“Quella del 1966 fu una piena eccezionale, ma non irripetibile. Se essa dovesse verificarsi oggi si correrebbero rischi molto più gravi essendo nel frattempo cresciuti il valore dei beni da difendere e l’importanza delle strutture esposte al rischio allagamento”: così si esprimeva nel febbraio 2006 il professor Luigi D’Alpaos, ordinario di Idrodinamica presso la facoltà d’Ingegneria dell’Università di Padova. Il nostro articolo non desidera addentrarsi nelle polemiche sociali e politiche seguite all’alluvione che ha colpito il Veneto ai primi del mese, tuttavia prende spunto da questa dichiarazione per effettuare una breve indagine sulle dinamiche dell’evento, e sulla grave disinformazione che lo ha accompagnato.
Introduzione storico-geografica
Il territorio veneto è in buona parte formato da una pianura alluvionale, solcata da numerosi fiumi e fiumiciattoli, la cui portata raramente scende ad una fase di “secca”, date l’assenza nella media climatologica di minimi annuali di precipitazione (salvo quello relativo invernale) e le precipitazioni annue generalmente comprese tra i 700-800mm della Bassa Pianura ed i 1500-2000mm della fascia prealpina. Inoltre, tra le lagune costiere e le colline della Pedemontana, dietro le quali s’innalzano subito e bruscamente le Prealpi, la pianura è pressoché piatta, con una debolissima elevazione oltre il livello marino, se si escludono i (tra loro prossimi) Colli Euganei ed i Monti Berici: essa è dunque naturalmente soggetta ad allagamenti, ed era tanto nell’antichità quanto nel Medioevo terra di paludi e foreste; e, d’altra parte, è molto difficile trovare luoghi rialzati dove costruire grossi centri urbani.
Questa situazione ha condizionato l’insediamento umano, plurimillenario in questa regione, fin dalla notte dei tempi. Sappiamo infatti che i veneti antichi, giunti circa tremila anni fa, nei loro insediamenti urbani abitavano su palafitte e già diversi secoli prima di Cristo si proteggevano costruendo argini al corso dei fiumi. I lavori idraulici continuarono e progredirono durante l’epoca dell’Impero Romano, per poi seguire la decadenza delle istituzioni statali: a questo furono probabilmente dovuti i disastrosi eventi che condussero tutti i fiumi, dal Po al Piave, a cambiare il proprio corso nel volgere di pochi decenni; tali eventi sono però usualmente uniti in una “leggenda” storiografica, detta Rotta della Cucca, che in data del 17 ottobre 589 d.C. vuole che tutti questi fiumi cambiassero assieme il proprio antico corso a causa di un’unica, epocale alluvione.
E’ evidente dunque come la paura di tali eventi sia storicamente impressa nelle menti della popolazione veneta di pianura, così come è impresso il profondo ed affettuoso rapporto coi diversi corsi d’acqua della zona. Dal Medioevo infatti ricominciò la regolazione dei fiumi assieme alle attività di bonifica, proseguendo per tutta l’Età Moderna sia attraverso l’innalzamento di nuovi argini e la costruzione di nuovi canali, sia con i famosi “tagli” dei fiumi, cioè la loro deviazione per diversi chilometri, sia per evitare che essi interrassero la Laguna Veneta (Brenta, Piave ecc.) sia per ragioni geo-politiche (Po). Se prima questi processi erano diretti dalle singole autorità comunali, a partire dal XV secolo ebbero un’unica direzione sotto la Repubblica Veneta. Tale periodo fu particolarmente felice per le regolazioni idrauliche, che proseguirono sino alla caduta della Serenissima; l’istituzione del Magistrato alle Acque, a partire dal 1501, garantiva un controllo centrale ed autorevole, dotato dei massimi poteri, per tutte le opere di bonifica, scavo, irregimentazione e manutenzione sia delle acque della Laguna che dei bacini fluviali.
Le opere di irregimentazione dei fiumi, scavo di canali scolmatori, bonifica di zone paludose ecc. continuarono, sotto i diversi governi (prima austriaci e poi italiani) per tutto il corso del XIX secolo l’inizio del XX, fino circa all’epoca del fascismo: ad esempio, grazie allo scavo dei canali Scaricatore e San Gregorio, la città di Padova è dal maggio 1905 che non viene sommersa da un’alluvione. Giova qui ricordare che parliamo di “alluvioni”, dovute all’eccezionale portata dei fiumi che dai monti scorrono verso il mare, e non di “allagamenti” causati da forti temporali e da scoli ostruiti o inesistenti.
Gli ultimi grandi eventi alluvionali del XX secolo, quelli rimasti impressi nella memoria collettiva, furono essenzialmente due: il 14 novembre 1951, quando lo straripamento del Po allagò quasi completamente il Polesine (provincia di Rovigo e parte di quella di Venezia) causandone il progressivo spopolamento, mentre dalle tre rotte del fiume l’acqua continuò a fluire per 37 giorni; ed il 4-5novembre 1966, quando gran parte dei fiumi veneti straripò, causando danni gravissimi in quasi tutte le zone di pianura, assieme ad un’acqua alta eccezionale che segnò l’inizio dello spopolamento di Venezia.
Negli ultimi decenni si sono segnalati diversi eventi minori e non paragonabili a quelli più importanti; ma soprattutto, negli ultimi 60 anni, non sono state fatte le nuove necessarie opere idriche che servirebbero a garantire la sicurezza del territorio, soprattutto di quello fortemente sviluppato negli ultimi 30 anni, nonostante la lezione del 1966.
Ecco uno schema (da Wikipedia) dei grandi lavori storici nel bacino del Bacchiglione-Brenta nell’area tra Vicenza, Padova e Venezia, una di quelle più duramente colpite dagli ultimi eventi:
Nei prossimi articoli, che saranno quattro, continueremo l’analisi di di questo evento affrontandone anche gli aspetti socio-economici, la dinamica e l’informazione o, come vedremo, il suo opposto. Da ultimo proveremo a tirare un po’ di somme.
(1 – continua)
Grazie Filippo.
Da “addetto ai lavori” sentivo proprio la mancanza di un “locale” che facesse un esame approfondito dell’accaduto.
Seguirò con molta attenzione i prossimi articoli.