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Storia e clima

Che le condizioni meteorologiche o climatiche influenzino il comportamento umano, favorendo certe scelte, e scoraggiandone altre, è cosa indiscutibile.

Gli studenti vanno in vacanza d’estate, e tanta gente si fa la settimana bianca d’inverno, proprio cercando luoghi nevosi. Gli agricoltori e i pastori modificano le loro attività a seconda delle stagioni, e anche dei climi (non so se ci sia ancora del marcio in Danimarca, ma certamente non si coltivano datteri). Anticamente le guerre si facevano esclusivamente d’estate, tanto che perfino gli assedi pluriannuali venivano interrotti d’inverno. Carestie molto forti hanno causato certamente lo spostamento di popoli, ma il nomadismo era pratica comune, e se i nomadi non si spostassero non sarebbero “nomadi” ma stanziali. Il loro stesso modo di vivere li costringe a questo. Ma anche le popolazioni stanziali avevano problemi quando la popolazione aumentava oltre le possibilità di produzione del cibo.

Come risolvevano la questione ? In molti modi. Oltre il filtro delle leggende e dei miti, possiamo immaginare che fossero costretti a decisioni drammatiche e che ora guardiamo con occhi diversi, perché spesso non ne cogliamo il senso.

Gli Inuit fino a pochi anni fa abbandonavano i loro vecchi perché improduttivi, ma non dobbiamo pensare che questa fosse la scelta di tutte le popolazioni antiche. Se alcune popolazioni sono rimaste tuttora all’epoca preistorica, o più o meno, magari è proprio perché hanno fatto un certo tipo di scelte. Ci sono popolazioni che hanno un grande rispetto dei vecchi, per esempio. Le scelte, in fondo, a fronte di un gravissimo problema di nutrizione, sono varie.

Sacrifici umani (le civiltà precolombiane americane ne facevano ancora a migliaia), poi trasformati, da noi, in sacrifici di animali. E’ in fondo quello che ci racconta il mito del sacrificio di Isacco. Eliminazione dei primogeniti (che rieccheggia nella strage degli innocenti). Eliminazione di tutti i nati in un certo anno (la “primavera sacra” romana, che però era una versione già umanizzata, perché questi giovani, raggiunto il 18-mo anno di età, venivano semplicemente lasciati andar via, a fondare una colonia altrove). Spostamento dell’intera popolazione verso climi più caldi. Eliminazione degli animali improduttivi. Ecco il sacrificio dell’agnello, maschio che non produce latte, e quindi viene sacrificato, e il vitello per la stessa ragione. Non diversa è la sorte del pollo, mentre si salva la gallina grazie alle uova. Dura sorte, per certe specie animali, nascer maschi !

Non voglio fare un trattato, mi limito a dare qualche spunto non certo esaustivo.

Altri popoli risolvevano la penuria di cibo andando a far “spesa” nei territori altrui, magari armi alla mano e dimenticandosi di pagare :-). Ma tutto questo, pur vero, non è ciò che ha fatto cadere o nascere le civiltà. Certo, una glaciazione avrebbe per lo meno fatto migrare una civiltà, ma quei periodi terribili risalgono alla notte dei tempi. La storia infatti inizia appena circa 5 mila anni fa, al tepore dell’Egitto e della Mesopotamia, molto dopo l’ultima glaciazione.

Qualche tempesta ha creato problemi, come quella che distrusse la flotta del gran re persiano Serse, e che costò al mare 300 frustate…certo un gran re non avrebbe potuto lasciare impunito un simile affronto ! 🙂 Un’altra tempesta distrusse l’invincibile armata, e il generale inverno (il freddo, non il caldo !) sconfisse Napoleone e Hitler.

Altri strateghi, conoscitori dei segreti del Sole e della Luna, trassero vantaggio da eclissi, o dalla eccessiva fiducia nell’energia eolica. 🙂 Infatti Veneti (Galli della costa atlantica dell’attuale Francia, non i Veneti del nord est italiano) e Venelli fidavano nelle loro imbarcazioni da oceano, adatte alle grandi maree di quelle zone, e furono sconfitti da Decimo Bruto (fratello del più famoso Marco Giunio Bruto), ammiraglio di Cesare, a causa di una bonaccia che permise alle navi a remi romane di raggiungere le navi a propulsione eolica, e farle fuori ad una a una.

Quindi, non c’è dubbio che il clima sia intervenuto nelle faccende umane. Ma farne “la causa” dell’ascesa o della scomparse delle civiltà, è una forzatura priva di fondamento logico, prima ancora che scientifico. Lo so, è premiante, in questo momento storico, attribuire al riscaldamento globale tutti i mali possibili e immaginabili. Se ne ottiene una compiacente attenzione dei media e dei revisori, e magari finanziamenti ed altro, ma forse, quando questo stravolgimento della verità rientrerà nella sua dimensione normale, la gente riderà di queste ipotesi e si domanderà come sia stato possibile che seri ricercatori abbiano potuto scrivere cose del genere, come quella dell’avvento delle glaciazioni (fenomeno ciclico) a causa di un fenomeno unico (l’estinzione dei mammuth). Sfugge a certi scienziati che non si possa spiegare qualcosa di ciclico con una causa estemporanea e irripetibile

E così, eccoci alla “ipotesi” di questi giorni, in cui si va dicendo che i cambiamenti climatici determinerebbero il nascere o il cadere di civiltà. Ho sotto gli occhi il grafico delle temperature storiche di Cliff Harris e Randy Mann da cui sono evidenti le contraddizioni di chi sostiene che sia il clima a causare la caduta o il sorgere delle civiltà.

Vediamo per esempio il periodo dal 500 aC all’anno zero. Si tratta di un’oscillazione di clima più freddo, con picco freddo poco prima del 200 aC. Cosa avrebbe dovuto fare un clima del genere ? La battaglia di Maratona della prima “guerra” persiana è del 490 aC. Quella di Salamina, “seconda” guerra persiana, è del 480 aC. Da allora assistiamo alla decadenza dell’impero persiano, che culminerà nella sua conquista da parte del macedone Alessandro Magno, morto nel 333 aC, il tutto nel ramo discendente della temperatura.

Ma se questa temperatura ha causato, e non altro, la caduta dell’impero persiano, essa, al contrario, ha favorito la crescita della potenza greca. Lo stesso clima, due effetti opposti. Atene e Sparta giungono ai loro massimi splendori militari, per poi distruggersi in una lunga guerra tra di loro, da cui prese vantaggio Tebe. Cresce poi la potenza macedone, anch’essa in controtendenza al declino persiano. Ma se il clima più freddo aveva favorito Sparta e Atene, ora esso ne determina la decadenza (non la loro guerra ? …il clima ?). Stesso clima che favorisce invece la crescita di Roma. Dunque, abbiamo che al diminuire della temperatura, Roma cresce, ma poi continuerà a crescere, anzi di più, dopo il raggiungimento del picco e l’inversione climatica (la vittoria su Annibale è del 202 aC, a Zama). Il clima determina dunque, e non altro, la vittoria di Roma sui Greci e sui Cartaginesi ?

La potenza romana entra in crisi man mano che aumenta la temperatura. E’ una crisi politica, di espansione che stravolge i suoi equilibri, per l’eccessivo arrivo di schiavi che riempie i latifondi patrizi, facendo sleale concorrenza agli agricoltori romani, che contribuivano non poco a rinfoltire le legioni romane. La Costituzione romana, lodata anche dai suoi nemici, come Polibio, per il suo equilibrio, era pensata per una città potente, non per un impero. L’espansione stessa, la vittoria stessa, determinò l’innefficacia di certi sistemi decisionali, che avevano equilibrato il potere monarchico (attraverso quella forma assai ammorbidita che erano i consoli), quello oligarchico (attraverso il potere del Senato, che si perse con l’impero) e quello popolare (perché non fu più possibile consultare un popolo che era disperso in un immenso territorio). La grandezza dell’impero fece saltare tutto questo, e questo problema fu subito intuito da Cesare, che però non seppe proporre una soluzione migliore, e così Roma, vinta culturalmente dalla raffinata civiltà ellenistica, cadde in forme di governo più brutali e antidemocratiche di quelle che aveva elaborato nella sua repubblica. Un governo centrale, assoluto, divinizzato (come quello che qualcuno vorrebbe riproporre ora per “salvare il pianeta”…come si diverte la Storia a riproporre certi temi !). La parte migliore di Roma fu nel periodo repubblicano, quello freddo, mentre l’impero fu una lunga, calda (per la temperatura) decadenza, sostenuta dai barbari, che vedevano nell’impero un modello da mantenere in vita, tanto che perfino quand’era morto e stramorto, ci fu chi voleva rimetterlo in vita…(dal 962) il Sacro Romano Impero (della Nazione Germanica, dal 1512, Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation).

Ma per chi suonò la campana del clima, tra Sumer e Akkad, o tra Hittiti e Babilonesi, o tra Medi e Assiri ? A chi si alleò il clima quando gli Etruschi contrastavano Greci e Cartaginesi per il dominio dei mari ? Fu forse il clima a porre fine all’impero Inca, o alle altre civiltà precolombiane, o contò qualcosina la superiore tecnologia degli Europei ? Chi favorì il clima durante la guerra di secessione americana ?

Concluderei con un ricordo personale.

Si doveva giocare una partita importante del torneo di calcetto aziendale, di venerdi 17. C’era un po’ di facce scure nello spogliatoio della Goalland, la mia squadra, ed io allora dissi loro che era venerdi 17 “per i nostri avversari”. E così vincemmo alla grande. Il clima è come il venerdi 17… c’è per tutti, e la storia è invece il risultato del confronto, e qualche volta dello scontro, di differenti civiltà, il cui esito dipende da tutt’altre ragioni.

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Published inAttualitàNews

17 Comments

  1. Guido Botteri

    @Giovanni Pascoli:
    sono assolutamente d’accordo con te. Dire, infatti, che NON è il clima a comandare l’evoluzione delle civiltà NON vuol dire che il clima non abbia la sua influenza, che vale la pena di approfondire, senza pregiudizi, e senza risposte già pronte in tasca.
    Giustamente poni in rilievo l’eccessiva specializzazione di molti ricercatori. Anticamente lo scienziato era un po’ tutto. Come si può definire un Leonardo, o un Aristotele ? Lo stesso Dante era un ingegno capace di interessarsi di molti campi.
    Da allora la scienza ha fatto passi da gigante, anche in quantità, e ciò rende difficile avere una competenza vasta e profonda. Ma credo che sia utile avere una certa competenza in più di un campo, e credo che sia importante la interdisciplinarità. La collaborazione tra formazioni scientifiche diverse non può che essere un’ottima base per affrontare problemi nuovi e complessi.
    Ognuno vede dal suo punto di vista, e può suggerire, nella sua particolare esperienza, cose che sfuggirebbero a chi ha una formazione culturale diversa. Concetti di una scienza, applicati per analogia in un’altra scienza possono dare risultati prodigiosi.
    Sarebbe bene quindi avvantaggiarsi della collaborazione di più ricercatori e persone di cultura. La trovo, come te, un’idea vincente. Ti ringrazio molto perciò dei tuoi interventi che seguo sempre con molto interesse ed attenzione.

    • giovanni pascoli

      apprezzo la tua risposta e la sintonia dei pensieri, come due onde in fase, che si sommano. Quasi “telepatico” il riferimento a personaggi come Leonardo o Aristotele…
      non posso che condividere in toto quanto hai scritto e in particolare la tua frase finale che dovrebbe essere una pietra miliare per chiunque faccia “ricerca” sia in campo scientifico che umanistico ma che sicuramente oggi non viene sicuramente presa in considerazione dalla maggioranza dele persone. E vero che l’avanzamento della ricerca obbliga spesso sempre più specializzazione ma è anche vero che un eccesso di specializzazione porta spesso a perdersi in un bicchiere d’acqua e rende intellettualmente miopi. Se è vero inoltre che utilizziamo solo una piccola parte delle nostre capacità celebrali allora dovrebbe essere possibile per qunato specializzati sviluppare una propria cultura e conoscenza ad ampio spettro.
      Appoggio in pieno il tuo ultimo suggerimento sperando che sia oggetto di una presa di coscienza collettiva in un futuro più o meno lontano.
      Grazie anche dell’attenzione!

  2. Guido Botteri

    @p.ruiz:
    credo che abbiamo una sostanziale identità di vedute, e mi fa piacere.
    Infatti anche il mio intervento non era in opposizione al Suo.
    Non sarò mai contrario ad approfondimenti o a esaminare altre idee o prospettive. Visioni diverse non possono che arricchire la conoscenza, e questi discorsi sono comunque stimolanti e possono portare a passi avanti nella ricostruzione storica, sia nel campo della Storia, che in quello della climatologia, e dei rapporti tra queste due scienze.
    Ma, possiamo darci del tu ?

  3. p.ruiz

    UNa ionterpretazione in effetti un po’ esagerata. COme tutti i problemi complessi, quello della nascita e decadenza delle civiltà può avere spiegazioni semplici, facili da capire e… sbagliate.

    Tuttavia ricordo una interessante interpretazine della storia eurasiatica di un autore anglossassone (di cui mi sfugge il nome: ho fatto qualche rapida ricerca ma non salta fuori) che vede una contrapposizione tra gli imperi del margine(Roma a ovest, Cina a est) e i popoli nodi delle steppe centrali.

    Questi ultimi, di tanto in tanto, si mettono in moto verso gli imperi che stanno su questi bei mari caldi (chiusi o semichiusi), con queste pianure fertili, ecc. Facendo partire un simpatico effetto a cascata (sui polpoli che stanno tra di loro e questi imperi) che a volte viene assorbito dagli imperi costieri, a volte porta alla loro conquista (vedi i mongoli in Cina) a volte alla loro distruzione (vedi l’Impero Romano).

    tutto questo il nostro ipotizzava potesse nascere anche (ma non solo) da una serie di stagioni fredde con copnseguenze sulle disponibilità di cibo per quei popoli: ma, essendo uno storico, era chiaro che pensava al tempo atmosferico locale delle steppe cenrali dell’asia, e non al clima globale…

    • Guido Botteri

      Interessante argomentazione, la tua.
      Avevo presente questa possibilità, e cioè che potesse essere qualche serie di stagioni ripetutamente fredde a mettere in moto certi popoli. E’ un’ipotesi di lavoro su sui studiare.
      Ma devo anche dirti che, salvo conferme o smentite, sono portato a credere che questa ipotesi sia vera, ma solo parzialmente.
      Quando gli Elvezi lasciano i loro territori, bruciando tutto dietro di sé (oppida sua omnia numero ad duodecim, vicos ad quadringentos, reliqua privata aedificia incendunt, frumentum omne, praeter quod secum portaturi erant, comburunt), non lo fanno per fame, secondo Cesare, o per il freddo, ma perché hanno in mente di conquistare l’intera Gallia (totius Galliae sese potiri posse sperant).
      Quando I barbari attaccano l’impero, non mi sembra azzardato pensare che sia giunta a loro notizia sia della sua immensa ricchezza, che della sua ormai conclamata debolezza, e quando il ricco non fa paura…
      In effetti molti barbari vedono nell’impero un modello da preservare, e più che distruggerlo, pensano a mettersene a capo.
      In questa ottica si spiega il barbaro Ezio che sconfigge gli Unni di Attila per salvare l’impero romano, e le gesta eroiche dell’altro barbaro, Stilicone, strenuo difensore dell’impero.
      Ma l’impero era malato, e, secondo me, era stato la soluzione sbagliata al grosso pèroblema dell’immenso ingrandimento dei territori conquistati.
      Era chiaro che la repubblica che aveva fatto grande Roma non poteva continuare così com’era, e andava rinnovata. Purtroppo la scelta fu di seguire gli esempi assolutistici orientali, sulla scia del fascino della cultura orientale, rispetto a quella, più pratica, romana.
      Fu dunque il crollo di un sistema politico, che era innovativo perché equilibrato, e che non seppe però rinnovarsi, trovando soluzioni equilibrate per gestire le vittorie e il successo.
      L’impero fu dunque la soluzione drammaticamente sbagliata, che resistette per secoli, perché puntellata dagli stessi barbari che avrebbero potuto buttarla giù ed annientarla.
      Quello che viene visto come il massimo eroe, il massimo rappresentante del mondo romano, Cesare, fu invece colui che ne inquinò la filosofia e la cultura, condannandola, Roma, ad una lenta ma inesorabile fine. La Storia prima o poi riabiliterà i cesaricidi. Senza togliere nulla alla grandezza di quel Cesare, che aveva in effetti grande carisma e grandi doti. So che scatenerò un putiferio avendo toccato un personaggio “sacro”, ma io sono abituato a dire per intero e sempre quello che penso, e che, a proposito di Cesare, tengo a precisare che è frutto di opinioni strettamente personali, nate dallo studio di moltissimi libri antichi, in particolare quelli di Cesare stesso.
      La terribile minaccia dei Cimbri e dei Teutoni arriva, poi, in un momento climatico di uscita da climi più freddi e di climi sempre più caldi. Possibile, ma poco probabile, che avesse motivazioni climatiche.
      Quella degli Unni di Attila capita, climaticamente parlando capita in condizioni climatiche opposte.
      Strano che condizioni climatiche opposte portassero a situazioni politiche analoghe…
      Secondo me.

    • p.ruiz

      Sono naturalmente d’accordo con il fatto che uno schema tanto banale che riduce tutto al clima sia ridicolo. L’interpretazione dei grandi movimenti della storia (che è appunto una interpretazione) è lavoro complesso.

      Mi è parsa tuttavia sempre interessante una visione che mette al centro l’eurasia nel suo complesso (e non l’impero romano da un lato e la cina dall’altro). Considerando i due imperi “legati” dalle invasioni alterne subite dai popoli del centro. Comprendendo poi in questa definizione anche i popoli dei confini (come i vari popoli germani per l’impero rimano) “spinti” verso il ricco e opulento impero marittimo dall’avanzare di altri popoli in fuga da carestie (non come unica causa ma come concausa significativa).

      Appunto: carestie, magari pluriennali (i popoli nomadi son mica dei fessi. Han sempre le risorse per sopravvivere a uno/due anni di vacche magre). Carestie (da considerarsi come momenti di particolare moria degli animali domestici, più che legate ai sistemi agricoli) determinate più che dal clima, che cambia lentamente, dal tempo atmosferico (qualche anno freddo o – al contrario – troppo secco), da epidemie di malattie animali (magari legate ad alcuni anni particolamente caldi), ecc…

      PS. utilizzerei con molta cautela Cesare come fonte… diciamo che – nonostante lo stile asciutto – era un grande esperto di propaganda… di sé stesso 😉

      PPS. mi scuso per i refusi nel mio precedente post (e per quelli che avrò infilato anche in questo)

    • Guido Botteri

      Lo studio dei popoli delle steppe è certamente interessante.
      Ognuno mette sé stesso al centro del mondo e della Storia. “Cina” in cinese significa “Paese di mezzo”, perché loro si sentono il centro del mondo. Non solo loro, ovviamente.
      Trovo normale che ognuno faccia questo, semza arrivare ad un eccessivo egocentrismo, che può far solo sorridere (nei suoi aspetti più comici, ma che può avere aspetti molto meno comici, purtroppo).
      Quindi io guarderei ANCHE l’aspetto che tu proponi. Personalmente sono portato più a credere nel carisma e nell’intelligenza politica di uomini straordinari come Genghis Khan e Tamerlano (capaci di riunire immense quantità di genti, e di guidarle vittoriosamente), che nell’aspetto determinante del clima. Ma credo che valga comunque la pena di verificare, con ricerche obiettive, quale sia stato l’apporto più o meno decisivo di certi elementi.
      La Cina di qualche anno fa era una nazione povera e isolata, ora dimostra una potenza economica e politica crescente e sempre più significativa… dov’è il contributo del clima ? O, per capire certe evoluzioni della potenza economica non sarà necessario guardare anche OLTRE il semplice clima ?
      Il clima da solo non spiega tutto. Contribuisce, ma poi ci sono tante altre cause che intervengono, e che non vanno sottovalutate.
      Cosa ha fermato la gloriosa e scatenata potenza economica europea ? Il clima ? Direi che il clima c’entri, ma non “climaticamente”, se mi si permette questa osservazione. Credo che l’arresto della macchina europea sia di carattere politico, prima che economico o climatico. Ma se qualcuno pensa che un grado in 150 anni abbia messo in ginocchio l’Europa, ma rivitalizzato la Cina… me lo spieghi, cercando di esplicitare il meccanismo che opererebbe, a livello climatico (e non politico), e tale da ottenere questi due opposti effetti contemporanei.
      Quanto a Cesare, ti assicuro che la mia lettura è critica, e anche molto. Ma gli Elvezi uscirono dai loro territori in un periodo né freddo né caldo, con temperature crescenti, che non sembrano giustificare una causa climatica dovuta ad eventi estremi. Se tu hai altre interpretazioni, accomodati. Avendo letto e riletto più volte quella Storia, ti leggerò con attenzione.
      Sono persona sempre pronta a prendere in considerazione nuovi elementi che possano portare a nuove, illuminanti, interpretazioni.

    • p.ruiz

      Gentile Botteri. Io sono assolutamente d’accordo con lei.
      Mi sa che, come a volte capita, la comunicazione scritta è fonte di qualche incomprensione (probabilmente per la mia fretta di scrivere).

      aggiungevo solo al suo articolo che in effetti il tempo (atmosferico) è uno (sottolineo, uno) dei fattori da tenere in conto.
      Per esempio, vedere la storia dell’eurasia da un punto di vista diverso (mettendo al centro non i singoli imperi del margine ma i popoli delle steppe) potrebbe fornire un interessante gliglia di interpretazione di alcuni eventi che utilizzi anche il fattore weather (per esempio, più imortante nei movimenti fno al VI/VII secolo, meno rilevante per Temur lo zoppo o l’orda d’oro).

      Poi, che questa concausa (il tempo atmosferico in particolari aree dell’asia centrale) dipenda a sua volta da un’altra concausa (la temperatura media globale) fa capire quanto sia ridicolo utilizzare la concausa di una concausa per spiegare la storia.

  4. Giampiero Borrielli

    “Il generale inverno. Come i capricci del clima hanno vinto le guerre”
    di Durschmied Erik, per chi avesse voglia di farsi due risate e riflettere nel contempo.

  5. giovanni pascoli

    MI è piaciuta molto la prima parte dell’articolo, ho torvato molto interessante l’analisi e la lettura che viene data del legame tra clima e realtà socio culturali dei popoli. MI sfugge un po il significato della seconda parte che in qualche modo si contrappone alla prima, nel senso che capisco la repulsione nei confronti di chi riesce poi a trovare dei legami diretti e lineari in tutto ciò (non è una nevicata che fa cadere matematicamente un impero) ma il concetto secondo me molto importante che emerge da questa analisi è un altro. Il concetto che emergè è che il clima volenti o nolenti influenza l’evoluzione delle civiltà umane, cosi come infuenza l’evoluzione e l’estinzione delle specie. E questo semplice quanto basilare concetto l’uomo del presente non è ancora riuscito a recepirlo, visto gli studi AGW e il pensiero ufficiale che circola. LA grande “novità” che introduce il post è quello che l’uomo non domina il clima ma è obbligato a “piegarsi” ad esso, Il clima agisce un po come il subconscio. A livello razionale l’uomo non ne è consapevole e non l’accetta ma alla fine il subconscio infuenza le scelte dell’uomo agendo sulle sue paure e suoi sentimenti. E “influenzare” non vuol dire certamente “determinare” quindi su questo sono d’accordo sulla critica a chi invece ne fa un legame causa-effetto.
    IN conclusione quello vorrei dire è che come conclusioni di questo post, invece di porre una critica giustificata, avrei messo l’accento sull’ineluttabilità della dipendenza climatica da parte dell’uomo che per quanto tecnologico non può discostarsi più di tanto dalle altre specie viventi e anche sul fatto che come la temperatura influenza la concentrazione di C02 ( e non il contrario) cosi il clima influenza le attività umane (e non il contrario).

    • Io credo che Guido Botteri abbia giustamente messo in luce i limiti di certa indagine storica di stampo anglosassone. E’ tipico di quella scuola andare a cercare riferimenti quantitativi, piuttosto che indagare approfonditamente su cause politiche o sociali. E’ di quella scuola la teoria secondo cui l’impero romano cadde per la quantità di piombo contenuta nelle tubazioni dell’acqua potabile. Sono due scuole di pensiero e di ricerca storica diverse. Io preferisco un’indagine storica più classica. Perchè diversamente, ieri era il piombo, oggi il clima, domani magari qualche altro aspetto, magari l’obesità…

    • Guido Botteri

      Mettiamola così:
      dire che il clima faccia sorgere o cadere le civiltà è come dire che qualche grado in più o in meno possa far sparire l’uomo.
      Certamente il clima ci condiziona. Non andrei con un vestitino tahitiano a visitar la Lapponia, né mi vestirei da eschimese per esplorare il Sahara. Ogni clima ci condiziona, ma l’uomo (e non solo l’uomo) sa adattarsi ad ogni clima, e ci sono uomini che vivono nei territori del profondo Nord scandinavo o canadese, come al sole accecante dell’Egitto e del Kenia.
      Insomma il clima ci condiziona, ma noi uomini sappiamo addattarci, meglio di ogni altra specie. Quelle che muoiono sono le Società che non cercano l’adattamento, ma pretendono presuntuosamente di piegare il clima ai propri voleri, come Serse pretendeva di fare col mare, o come Canuto il Grande dimostrò che un re non poteva fare. Si rivolse al mare, il re danese che dal 1016 regnava sull’Inghilterra, ed ordinò alle onde di fermarsi. Ma quelle non ubbidirono, mettendo in grande imbarazzo i suoi cortigiani, che lo adulavano con frasi senza senso, come se potesse far tutto. Canuto dimostrò di non potere, ma c’è chi invece è convinto di dovere e potere mantenere la temperatura media globale ferma.
      Invece gli Inuit non pretendono di fermare la neve, né gli Algerini la polvere del deserto, che se ne va libera nell’aere fresco aerosoleggiando giuliva.
      Più realisticamente si adattano al clima che c’è.
      Vivono entrambi, chi nel gelo e chi nel caldo soffocante, con grande loro soddisfazione.
      Secondo me.

    • giovanni pascoli

      beh messa cosi non posso che essere pienamente d’accordo ( e no che fossi in disaccordo prima). Condivido pienamente che le civiltà o i condottieri che più si sono beffati del clima e degli eventi naturali e più sono stati danneggiati da esso. IL punto è ch emi sembra che anche la nostra società attuale grazie anche a fior fiore di scienziati abbia un atteggiamento perfetto nei confronti del clima, considerandolo da un lato immutabile e dall’altro diendente dall’uomo. Con questi presupposti no andremo lontano e non so se tutta la tecnologia basterà per salvarci….(in senso metaforico si intende)

    • Guido Botteri

      Vedi, Giovanni, come appassionato di Storia, e, da qualche tempo, di climatologia, trovo affascinante lo studio dei rapporti tra questi due elementi, nella convinzione che una indagine seria e senza pregiudizi possa aggiungere conoscenza e maggiore comprensione del nostro passato.
      Ma quando vedo partire in quarta con la soluzione già in tasca (“la colpa dell’uomo”, e il beltempo elevato a massimo dei mali), mi salta la mosca al naso.
      Possibile che tutto debba essere visto e interpretato nella ferrea visione e (il)-logica del pensiero unico imperante ?
      Ecco il senso dell’apparente contrasto che tu vedi. Che il clima entri nei parametri della nostra vita, e nelle nostre vicende storiche, è di tutta evidenza. Ma che ne sia l’artefice massimo e assoluto è la solita presa di posizione attivistico-ambientalista che finisce per distruggere quel poco di buono che si poteva intravvedere. Lo studio delle inondazioni del Nilo ha dato un grosso impulso alle Scienze. Il faraone era responsabile della previsione della piena del Nilo, che egli misurava col nilometro. Che questi eventi abbiano fatto nascere la matematica, è fuor di dubbio, e teniamo in conto le osservazioni degli astri, con le loro implicazioni sull’agricoltura. I Romani ora sono famosi per le loro legioni, ma molti avevano eserciti anche molto forti, e Roma fu sconfitta molte volte. La sua forza vera non era nell’esercito, ma nella sua organizzazione. Strade, ponti, acquedotti hanno dato maggior forza delle legioni. Opere che hanno resistito ai tempi molto meglio di certe costruzioni moderne.
      Che il clima abbia interferito con la Storia è, dunque, di tutta evidenza, ma quale ruolo svolga, e a favore di chi, è tutto o quasi da scoprire. Affascinante materiale di ricerca per chi non abbia già le conclusioni in tasca e i paraocchi.
      Per esempio, Genghis Khan conquistò uno dei più grandi imperi della Storia in un periodo di caldo crescente, ma il suo discendente ed emulo Tamerlano fece le sue immense conquiste in un periodo di segno opposto, sempre più freddo, tanto che morì, pare a causa di una polmonite, proprio durante la sua campagna di conquista della Cina, che aveva intrappreso intendendo sfruttare i vantaggi del clima freddo (fiumi facilmente attraversabili perché ghiacciati).
      Il mondo è un puzzle a molti colori (cause), e non lo comprenderemo guardandone uno solo e disdegnando gli altri, ma solo cercando di comprendere il gioco di insieme di tutte le diverse cause.
      Secondo me.

    • giovanni pascoli

      Caro Guido mi sembra che la tua analisi e i tuoi esempi siano ineccepibili e non posso che concordare pienamente con quanto tu dici, in particolare quando rammenti che le civiltà umane (come il clima e i fenomeni naturali) sono delle struttre complesse ,multifattoriali ( e interdisciplinari) e come tali dovrebbero sempre essere indagate. Purtroppo spesso il tipo di insegnamento che riceviamo da parte della scuola, della famiglie e delle istituzioni ci porta ad avere una visione a comparti stagni. Ad esempio le materie insegnate nei licei anche nelle univeristà spesso vengono viste in maniera assolutista e indipendente ma cosi non sono perchè dovrebber semrpe essere contesutallizate. Ad esempio lo studio della storia, della filosofia, della storia dell’arte, della matematica e di tutte le discipline scientifico-umanistiche sono sempre proposte in maniera indipendente mentre queste si sono in realtà sviluppate ed evolute in maniera collegata. In un determinato periodo storico si sviluppa una certa arte, si fanno scoperte scientifiche, si sviluppano correnti etico-filosofiche in maniera correlata e concetenata, e se andassimo ad analizzare scopriremo che magari anche il clima di quel periodo infulenza una visione piuttosto che un’altra. Il punto sta semplicemnte nella voglia dell’uomo di scoprire e di non fermarsi alla conoscenza già acquisita ed assodata e alla sua capacità di essere multidisciplianre. Un tempo i grandi studiosi erano scienziati e umanisti allo stesso tempo, al giorno d’oggi purtroppo i ricercatori sono spesso specialisti di un dettaglio di una parte di una disciplina scientifica e spesso ignorano completamente quello che esula dal loro ambito di studio. La conseguenza è una miopia scientifica che non può avere come risultato lo sviluppo di teorie catastrofiste e strampalate come quelle propagandate dall’IPCC e difese a spada tratta ta emeriti studiosi specilaisti che alla fine dimostrano un’enorme povertà culturale. SOlo un grande ignorante può pensare che un gas naturale in contentazioni infime ( in tracce) possa essre il motore del clima di un sistema variegato e complesso come la Terra. Allo stesso modo solo un grande ignorante può pensare che il clima decida l’evoluzione e la scomparsa delle civiltà umane. SI tratta di fattori che ineragiscono con centinaia di altri per fornire il risultato che corrisponde alla realtà che noi osserviamo e alla realtà del passato. sta a noi avere le capacità e glis trumeti per capirla nel suo insieme e di descriverla in maniera esaustiva.

  6. Sono d’accordo, ma per completare il mio pensiero ho un po’ di domande:

    1. Quando cadde Costantinopoli (che per quanto mi riguarda è la “vera” data della caduta dell’Impero Romano, ma questo è irrilevante per il discorso generale) faceva caldo o freddo?
    2. Come andarono le cose p.es. in Asia (mongoli, cinesi, indiani, ecc…). Fa un po’ impressione che la teoria della caduta dell’impero romano per causa del clima venga proposta solo per l’impero romano, che alla fine è una questione locale (l’obiezione comune non è che quando si fa presente che fa freddo in Europa si pecca di localismo?).

    PS Serse era un altro pazzo che, a suo modo, pretendeva di dominare la natura…

    • Guido Botteri

      Secondo la ricostruzione di Harris e Mann, Bisanzio cadde circa a metà del ramo discendente. Le temperature erano in discesa (1453 dC) sia alla caduta dell’impero romano d’Occidente (476 dC) che alla caduta di quello d’Oriente, e anche quando decadde la Grecia classica di Atene e Sparta, che possiamo fra coincidere con l’esito infausto per entrambe della loro guerra. La battaglia di Leutra, che pose fine all’egemonia spartana, è del 371 aC.
      proprio volendo associare una causa termica alla caduta delle civiltà, risulterebbe così che sarebbe il freddo e non certo il caldo a far cadere le grandi civiltà 🙂
      L’idea portante è che sarebbe, però, l’aumento della temperatura media globale a far cadere le civiltà. Questo è chiaramente falso, per quello che ho appena mostrato, e che tutti possono verificare.
      L’aumento medio globale di temperatura, o la sua diminuzione hanno certamente conseguenze, ma queste riguardano un po’ tutti. Se piove in una partita di calcio, piove per entrambe le squadre. Poi magari c’è quella che sa approfittarne maggiormente. Se una squadra si avvantaggia sull’altra perchè ha messo i tacchetti giusti, la colpa non è della pioggia in sé, ma di come ci si fa cogliere impreparati.
      L’impero romano d’Occidente finì mille anni prima di quello d’Oriente…e dovremmo credere che fu per colpa del clima ?
      Contemporanemante, colla stesso clima, civiltà sorgono, e altre decadono, si scontrano, una vince, l’altra perde. Vederci la mano onnipotente del clima è avere una preparazione storica quasi nulla, secondo me. Senza togliere nulla al fatto che il clima condizioni certe nostre azioni, sia le nostre, che quelle degli altri.
      Secondo me.

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