 2°C di aumento dall’era pre-industriale perché quei 2°C segnerebbero altrimenti l’inizio della fine, sapendo perfettamente che il termostato della Terra non esiste. Lo ha fatto l’IPCC con l’increscioso scivolone dei ghiacciai dell’Himalaya – dati per spacciati al 2035 e poi resuscitati almeno fino al 2350. Lo fanno sostenitori politici della suddetta ipotesi di fine nelle loro oratorie – Al Gore è un esperto di tipping point, il Principe Carlo ancora gira per il mondo con la ridicola faccenda dei 99 mesi etc etc. E, ahimè, lo fanno anche gli studiosi. Alcuni avranno sentito parlare della “spirale di morte” in cui il capo dell’NSIDC (National Snow and Ice Data Center) si dice convinto sia entrato il ghiaccio marino artico.

Sul fatto che la diminuzione della massa glaciale sia scontata su un Pianeta che tende a scaldarsi, ma che tale processo non dice assolutamente nulla sulle origini del riscaldamento possiamo sorvolare. E’ acquisito, come del resto è acquisito per molti di quelli che fanno ricerca sul clima che queste origini siano antropiche. Questo infatti è l’assunto su cui poggiano tutte le discussioni. A quanto pare poco importa il fatto che non sia stato affatto dimostrato, semplicemente si fanno degli atti di fede e di lì si parte con le proprie elucubrazioni.

E’ questo il caso di questo ultimo lavoro, della cui esistenza apprendiamo da Science Daily. I ricercatori giudicano improbabile, anzi, tendono a escludere, che le dinamiche di diminuzione o aumento del ghiaccio marino artico possano essere soggette ad alcun punto di non ritorno. Per giungere a queste conclusioni hanno impiegato un modello di simulazione in cui hanno eliminato completamente la presenza del ghiaccio nei mesi estivi, scoprendo che dopo tre anni il ghiaccio tornava alle condizioni di partenza, cioè tornava all’estensione che aveva prima che loro lo eliminassero artificialmente dalle simulazioni e all’estensione “idonea” alle condizioni climatiche di partenza. Questo significa, secondo quanto scrivono, che le dinamiche del ghiaccio seguono fedelmente le condizioni climatiche, per cui se il riscaldamento globale dovesse rallentare o fermarsi il ghiaccio tornerebbe ad occupare lo spazio che occupava prima dell’inizio della fase di riscaldamento. Tuttavia si affrettano anche a scrivere, e qui giunge l’atto di fede, che questi risultati non vogliono in alcun modo mettere in discussione la repentina perdita di massa glaciale del ghiaccio artico nel contesto di riscaldamento globale o le sue origini antropogeniche. Tributo dovuto al mainstream scientifico che invece a più riprese ha sostenuto la teoria dei tipping point e potrebbe non gradire e chiosa buona per tutte le stagioni, perché la fede non si discute per definizione.

C’è da dire anche che chi di modello ferisce di modello perisce, vada come vada anche queste sono simulazioni, buone per investigare, ma piuttosto deboli per rinviare a giudizio, del tutto inutili per arrivare alla sentenza.

Resta il fatto che dopo aver salutato con un certo sollievo la resurrezione dei ghiacciai himalayani, ora salutiamo con altrettanto sollievo la dipartita della “spirale di morte” del ghiaccio marino artico. Fuori due.

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Published inAttualitàNews

Un commento

  1. Giuseppe Tito

    “The researchers underline that their results do not question the dramatic loss of Arctic sea ice or its relation to anthropogenic climate change. “If we don’t slow down global warming extensively, we will lose the summer sea-ice cover in the Arctic within a few decades,” says Tietsche. “Our research shows that the speed of sea-ice loss is closely coupled to the speed of global warming. We think that it’s important to know that we can still do something about slowing down or possibly even stopping the loss of the sea-ice cover.”
    Questo è quanto di più servile e conformista uno scienziato possa ammettere. La scienza, quella vera, deve essere svincolata, libera, lontana da ogni pregiudizio, preconcetto, manipolazione e devianza rispetto a quanto si prefigge. Non è questa auto-censura, castrazione dell’intelletto, tacita abiura!
    Cosa avrebbe dovuto dire Galileo circa le macchie solari!? Il sole così perfetto e immutabile, simbolo della divinità, può mai avere delle macchie? Semplice, sono le lenti del telescopio a deformare e “macchiare” le immagini!
    Oggi al “rogo” non ci vanno le persone, ma i progetti di ricerca, i filoni di studio e tutto quanto non si conforma alla solita idea di fondo. Per nostra fortuna, prima dei cari ghiacci marini dell’artico, sarà questo credo malsano, che di scientifico ha solo la forma, a sciogliersi, e speriamo definitivamente!
    D’altronde basta guardare un semplice planisfero per renderci conto che la sottile coltre ghiacciata della banchisa artica è davvero cosa effimera, tutt’altro rispetto ai ghiacci, nemmeno poi tanto perenni, della Groenlandia. Già questi ultimi, formatisi in periodi remoti, sono in palese disequilibrio con le condizioni climatiche attuali, circondati come sono da terre verdi per buona parte dell’anno; figurarsi quella mutevole pellicola di ghiaccio che, in questi ultimi decenni, pulsa stagionalmente intorno alle coste settentrionali della grande isola.
    Numerosi reperti http://epic.awi.de/Publications/Mac2000c.pdf testimoniano inoltre, come in un passato non molto lontano, poco prima che gli egizi edificassero le famose piramidi di Giza, le foreste di abeti, betulle e larici, si spingevano molto più a nord del limite attuale, anche di oltre 1000 km rispetto ad oggi; cosa possibile solo con una stagione estiva molto più calda dell’attuale! Cosa succedeva allora alla banchisa artica? Ricostruire le temperature di allora, sulla base della fisiologia vegetale arcinota di piante diffuse anche oggi, non è poi cosa tanto ardua; perché allora non simulare l’estensione della banchisa artica di quel periodo? Avete idea di che risultato si otterrebbe? Semplice, la banchisa artica non esisteva, forse nemmeno in inverno!

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