Non si parla di clima, né del suo presunto capriccioso cambiamento. Non si parla di temperature, né di eventi meteorologici estremi, che ultimamente sembra non si possa fare a meno di collegare ai suddetti capricci del clima.
Si parla di scienza, di ricerca, di comunicazione scientifica, di contraddittorio e di confronto tra ipotesi, tutte pratiche in qualche modo “inquinate” dal processo di burocratizzazione cui il mondo scientifico è stato soggetto negli ultimi anni.
Del milione e mezzo di articoli pubblicati nella foresta di sedicimila riviste di ogni settore, il 25-45% di questi non riceve alcuna citazione, e molte di queste non vengono proprio lette. Pubblicare il più possibile per tenere il passo con il mercato degli incarichi accademici e produrre comunque qualcosa che faccia salire l’appeal delle riviste che ospitano gli articoli, ben consapevoli che la controversia fa vendere e gli annunci a sensazione anche. Con dei perdenti accertati a quanto pare: la comunità scientifica e la scienza in generale.
Una scienza malata? Questo il titolo del saggio di Laurent Segalat. Un male che dipende dall’affermarsi di uno spirito di competizione che favorisce frettolosità, falsificazione e plagio, o promuovendo (con finanziamenti pubblici) ricerche di corto respiro che piacciono a comitati poco rispettosi dei ritmi più lenti di cui avrebbe bisogno una scienza innovativa.
Però, ma non si era detto che non si parlava di clima?
Credo meriti attenzione, in giro ci sono vari commenti su Newton, nel numero di gennaio e qui, in forma di breve recensione , magari lo leggerò e ve ne parlerò.
La legittimazione va a braccetto col consenso.
Grazie a Watts – http://wattsupwiththat.com/2011/01/04/lawrence-solomon-on-consensus-statistics/ –
Scopriamo che anche il consenso ha bisogno di consenso. Quindi la ricerca in ambito scientifico conduce al famoso e bulgaro 97% di scienziati favorevoli all’ipotesi AGW.
Però pare che anche qui si manipolino i dati. Ecco come, riassumendo.
Si invitano 10mila e passa scienziati a partecipare ad una survey.
Per massimizzare la risposta si semplifica al massimo riducendo a due domande che non portino via più di un paio di minuti, si risponde ad un sondaggio online.
In totale 3246 partecipano, circa il 31% degli invitati.
Ma alla fine il famoso 97% riguarda solo 77 scienziati climatologi che hanno pubblicato lavori sui mutamenti climatici. Di questi 75 sono favorevoli all’AGW, 75/77= 97,4%.
Amen.
http://opinion.financialpost.com/2011/01/03/lawrence-solomon-97-cooked-stats/#ixzz1A5px63Ax
http://probeinternational.org/library/wp-content/uploads/2010/12/012009_Doran_final1.pdf
Reply
Ci ho scritto su Maurizio. Va on line domani. 😉
gg
Mi è capitato di dialogare con una garbata persona sui temi del clima. Ad ogni mio tentativo di scendere a livello delle argomentazioni, la quasi generale risposta era sulla rispettabilità o meno della persona che aveva detto questo o quell’altro.
Il tema di fondo che mi sembra di capire da questo è che chi ha scritto più libri ed articoli su riviste prestigiose ha ragione, indipendemente da quello che abbia scritto, e chi ha scritto meno, inevitabilmente torto.
Ho provato a fargli notare che anche un suo prediletto, tale James Hansen, ha lamentato in un suo libro che un suo articolo non sia stato accettato perché critico dell’IPCC. Figuriamoci quale speranze possano avere persone meno autorevoli di lui che si permettano di avere opinioni non compiacenti alle direttive.
A me pare che, se questo è vero, e Hansen stesso ce lo conferma, questo strumento soffra della malattia dell’autoreferenzialità, e cioè le pubblicazioni sono accettate se, ehm…come dire ‘…”bene accette” a chi di dovere. Altrimenti sono rigettate. Questo naturalmente non è un meccanismo rigoroso, e nelle maglie di un meccanismo così vasto finiscono per entrare anche lavori non “ortodossi” nel senso di non essere riverenti all’ipotesi in maggiore auge.
Ci sono infatti, ad onor del vero, molti lavori che hanno raggiunto la qualifica di peer-reviewed, nonostante fossero critici. La verità va detta tutta.
Ma resta la mia convinzione, autorevolmente confermata, che un certo filtro ci sia, a spese di chi non si piega e non si allinea, ma pretende di ragionare colla propria testa. Atteggiamento questo non più tollerato, e tacciato di “negazionismo” e di loschi interessi personali con imprecisate lobby di petrolieri, che magari si scopre poi che finanziano l’ambientalismo…ma tant’è.
Ma io vorrei spendere una parola sul numero delle pubblicazioni, a cui è dato tanto valore probante nella logica di graduazione del merito dell’attuale nomenklatura scientifica (sia detto senza offesa).
Dovessimo, con lo stesso metro, giudicare i poeti, dovremmo porre sullo stesso piano la Divina Commedia e una qualsiasi filastrocca che abbia avuto l’onore d’essere pubblicata.
E in effetti, “una” è la filastrocca, ed “una” la Divina Commedia.
Ma magari l’autore di filastrocche ne ha scritte tante, e quindi può vantare una autorevolezza ben maggiore di quella di Dante, seguendo questi criteri.
E così La relatività di Einstein ha lo stesso valore “numerico” di qualsiasi studietto magari scopiazzato dal più incapace degli studenti, che però abbia raggiunto l’onore di essere pubblicato.
Una graduatoria di merito basata sul numero delle pubblicazioni mi pare proprio adatta alla solita conclusione dei Tretre, che vi risparmio, per non essere (giustamente) censurato.
Ma soprattutto mi pare un elemento fuorviante, qualcosa che allontana capaci ricercatori dalla ricerca di risultati importanti e seri, ma che richiedano tempo, fatica e controlli, a favore di qualsiasi sciocchezzuola che si riesca a pubblicare.
Capisco che si faccia di necessità virtù, e che sia difficile, spesso, giudicare un’opera nel merito, perchè questo richiederebbe onestà e competenza…doti che non assicurerebbero nemmeno la giustezza del giudizio.
E così, posso anche capire che, incapaci di giudicare più sostanzailmente le persone, si ripieghi su un sistema fondamentalmente ingiusto, ma più pratico.
Ma quello che non posso accettare è che si presenti questo (forse necessario) sgorbio di metodo come qualcosa di probante e qualificante. Questo no, per favore !
Quando si va alla guerra col temperino, non lo si vanti come “l’arma letale” !
Secondo me.
C’e’ un’immagine curiosamente freudiana sul blog di Bardi (ugobardi dot blogspot dot com) dove fra un refuso e l’altro viene presentata una maga che si isola dal mondo all’interno del suo “Cerchio Magico”, per tenere le brutture (noi) fuori dall’idillico luogo di pace (il cambioclimatismo).
Come alternativa all’aria aperta alla Torre d’Avorio non c’e’ male…