Abbiamo già analizzato i rischi e i difetti degli impianti a biogas con integrazione da 1 MW di potenza. Accanto a questi ci sono nuove realtà che stanno crescendo come gli impianti a flottati visti nella quarta parte “Il biogas virtuoso”. Gli impianti a biogas senza integrazione hanno costi iniziali, di esercizio e di capitale più bassi rispetto ai mega impianti con integrazione.
Infatti i digestori sono 10 volte più piccoli, non servono i miscelatori, le trincee e i vasconi aggiuntivi per il digestato, e non bisogna anticipare un capitale enorme in silomais da stoccare per tutto l’anno.
I limiti in questi impianti sono di taglia, il minimo di potenza infatti è di 50 kW quindi servono i liquami di aziende zootecniche di grandi dimensioni (5000 suini o 300 vacche) o consorzi, e non si possono fare negli allevamenti a bande, (tutto vuoto tutto pieno) perchè l’apporto di sostanza organica è troppo variabile durante l’anno.
Ultimamente c’è una ditta in Italia che sta proponendo impianti standard da 25 kW di potenza, da installare anche in serie, il cosidetto minibiogas, li ritengo molto interessanti.
Riporto le parti più salienti della descrizione del minibiogas direttamente dal sito di un’azienda produttrice.
“Ad oggi il biogas è ancora poco diffuso nel nostro Paese a causa del notevole impatto ambientale degli impianti e del loro costo elevato: questi infatti sono spesso accessibili solamente da grandi aziende (non così numerose in Italia), oppure da consorzi di aziende agricole.
La soluzione per le piccole medie aziende, così numerose e tipiche in Italia, si chiama Lilliput ed è il primo prodotto Minibiogas, creato e brevettato dalla Bluenergycontrol: si tratta di un impianto di piccola taglia con potenza compresa tra i 25 e i 50 Kw.
Lilliput può essere acquistato anche da una sola azienda e gestito – volendo – senza sottrarre biomassa dalla filiera alimentare. La formula del “tutto fatto in casa” è l’ideale per le aziende agricole italiane e per una cultura imprenditoriale improntata all’autonomia di scelta e la facilità di gestione.
Lilliput semplifica la vita all’imprenditore: può essere installato in circa 2 mesi con una semplice DIA/SIA e tempi di autorizzazione molto veloci (saltando nella maggior parte dei casi l’autorizzazione unica regionale). L’ispettorato dell’Agricoltura e i Vigili del Fuoco hanno inoltre espresso parere favorevole sui primi impianti realizzati, aprendo la strada ad uno snellimento delle procedure.
Lilliput crea nuova ricchezza per l’impresa: grazie alla recente tariffa omnicomprensiva, ogni Kilowattora di energia elettrica prodotto viene pagato 0,28 € per 15 anni generando un nuovo reddito sicuro per l’azienda. Questo permette di ridurre al minimo i tempi di ammortamento dell’investimento.
Lilliput cresce con l’impresa: trattandosi di un prodotto in massima parte preassemblato in maniera seriale dentro in stabilimento, riduce notevolmente la manodopera per l’installazione, i tempi di collaudo e le prove di funzionamento. Inoltre, è facilmente estensibile in caso di accresciuto fabbisogno energetico dell’impresa stessa.
Lilliput è bello: nell’ottica di piena sostenibilità, questo impianto è studiato come soluzione al problema dell’impatto paesaggistico e ambientale come una vera e propria “casetta” nel cuore della “tenuta” agricola qui le foto http://www.lilliputbiogas.it/biogas/foto.aspx
Lilliput si alimenta con il liquame di vacche da latte o suini attraverso una pompa trituratrice, così come con il letame dei bovini da carne (che viene caricato una volta al giorno). L’aggiunta di paglia a questi reflui aumenta notevolmente la quantità di biogas prodotto.
In alcune situazioni è possibile intervenire con l’aggiunta di biomasse vegetali (loietto, soia, triticale, sorgo, mais, melasso, erba medica) o convertire il funzionamento da misto ad esclusivo utilizzando anche solo biomasse vegetali.
Nella fase di alimentazione è importante che i processi di triturazione della biomassa e della miscelazione vengano controllati minuzionamente: ciò è possibile grazie ad una tecnologia di telecontrollo a distanza messa a punto appositamente dalla Bluenergycontrol
E’ importante sottolineare che Lilliput, oltre a produrre notevoli quantità di energia elettrica (incentivata dalla Tariffa Omnicomprensiva) utilizza pochissima dell’energia prodotta (meno del 5%) e contribuisce efficacemente alla riduzione dei consumi di energia termica domestici e aziendali.”
Il sistema infatti prevede lo sfruttamento dell’energia termica prodotta dal cogeneratore sia per mantenere la temperatura a 35°C nel digestore sia per scaldare l’acqua di esercizio in allevamento e nelle abitazioni dell’azienda. La produzione di kWh termici in generale equivale a circa il doppio di quella dei kWh elettrici, ma ci sono alcune differenze: i cogeneratori a “turbina” producono più energia termica rispetto a quelli a “motore”, e gli impianti nuovi che sono molto ben coibentati e che utilizzano biomasse meno diluite del liquame tal quale, hanno fabbisogni di energia termica inferiori,quindi non utilizzano tutta l’energia termica prodotta per mantenere la temperatura a 35°C nel digestore mesofilo.
Soprattutto negli impianti a minibiogas il digestore è piccolo ed è facile da riscaldare specie se si usano i flottati o le integrazioni, e utilizzano cogeneratori a motore, quindi rimane molta energia termica da utilizzare in altro modo.
Mentre è ancora tutta da dimostrare l’efficacia della mitigazione climatica con la riduzione delle emissioni, penso che le tecniche di minibiogas abbinate ai flottati siano soluzioni vincenti, perché non fanno i danni degli impianti ad integrazione e risolvono almeno dei problemi.
Rispetto alla gestione del liquami maturi, gli impianti a flottati:
- abbattono gli odori sgradevoli dei reflui sia nelle stoccaggio sia nella distribuzione
- migliorano la sanificazione dei reflui
- rendono i reflui più facili da gestire agronomicamente perché i digestati sono subito a disposizione della pianta
- nel caso i digestati si utilizzino in alta efficacia di distribuzione cioè in presemina o in copertura, si evitano i residui di azoto organici nei terreni che potrebbero essere dilavati dando origine all’inquinamento della falda.
Gli impianti a minibiogas permettono la produzione elettrica e termica rinnovabile, ad un vasto numero di allevatori che altrimenti per questioni di taglia minima di potenza sarebbero costretti a fare impianti ad integrazione per raggiungere i 50 kW di potenza minima.
Ciao Alberto
per un preventivo gratuito chiedi qui
http://www.minibiogas.it/
Salve io sono un imprenditore agricolo e vorrei realizzare un impianto a cogenerazione di 25 kW. Potrei avere un preventivo o sapere intorno a quanto si aggira il prezzo per la realizzazione.
Grazie
Cordiali Saluti
Ho ricevuto delle critiche (sono in maiuscolo) agli articoli sul biogas le riporto qui con le repliche per chiarire anche ad altri che potrebbero avere gli stessi dubbi
“OCCORRE FARE UNA DISTINZIONE TRA SEPARATO SOLIDO E LIQUIDO DEL DIGESTATO ALTRIMENTI NON SI INQUADRA LA SOLUZIONE.
IL SEPARATO SOLIDO DEL DIGESTATO E’ ANCORA RICCO DI SOSTANZA ORGANICA NON PRONTAMENTE DEGRADABILE (PRINCIPALMENTE LIGNINA E CELLULOSE NON DEGRADATE) PERCHE’ QUEST’ULTIMA E’ STATA UTILIZZATA NEL PROCESSO DI FERMENTAZIONE ANAEROBICA, PER CUI SVOLGE UNA FUNZIONE AMMENDANTE MOLTO EFFICACE SOPRATTUTO IN TERRENI POVERI E DESTRUTTURATI)
IL SEPARATO LIQUIDO E’ PIU’ RICCO DELLA COMPONENTE AMMONIACALE E DEVE ESSERE INTERRATO PER EVITARE EMMISSIONI IN ATMOSFERA.
L’UTILIZZO E’ DOPPIO: DA UN LATO SOSTANZA ORGANICA LENTAMENTE TRASFORMABILE NEL TERRENO E DALL’ALTRO SOSTANZA FERTILIZZANTE PRONTAMENTE UTILIZZABILE DALLA COLTURA.”
Ma certo ma ce n’è di meno! Quanto carbonio in meno? Esattamente quanto quello che contiene il biogas che si riesce a produrre. Tutta sostanza organica che non andrà mai nel terreno anche se per ricevere la PAC la condizionalità prevede che si apporti sostanza organica in modo continuativo ai terreni ( nessuno lo fa tranne chi usa i reflui ma la PAC la prendono lo stesso)
LE BIOMASSE NON ARRIVANO MAI DA DISTANZE SUPERIORI AI 70 KM NEGLI IMPIANTI ODIERNI. I TERRENI AZIENDALI SONO INTORNO ALL’IMPIANTO E MAI COSI’ DISTANTI. …NON VIENE IMPORTATO NULLA
Guardi che quella dei 70 Km è un raggiro! pensavo di essermi spiegato bene evidentemente non è così.
Certo che il mais che finisce nel digestore proviene dal raggio di 70 Km ma crea un buco di produzione cioè viene a mancare sul mercato, ma il fabbisogno resta quindi lo si importa ad es dal Brasile Quanto mais se ne importa? Esattamente la stessa quantità che è entrata nei digestori. Lo stesso vale ovviamente per il silomais silos orzo sorgo e cippato di pioppella nel caso si produca su terreni dove prima si producevano cereali.
tutto quello che entra nel digestore come integrazione deve essere sostituito con una importazione
“LE EMISSIONI SONO UGUALI ALLA QUANTITA’ DI CO2 ASSORBITA PER CUI IL CICLO E’ A ZERO”
Questa frase va bene se si generalizza e lei non è certo il primo a farlo sulle rinnovabili, ma le consiglio di cambiarla per il futuro perché il bilancio del carbonio è pari a zero solo se si considera il carbonio della biomassa entrante rispetto al carbonio del’emissione ma i bilanci vanno fatti in filiera che partono dalle miniere. Se si parla di biomassa di integrazione bisogna quindi conteggiare tutte le emissioni di filiera e metterle nel bilancio del carbonio quindi tutto ciò che viene emesso
– nell’estrazione di minerali ferrosi e carbone e combustibili fossili per la produzione delle macchine agricole di trasformazione e trasporto e per la produzione di energia per la produzione.
– nell’estrazione di fosforo potassio e combustibili fossili per la produzione di fertilizzanti e pesticidi
– l’estrazione lavorazione e trasporto di ghiaia cemento e materiale isolante ecc per le strutture
– le emissioni nelle lavorazioni della terra, della lavorazione delle biomassa, del trasporto e dello stoccaggio
– sia chiaro il concetto della coperta corta, quindi se uso 100 mila t di mais per i digestori a Cremona, gli allevatori di Cremona restano senza e saranno costretti a comprarlo ad es in Brasile, dove però non c’è bisogna produrne di nuovo quindi o aumento le rese ( ma non può fare più di tanto) o deforesto. Quindi vanno conteggiate anche le emissioni che derivano dalla deforestazione cioè il carbonio stoccato negli alberi che finisce in atmosfera come aggiuntivo ( circa metà subito cioè tutto ciò che non è tronco, il resto con il tempo, dipende da quanto durano i mobili)
– le emissioni per il trasporto delle derrate dal Brasile a Cremona sono da aggiungere perché prima dei digestori lo stesso mais si comprava nei dintorni d Cremona
– il consumo di humus va conteggiato, pensi al danno nelle terre in Brasile ma anche in Italia dove prima si faceva mais per i suini lasciando gli stocchi a terra e si concimava con i liquami e adesso si produce silomais per i digestori e si concima con i digestati l’apporto si sostanza organica Ha cala di circa il 90% ( di agricoltura blu tutti ne parlano ma temo che pochi abbiano capito il bilancio del carbonio del terreno anche in questo senso)
–
Capisce che la sua frase presta il fianco alle critiche perché tutte queste emissioni non sono affatto bilanciate dalla captazione dei vegetali della biomassa: sono perturbazioni aggiuntive
“I REATTORI MANTENGONO TUTTO L’ANNO TEMPERATURE STABILI GRAZIE ALL’UTILIZZO DEL CALORE DEI MOTORI. LE TEMPERATURE DELLE FERMENTAZIONI NON SI SCOSTANO NEANCHE DI UN GRADO”
C’è una ditta nel bresciano si chiama nitrostop e che ha fatto prove di fermentazione sui digestati in uscita ebbene fermentavano ancora ( e di tanti impianti diversi) soprattutto in inverno, ( certo non tutti gli impianti sono uguali) secondo loro il problema è che non si raggiungeva nel cuore del digestore il calore necessario, o meglio non lo si raggiungeva nel tempo necessario a una reazione completa. Poi loro propongono un abbattimento del nitrato a metà ciclo per aumentare le rese ma questo è un altro discorso.
IL DIGESTATO APPORTA HUMUS AL TERRENO NON LO PRIVA DI SOSTANZA ORGANICA
Come già detto il digestato apporta meno sostanza organica, del liquame in entrata, ma soprattutto non viene apportata sostanza organica sui nuovi terreni agricoli ad es in Brasile originati dalla deforestazione, che si dovranno coltivare per forza per sostituire tutto il mais che entra nei digestori. Quanti ettari sono? Esattamente tanti quanti se ne devono coltivare nel raggio di 70 Km dal digestore, per produrre l’integrazione dedicata, in queste superfici, in Brasile si “brucerà” humus non solo si “brucerà” humus pure sulle estensioni dedicate in Italia perché l’apporto di sostanza organica ai terreni rispetto ai liquami è inferiore.
UN IMPIANTO DA 1 MW COSTA CIRCA 4 MILIONI DI EURO E IL RITORNO DELL’INVESTIEMENTO E’ CIRCA 4-5 ANNI
Si comprese le trincee e i vasconi poi sul tempo di ritorno dipende molto da:
quanta integrazione si fa,
quanto la si paga,
quindi se la si produce o la si compra
quindi dal listino di mercato,
dai contratti per lo smaltimento del digestato con il PUA.
E dal costo di smaltimento
Il dirigenti della BNL Pavia non credono a questi rientri a breve tempo e non li finanziano senza ipoteche. Le riferisco quello che mi hanno detto.
Alla fiera di Cremona 2009 un ricercatore dl politecnico di Milano ha parlato di rientri reali in 10 anni.
I REATTORI MANTENGONO TUTTO L’ANNO TEMPERATURE STABILI GRAZIE ALL’UTILIZZO DEL CALORE DEI MOTORI. LE TEMPERATURE DELLE FERMENTAZIONI NON SI SCOSTANO NEANCHE DI UN GRADO
C’è una ditta nel bresciano si chiama nitrostop e che ha fatto prove di fermentazione sui digestati in uscita ebbene fermentavano ancora ( e di tanti impianti diversi) soprattutto in inverno, ( certo non tutti gli impianti sono uguali) secondo loro il problema è che non si raggiungeva nel cuore del digestore il calore necessario, o meglio non lo si raggiungeva nel tempo necessario a una reazione completa. Poi loro propongono un abbattimento del nitrato a metà ciclo per aumentare le rese ma questo è un altro discorso.
Le turbine hanno rese più basse ma spesso sono preferite perchè più affidabili.
Le TURBINE COSTANO TROPPO E HANNO RESE PIU’ ALTE
Su questo tema le polemiche sono infinite c’è chi è contento dei motori chi li maledice.