Politiche climatiche al palo, burocrazia in ottima salute, clima non pervenuto. Così si potrebbero riassumere gli ultimi anni di estenuanti negoziati sul clima, giunti al culmine della parabola lo scorso anno a Copenhagen e in visibile fase discendente quest’anno a Cancun. Con un elemento di novità non indifferente. Rispetto al battage mediatico ed alle grandi aspettative della precedente conferenza delle parti della Convenzione Quadro ONU sui cambiamenti climatici, questa volta si è preferito puntare a un obbiettivo basso per scongiurare l’ennesimo clamoroso insuccesso.
La storia inizierebbe molti anni fa, ma per comodità si può prendere come punto di partenza il 2007, l’anno in cui è stato pubblicato il 4° rapporto del panel ONU sui cambiamenti climatici (IPCC), seguito a ruota dal rapporto Stern, il documento che ha sancito il collegamento tra variazioni climatiche e PIL del pianeta. Neanche a dirlo, se cambia il primo e lo fa per cause antropiche, crolla il secondo.
A seguire la conferenza di Bali, dove furono consolidate le candidature al Nobel per la pace di Al Gore, impegnatissimo nella comunicazione climatica, ma anche nella monetizzazione della stessa, e dello stesso IPCC.
Poi qualcosa si è inceppato, qualcosa che neanche i più capaci elaboratori di previsioni avrebbero potuto prevedere, è arrivata la crisi della finanza globale. Con i cordoni della borsa non ancora del tutto chiusi ma in procinto di esserlo, qualcuno ha ritenuto opportuno scendere un po’ di più nel dettaglio, per capire se sforzi tanto importanti per il processo di de-carbonizzazione come quelli ad esempio richiesti dall’adempimento del protocollo di Kyoto, fossero in effetti sostenuti da adeguati livelli di comprensione scientifica del problema.
E così, forse per caso, più probabilmente no, appena prima di Copenhagen è esploso il climategate, la pubblicazione fraudolenta delle comunicazioni private che un ristretto ma importante gruppo di scienziati si scambiava per mantenere ben saldo il consenso a supporto di questa febbrile attività negoziale, derogando alle regole base della pratica scientifica, la condivisione dei dati ed il pubblico dibattito.
E così, inaspettatamente ma anche inevitabilmente e con la complicità di una congiuntura economica a dir poco sfavorevole, è stata messa a nudo anche la spericolatezza delle generose politiche incentivanti che più o meno tutti avevano nel frattempo messo in campo per sostenere delle tecnologie rinnovabili ancora purtroppo bel lungi dall’essere mature e quindi di qualche utilità. Tuttavia, paradossalmente, questa presa di coscienza, che tutti i governi stanno interpretando riducendo sensibilmente le risorse destinate, arriva proprio dove in realtà il processo di de-carbonizzazione forzosa è già iniziato, ossia nel vecchio continente.
In un quadro così complesso, il profilo basso a Cancun era ed è obbligato, ma in presenza di un ennesimo nulla di fatto, viene da chiedersi a cosa servano queste adunate oceaniche di delegati, se non a mantenere in piedi un immenso sistema burocratico che, fedele al suo stile, viaggia completamente scollegato dalla realtà. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare, in verità nei giorni scorsi un colpo di scena pareva esserci stato: la Cina, ormai leader in tutti i settori, compreso quello delle emissioni di gas serra antropici, aveva fatto sapere di essere disposta a un accordo che vedesse una riduzione volontaria delle emissioni stesse. Una svolta epocale? No, un errore di traduzione, il dragone non è disposto a fare niente più di quello che fa, ossia costruire una centrale a carbone a settimana e con quell’energia badare a sé e produrre gran quantità di pannelli fotovoltaici da vendere all’occidente che, con questo, può dire addio alla possibilità di tradurre in business lo sforzo ambientale –la crisi del settore rinnovabile in Germania, Spagna e Paesi Bassi insegna- perché assolutamente non competitivo sul mercato globale.
Sarà per questo che il Giappone al secondo giorno di negoziati ha ufficialmente dichiarato la sua indisponibilità a qualsiasi genere di accordo che si sostituisse al protocollo di Kyoto alla sua scadenza? Probabile.
Mentre scriviamo la conferenza è agli sgoccioli, la più facile delle previsioni è quella che vedrà l’ennesimo “ci vediamo alla prossima”, che per inciso sarà in Sud Africa tra un anno.
Nel frattempo la burocrazia prospera e produce centinaia di migliaia di pagine incomprensibili ai più, dense di trasparente impenetrabilità, dalle quali si evince solo che nascono entità, gruppi, uffici, centri di analisi, comitati e chi più ne ha più ne metta, alla velocità della luce, con i delegati che sono una moltitudine silente, pronta ad avallare qualunque genere di proposta o decisione, compresa quella –è successo davvero- di firmare una petizione per l’abolizione dell’ossido di idrogeno, sostanza largamente presente in natura e altamente pericolosa se ingerita in grandi quantità o se utilizzata a contatto con impianti elettrici. L’acqua. D’accordo, è stato uno scherzo un po’ cinico, ma si suppone che chi gira il mondo per discutere di clima dovrebbe almeno possedere le basi del mestiere.
Sicché appare sempre più probabile che questo mestiere con il clima e l’ambiente abbia poco a che fare “la politica del clima non ha più nulla a che fare con la salvaguardia dell’ambiente. Il futuro summit climatico di Cancun, sarà in realtà un summit economico, durante il quale sarà negoziata la redistribuzione delle risorse mondiali” ha dichiarato Ottmar Edenhofer, economista e co-chair del Working Group III dell’IPCC pochi giorni prima dell’inizio del summit.
Per cui, clima non pervenuto. E questo è un bene, perché spiegare al mondo che da dieci anni o più il clima non collabora e le temperature hanno smesso di aumentare non è semplice. Anche se dai centri di raccolta dei dati, uno in particolare, quello stesso del climategate, ci fanno sapere che il 2010 sarà l’anno più caldo di sempre prima ancora che sia terminato; potere delle previsioni e pratica scientifica moderna, evidentemente. Anche se quel che conta è è il trend di riscaldamento, e tutto il resto è noia, come cantava Califano, o semplici fluttuazioni, come va di moda dire adesso; salvo poi aggiungere che se la fluttuazione è calda è chiaro indice del disastro imminente come accaduto in Russia la scorsa estate, mentre se è fredda testimonia le bizze del tempo atmosferico, come da tre inverni a questa parte in Europa.
Ma questi sono segreti che i non esperti non possono capire, e non è necessario che lo facciano, basta che firmino petizioni e paghino la nascitura carbon tax.
Sta per calare il sipario, ma c’è ancora spazio per qualcosa di più di una foto di gruppo, altrimenti pazienza, ci vediamo in Sud Africa.
NB: questo post è uscito anche su “labussolaquotidiana.it”
Aggiornamento
A poche ore dalla chiusura del summit, in questo lancio d’agenzia ci sono i particolari dell’accordo raggiunto. Come leggerete, si tratta di un compromesso, innanzi tutto perché le regole della Convenzione prevedono l’unanimità e in questo caso c’è un paese, la Bolivia, che ha chiaramente espresso il suo dissenso. Poi perché di fatto si rimanda tutto al prossimo appuntamento. Significativo il fatto che gli obbiettivi di riduzione delle emissioni riguardano di fatto i paesi che hanno aderito al Protocollo di Kyoto, dal quale sono esclusi tutti i più grandi emettitori ad eccezione della UE e del Giappone (che ha già fatto sapere di non volerne sapere), come gli USA che non hanno mai aderito, e Cina e India che non hanno obblighi rispetto a Kyoto. Ciò significa che l’innalzamento degli obbiettivi tanto sbandierato, oltre ad essere su base volontaria non ci sarà per quelli che contano sul serio sul bilancio delle emissioni. Il tutto, attenzione, soltanto quando sarà trascorso il tempo necessario perché ci si dimentichi di questo problema. E questo riguarda anche gli aspetti finanziari, perché il fondo di rapida creazione esisterà (ma si sapeva anche prima) e sarà interessante vedere come sarà gestito, mentre quello di 100 mld di dollari, è previsto sempre da 2020, ossia sempre quando sarà possibile non parlarne più.
Di seguito il lancio dell’AGI.
14:02 11 DIC 2010
(AGI) – Cancun (Messico), 11 dic. – Al termine di due settimane di negoziati e con una ‘due giorni’ finale praticamente no-stop, si e’ concluso il vertice di Cancun sul clima. La XVI Conferenza dell’Onu sul Clima si e’ conclusa con un accordo di compromesso, salutato da molti come l’unico possibile almeno in questa fase, e che, al di la’ delle valutazioni, ha il merito almeno di voltare pagina sul fallimento del vertice precedente, quello di Copenaghen. Le grandi potenze (Usa, Ue, Cina, Giappone e India) hanno tutte accolto con favore l’intesa. La Bolivia e’ stato l’unico Paese a bocciare l’accordo, liquidato come troppo debole e insufficiente a combattere in maniera efficace il cambiamento climatico; e la delegazione boliviana ha gia’ annunciato che ricorrera’ presso il Tribunale Internazionale dell’Aja sull’intesa raggiunta. Di seguito i punti-chiave dell’accordo LE AZIONI PER FRENARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO – L’accordo sollecita “profondi tagli” nelle emissioni di anidride carbonica responsabili dell’effetto serra, per frenare l’aumento delle temperature a non piu’ di 2 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali; e chiede uno studio su un rafforzamento dell’obiettivo (a 1,5 gradi) – chiede ai Paesi ricchi di ridurre le emissioni dal 25 al 40 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 (ma questo passaggio e’ in un gruppo di lavoro sul Protocollo di Kyoto, e quindi non coinvolge gli Usa, che non hanno mai firmato il trattato) -accetta di studiare nuovi meccanismi per aiutare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di anidride carbonica e per discutere le proposte per il clima al prossimo grande appuntamento Onu, alla fine del 2011 in Sud-Africa AIUTO AI PAESI IN VIA SVILUPPO -L’accordo da’ vita a un nuovo organismo internazionale, il Green Climate Fund, per amministrare il denaro destinato dai Paesi ricchi alle nazioni piu’ colpite dai cambiamenti climatici. L’Ue, il Giappone e gli Usa si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020, insieme a 30 miliardi di dollari in aiuti urgenti per il 2008-2012 – la gestione del fondo viene affidata temporaneamente e per i primi tre anni alla Banca Mondiale – si crea un direttorio composto da 24 Paesi membri (scelti in maniera paritaria tra nazioni sviluppate e in via di sviluppo, insieme a rappresentanti dei piccoli Stati insulari piu’ a rischio per i cambiamenti climatici) che gestiranno il Green Climate Fund – da’ vita a un Climate Teechnology Center and Network per aiutare a distribuire il know-how tecnico che aiuti le nazioni in via di sviluppo a contenere le emissioni e ad adattarsi ai cambimenti climatici RIDUZIONE DELLA DEFORESTAZIONE -l’accordo da’ ampio sostegno agli sforzi volti a ridurre la distruzione delle foreste; chiede ai Paesi in via di sviluppo dei piani anti-deforestazione -chiede a tutte le nazioni di rispettare i diritti delle popolazioni indigene FUTURO DEL PROTOCOLLO KYOTO – L’accordo sposto a una fase futura la decisione se ci sara’ o meno una seconda fase del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012. Gli impegni della prima fase del protocollo di Kyoto prevedevono la riduzione dell’11-16 per cento rispetto ai livelli del 1990 per il periodo dal 2008 al 2012, mentre ora si propone che aumentino a una percentuale tra il 25 e il 40 per cento entro il 2020.
La posizione della Cina secondo il ChinaDaily
http://www.chinadaily.com.cn/china/2010cancunclimate/2010-12/11/content_11686732.htm
può essere riassunta, credo in questa frase:
[ Xie said the way to address the issue is to ensure that developed countries not a party to the protocol make their targets to reduce greenhouse gas emissions comparable with those made under the protocol. ]
Xie è il negoziatore cinese Xie Zhenhua.
Mi sembrerebbe, da questa dichiarazione, che la Cina fosse andata a Cancun non per mettere in gioco propri impegni, visto che con Kyoto ne era stata preservata, ma a premere perché i Paesi sviluppati che non avevano aderito al protocollo (indovinate chi) vi aderissero anch’essi.
Ovvero: come risolvere i problemi del pianeta… col culing degli altri.
Leggendo il Corriere, sulla chiusura del vertice, mi ricordo di quando ero ragazzino e mia madre (insegnante di lettere alle medie) correggeva i temi dei propri alunni, a volte facendomi vedere come uno svolgimento anche corretto grammaticalmente non aveva né capo né coda, insomma non se ne capiva il senso, e quindi prendeva un voto non eccelso.
Vi invito a leggere il resoconto di Cancun pubblicato sul Corsera e capirci qualcosa:
http://www.corriere.it/esteri/10_dicembre_11/cancun-vertice-arachi_c754578c-04f6-11e0-b4fb-00144f02aabc.shtml
Incipit:
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Si erano già levati i calici, moltipicati gli applausi. A mezzanotte a Cancun (sette ora italiana) l’accordo sul clima sembrava cosa fatta. Il Messico aveva fatto il miracolo. Patricia Espinosa, la presidente della conferenza sul clima, usciva coperta di allori: il Cancun act era una sua creatura. Nemmeno due ore dopo, il panico. Pablo Solon, il capo negoziatore boliviano, il novello Bolivar di questa conferenza sul clima non ha esitato: ha rifiutato l’accordo, con sdegno e decisione.
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Dunque, uno capisce: si stava per fare l’accordo, ma è saltato. Il vertice è andato male.
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L’ultima parola non e’ ancora detta. Spetta, comunque alla presidente, lei, Patricia Espinosa, artefice del Cancun act. Alla plenaria che deve essere ancora convocata.
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Allora, forse no, qui sembra che al momento di scrivere l’articolo ci sia ancora qualcosa da fare e l’accordo si può salvare, ma il sottotitolo è “… il summit si chiude…”. Si è chiuso o no?
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Era una bella vittoria della diplomazia sopraffina, questo accordo è il caso di dirlo. Perché poi a guardarlo dentro questo documento di Cancun (lo chiamano «pacchetto bilanciato») si trovano semplicemente tante dichiarazioni politiche e d’intenti, nessuna vincolante, nessuna operativa. Per adesso. E’ tutto rinviato al prossimo vertice di Durban del 2011.
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Ah, ecco, ClimateMonitor ci ha preso anche questa volta. Ma l’articolo non è finito.
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Eppure dopo il fallimento del vertice di Copenaghen dello scorso anno questo pacchetto messicano appare come un faro ad illuminare la nebbia che avvolge la nostra povera terra inquinata. Dentro c’é scritto che il protocollo di Kyoto deve continuare dopo la sua scadenza naturale, il 2012. E che i paesi che vi aderiscono dovranno tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 ad un massimo del 40%. Non era scontato. Anzi. E’ stata Patricia Espinosa che si è andata a prendere ad uno ad uno i dissenzienti di Kyoto, a cominciare dal Giappone.
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“Un faro ad illuminare la nebbia?” Ma se, dicono, siamo già in grande ritardo e due righe sopra ha scritto che è tutto rinviato al 2011? E che non c’è niente di vincolante?
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«Ma chi è stata davvero straordinaria è stata la presidente della conferenza Patricia Espinosa», dice Stefania Prestigiacomo, il nostro ministro dell’Ambiente, con un pizzico di amaro in bocca: «Non avremmo potuto farcela anche noi in Europa, lo scorso anno a Copengahen?».
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Farcela cosa? In cosa differiscono Copenhagen e Cancun tanto che il primo è definito (e confermato) come un fallimento, mentre il secondo è “un faro”? Uno arriva in fondo all’articolo e ha la sensazione finale “La conferenza è fallita, però è andata bene”.
Della Russia che soffre il caldo ci hanno ampiamente informato, ma di quella su cui nevica abbondantemente, se ne parla in Cina, ma non in Europa, chissà perché:
http://www.chinadaily.com.cn/world/2010-12/09/content_11679435.htm
Ma vorrei fare un commento sullo scherzetto di Cancun, e dato che l’ho già scritto nella pagina facebook, permettetemi di riportarlo anche qui, perchè io, nel fatto che siano caduti in quello scherzetto ci vedo qualcosa di più inquietante che una semplice burla
Citando me stesso
[ Si sono messi vicino ad un distributore d’acqua (il colmo della presa per i fondelli) e hanno fatto firmare la petizione per la messa al bando del “pericolosissimo” monossido di diidrogeno (H2O – cioè l’acqua) ad i delegati di Cancun.
Non mi scandalizzo per l’ignoranza. Essa è malattia che si cura con una lunga degenza sui libri, o in case di cura apposite (scuole, università, biblioteche e via dicendo), e un politico non deve essere un esperto di chimica.
Mi scandalizzo però perché una persona che non sa, non capisce e non si informa, decida di metetre al bando qualcosa solo perché una persona sconosciuta (e certamente lo erano, altrimenti non ci sarebbero cascati) gli fa delle affermazioni senza prova né verifica alcuna !
Questo è grave, gravissimo, e ci fa capire da quale piedistallo ci vengano a condannare la CO2, sostanza essenziale per la vita del pianeta !
E se la petizione di messa al bando dell’acqua (di quelli del CFACT) è stata una specie di scherzo, le richieste di azzeramento dell’innocente CO2 sono invece una tragica realtà.
Secondo me. ]
In altre parole, se non capaci di mettere al bando l’acqua, che cosa sarebbero capaci di fare con la CO2, di cui sanno anche meno ?
Naturalmente queste sono idee mie, personali, che sottopongo alla vostra attenzione, ma che siete liberi di non condividere.