Un nuovo filone di ricerca di cui apprendiamo da Science Daily. Il titolo è eloquente: I Vulcani hanno spostato le piogge asiatiche. Si va indietro nel tempo di 800 anni, cercando la conferma dell’influenza che le eruzioni vulcaniche possono aver avuto in passato sul clima del Pianeta e, in modo forse ancora più determinante, sul tempo atmosferico del breve medio-periodo.
E così leggendo i dati di prossimità forniti dagli anelli di accrescimento degli alberi, i ricercatori hanno trovato qualcosa di particolare, e cioè un importante accrescimento delle piogge monsoniche su parte del continente asiatico avvenuto dopo le eruzioni vulcaniche più potenti di cui si abbia memoria. Qui, sui Science Daily potete leggere per esteso il commento all’articolo attualmente “in press” sul GRL1.
Del pezzo di SD, che contiene alcune dichiarazioni degli autori della ricerca, mi ha colpito questo periodo:
[…] I ricercatori della Columbia University hanno mostrato che le grandi eruzioni tendono a rendere più arida buona parte dell’Asia centrale, ma portano più piogge sulle regioni del Sud-Est Asiatico, tra cui Vietnam, Laos, Cambogia, Tailandia e Birmania – l’opposto di quello che molti modelli climatici prevedono.
[…] researchers at Columbia University’s Lamont-Doherty Earth Observatory showed that big eruptions tend to dry up much of central Asia, but bring more rain to southeast Asian countries including Vietnam, Laos, Cambodia, Thailand and Myanmar — the opposite of what many climate models predict.
Già, i modelli. Che fare? Che farne? Alcuni giorni fa Roger Pielke Sr. ha pubblicato un post sul suo blog piuttosto interessante in cui mette l’accento su come gli sforzi concentrati in termini di risorse sulle simulazioni multidecadali siano di scarsa utilità per i processi decisionali, specialmente in assenza della possibilità di sottoporli a corretti processi di verifica.
Con lui Judit Curry, in un post dal titolo “Decision making under climate uncertainty“, in cui una sorta di cortocircuito tra politica, scienza e finanziamenti alla stessa, indotto dalla fretta di indicare delle policy che vorrebbero correttamente affrontare il problema, marginalizza la ricerca sulla variabilità naturale del clima sia a scala regionale che globale, focalizza la ricerca sullo sviluppo dei modelli piuttosto che sulle osservazioni (specie per il paleoclima), e valorizza l’accordo tra i modelli a discapito di un’attenta esplorazione dell’incertezza degli stessi che includa anche la loro struttura, con il risultato di avere avuto (da parte dell’IPCC) delle determinazioni troppo sbilanciate sul ruolo dei gas serra nei cambiamenti climatici.
Pielke giudica così questo meccanismo: Questa cultura dell’utilizzo dei modelli come strumento per comunicare con i policy makers è un uso inappropriato e ambiguo del metodo scientifico. Concetti per nulla innovativi, ma sin qui del tutto inascoltati, come dice Richard Lindzen “quotato” sempre nel post di Pielke:
In pratica, abbiamo un nuovo paradigma in cui le simulazioni e i programmi hanno rimpiazzato la teoria e le osservazioni, in cui i governi determinano la natura dell’attività scientifica, e in cui il ruolo principale delle associazioni professionali è fare azione di lobbyng sui governi per acquisire dei benefici.
Tutto questo quando, come dimostra l’articolo di Science Daily con cui abbiamo iniziato, non passa giorno senza che si scopra qualcosa che avviene nel mondo reale e nei modelli non c’è, o, se c’è è interpretata diversamente.
La domanda direi potrebbe essere questa: perché concentrare tutti i propri sforzi nella realizzazione di sistemi di prognosi per il lungo o lunghissimo periodo, piuttosto che su quelli di breve e medio periodo? Come un lettore ha ironicamente commentato qualche giorno fa, mi rispondo anche da solo: perché i primi non sono verificabili e garantiscono successo, i secondi si verificano ad ogni cambio di stagione, e può capitare che qualcuno chieda spiegazioni, come è accaduto ai colleghi dello UK Met Office alla seconda previsione consecutiva di inverni confutata e verificata sotto la neve. Non solo una brutta figura, ma forse anche qualche sterlina risparmiata per prepararsi ad una stagione mite salvo poi doverne spendere molte di più affrontarne una molto rigida.
Ora di previsioni di quel tipo non se ne sentono più molte, però per quelle che vanno ancora più lontano si continuano a destinare enormi quantità di risorse, eppure, in un interessante articolo pubblicato dall’AMS (Navarra et al. 2010) leggiamo:
Non ci sono stati cambiamenti rivoluzionari nel modelli climatici sin dal loro avvento più di 30 anni fa. I modelli fanno uso delle stesse equazioni dinamiche, con metodi numerici migliorati, ed hanno risoluzioni e parametrizzazioni paragonabili. Negli ultimi trent’anni, la potenza dei computer è aumentata di un fattore 106. Dell’aumento di un milione di volte della capacità di computazione, circa un fattore 1.000 è stato impiegato per rendere i modelli più sofisticati. La risoluzione, l’inclusione di più processi fisici, biologici e chimici, e parametrizzazioni più elaborate di fenomeni non ancora compresi hanno tutti avuto migliorie di modesta entità.
E infatti, scopriamo che l’attività vulcanica, certamente non pronosticabile, ma altrettanto certamente cruciale nelle dinamiche del clima, produce effetti opposti a quelli simulati. In tutti questi anni di attività, qualcuno ha pensato a mettere a punto un modello climatico a breve periodo che simuli il comportamento del sistema negli anni immediatamente successivi ad una importante eruzione? Chissà, forse sì, sul computer di casa nel tempo libero. Per il resto del tempo c’è da scoprire quanto caldo farà tra cent’anni.
- Anchukaitis, K. J., B. M. Buckley, E. R. Cook, B. I. Cook, R. D. D’Arrigo, and C. M. Ammann. The Influence of Volcanic Eruptions on the Climate of the Asian Monsoon Region. Geophysical Research Letters, 2010 DOI: 10.1029/2010GL044843 [↩]
Alessio,
rimanendo sullo specifico delle emissioni vulcaniche, forse il mio discorso non era chiaro, ma non mi riferivo al bilancio energetico, i “watt al metro quadro”, ma alle implicazioni globali e locali che le variazioni di forcing hanno sulle variabili fondamentali del sistema climatico: venti, temperatura, umidità, nubi e distribuzione di questi.
Il discorso è sempre quello: ogni qual volta si scende nel dettaglio degli output dei modelli, osservazione e simulazione non coincidono (mai).
Nonostante questo, la somma degli errori locali darebbe una buona ricostruzione globale.
Sì, aggiungo io, per virtù dello Spirito Santo!
Finché i modelli non saranno in grado di scendere sul locale, il dubbio (anzi la certezza) che l’accordo sulla scala globale è raggiunto solo grazie al tuning rimane e rimarrà.
Per non dire che l’accordo sul livello globale rimane solo per una variabile, la temperatura superficiale, se si escludono i primi 50 anni del XX secolo e anche gli ultimi dieci!
Ma il mondo non è solo temperatura alla superficie e non è solo il periodo 1951-2000.
Certo Alessio che spesso mi lasci senza parole. E a volte ci credi un po’ fessacchiotti (non è offensivo, vero?).
Il fatto che tutta la politica di mitigazione alla IPCC sia stata voluta da alcuni?, tutti? gli scienziati mainstream è quello di cui si parla qui.
Non è Guidi o io o qualche realista che se l’è inventata.
Quando ci vieni a parlare di incertezza e di quello che alcuni tuoi colleghi mainstreamm fanno, non ci racconti niente di nuovo.
Noi lo sappiamo già che i modelli sono quelli che sono, dei semplici studi di sensitivity. Punto.
E sappiamo che non vanno usati per prevedere nessuno scenario futuro o futuribile.
Quindi, grazie se ci vieni a parlare di nuovi lavori che affrontano l’incertezza e l’inaffidabilità dei modelli climatici.
Ma non ci ricordare tutte le volte che c’è qualcuno che lavora per capire come vanno le cose.
Qui non facciamo accademia, cerchiamo di diffondere informazione e dubbi su quello che il mainstream (o parte di esso) dice.
Sullo specifico, se fosse anche vero che avete capito come i vulcani (o altre diavolerie umane) agiscono sul bilancio dei watt al metro quadro, questo non vuol dire che non avete capito solo gli effetti locali. Tu pensi di avere capito, insieme agli altri del mainstream, gli effetti globali, ma questo è solo un vostro pio desiderio basato sui modelli fallaci di cui prima.
Pensare di aver capito poco sul piccolo ma di aver capito tanto sul grande è un esercizio deduttivo per il quale la ragione grida vendetta!
Paolo, non è questione di considerare fessacchiotti. E non credere che mi diverta a ripetere cose banali. Lo fo perchè si continua con pezzi come questo che non riportano, a mio avviso, informazioni su quello che il “mainstream” dice. Ma filtrano notizie piegandole ad una parsonale visione delle cose: ogni volta da questi pezzi traspare che chi lavora a problemi climatici è un povero ingenuotto prezzolato che ruba i fondi alla ricerca (@Guido: niente i personale, ma è questo che traspare. E non credo sia un problema di stile. Penso sia proprio l’idea personale, che ognuno è libero di esporre, ma lo dica chiaramente: vedi male mondo accademico e non pensi stia facendo buona ricerca in campo climatico).
Per non cominciare un altro estenuante e inutile botta e risposta muro contro muro, preferisco finirla qui, ho detto la mia e bona. Aggiungo solo un commento nello specifico circa l’impatto sul bilancio energetico globale degli aerosol vulcanici. Non è vero che sia basato sui fallaci modelli: per le eruzioni del Chichon dell’1982 e del Pinatubo del 1991 le misure sono molte e diverse. Sia dei flussi radiativi che delle proprietà microfisiche della nube di aerosol. Non siamo così esagerati da parlare di vendette della ragione suvvia.
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Alessio, comprendo e approvo la tua intenzione di non mettere in piedi una sterile serie di botta e risposta, perciò, mi adeguo. Dalle tue parole parole emerge però una neanche tanto velata accusa di cherry picking, che non posso accettare. Di siti che affrontano questi temi secondo mainstream è strapieno. Di luoghi dove si da’ voce a ciò che non è mainstream no. Noi, nel nostro piccolo cerchiamo di riempire questo vuoto, senza avere neanche lontanamente la pretesa di riuscirci ovviamente. In questo senso, certamente scelgo le cose di cui parlare, mediando tra quello che suscita il mio interesse e quello che pur non facendolo ritengo (a mio sindacabile giudizio) che meriti comunque di essere approfondito. Non concordo con te con il giudizio che ci dai. Se con “quello che traspare” intendi una tua soggettiva legittima interpretazione allora ok. Se questo però lo dici a supporto della tua tesi di cherry picking non è più ok.
Torno a ripeterlo per la centesima volta: non sono un ricercatore e non mi permetto di zappare l’orto altrui, nè posso veder male un mondo che non conosco e con cui non ho nulla a che fare. Quello che non va bene è l’uso che si fa di questa ricerca e il successivo feedback che poi ne condiziona gli orientamenti. Sbaglierò, ma penso che la simulazione del sistema a colpi di terabyte sarebbe dovuta partire dal breve periodo, per arrivare forse un giorno più lontano quando fossero state disponibili le conoscenze necessarie. Fare il percorso al contrario dichiarando di aver compreso a grandi linee e dover lavorare sui dettagli credo non porti da nessuna parte e perdona se mi ripeto ancora, non serve assolutamente a nulla.
Comunque grazie, perché sei uno dei pochi che accetta il confronto su questi temi su queste pagine, e questo le arricchisce.
gg
Guido apprezzo anche io i toni delle nostre discussioni accese ma pacate. Non accusavo di cherry picking, ma dicevo semplicemente quello che anche tu scrivi. L’intento tuo e del sito è quello di dare voce dai siti/blog/ricerche fuori dal mainstream. Buono, sacrosanto. E lo fate bene. Nulla da dire. Chiaramente nel riportare le notizie, come dici, scegli e riprendi quello che più ti colpisce e anche questo è chiaramente sacrosanto. Alle volte dando voce a quell’altra parte si incappa in mala informazione.
La chiusura del tuo pezzo (che sia una tua personale interpretazione delle conclusioni dell’articolo o un riporto da fuori) è sbagliata perchè veicola l’idea che “toh, hanno mostrato un’altra volta che i modelli non sono come ci vogliono fare credere e nessuno se ne era accorto/lo aveva detto prima”. Ora dato che quella ricerca mi tocca da vicino, ti dico che rappresenta un altro pezzo importante per capire dove i modelli sbagliano nel simulare gli effetti dinamici delle eruzioni vulcaniche, cosa ben nota da 20 anni. E capire il perchè di questa incapacità dei modelli è importante perchè aiuta a isolare processi di connessione tra dinamiche sub-tropicali ed extra tropicali, uno dei vari hot topic della dinamica atmosferica. Quindi il punto di quella ricerca è dire “ohi, guardate che oltre ai problemi con la rappresentazione dei feed back alle medie latitudini, ce ne sono anche ai tropici e la cosa è molto probabilmente collegata”. Ed è un punto importante dato che fin’ora si pensava che le deficienze fossero da addurre alle connessioni tra stratosfera e troposfera.
Questa secondo me è una info più interessante da veicolare che “ecco un’altra freccia piantata sui modelli morenti”. Tutto qui, passo e chiudo 🙂
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Grazie. Ok, passa chiudi pure, ma credo che i tempi siano maturi perché i lettori di CM possano sapere qualcosa di più di queste tue ricerche.
gg
“E infatti, scopriamo che l’attività vulcanica, certamente non pronosticabile, ma altrettanto certamente cruciale nelle dinamiche del clima, produce effetti opposti a quelli simulati.In tutti questi anni di attività, qualcuno ha pensato a mettere a punto un modello climatico a breve periodo che simuli il comportamento del sistema negli anni immediatamente successivi ad una importante eruzione?”
Guido, che i modelli abbiano problemi a simulare i feedback dinamici dopo grandi eruzioni vulcaniche e’ risaputo da almeno 20 anni, da dopo l’ultima eruzione significativa dal punto di vista climatico. Non sto a cercare tutto l’elenco di paper che affrontano la questione che’ non ne ho il tempo. Basta googlare lavori di Robock, Stenchikov, Kirchner,Graf,Perlwitz,Giorgetta e tanti altri.
Nel frattempo si, c’e’ qualcuno che cerca di capire perche’ i modelli hanno problemi a simulare quello che succede dopo grandi eruzioni vulcaniche e c’e’ anche qualcuno che cerca di capire cosa effettivamente succeda: abbiamo a disposizione solo 3 eruzioni significative coperte da decenti osservazioni e questo non aiuta la ricerca di segnali significativi, trattandosi di effetti piccoli annegati nel caos delle oscillazioni climatiche.
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Beh, non è certo l’ineluttabilità e randomicità assoluta di questi eventi che ne può giustificare la derubricazione. Se i modelli hanno problemi con uno dei forcing naturali più significativi, forse non sono il massimo non credi?
Aggiungerei anche che se mancano i dati di grandi eruzioni, capaci di mettere in risalto un segnale distinguibile, non manca un’attività vulcanica continua che seppur embedded il suo peso lo ha di sicuro, introducendo altri elementi di impredicibilità del sistema a tutte le scale temporali climatiche, dall’anno, alla decade, all’eternità.
Questo, tanto per capire che abbiamo capito tutto. 🙂
gg
Per la derubricazione non so di che stai parlando. L’argomento per quanto mi riguarda (fortunatamente per il mio contratto anche) e’ tutt’altro che derubricato.
L’ironia sull’infallibilita’ dei modelli, ci risiamo, e’ oramai trita e ritrita: nessuno, checche’ lo si voglia far credere a volte distorcendo la realta’, li assume infallibili (e gia’ indicai, ricordo, paper “mainstream” che sono tutt’altro che gentili con lo stato attuale delle performances dei modelli). Sono uno strumento utile, che va usato ma che va anche saputo interpretare alla luce di osservazioni (imperfette anch’esse) e conoscenze della fisica del sistema (imperfetta anch’essa). Si c’e’ l’imperfezione di mezzo. Riguardo ai vulcanoni: si abbiamo capito che fanno a livello di bilancio energetico globale. C’e’ poco da discutere su quello. Ancora non s’e’ capito perche’ e come agiscano a livello locale (interazioni dinamiche con la circolazione globale e il ciclo idrologico su scale temporali di uno-due anni per eruzioni come il Pinatubo). Dipende quindi da cosa uno voglia simulare, da che scale spaziali e temporali si voglia analizzare. Il fatto che un modello non riesca a simulare bene l’impatto locale di un’eruzione vulcanica non significa direttamente che faccia schifo e non becchi il clima generale del pianeta. Nel caso dei vulcani la domanda aperta e’ se i modelli abbiano i feedback necessari gia’ presenti nella loro variabilita’ naturale e per qualche ragione non riescano a farli partire come dovrebbero o se manchino del tutto certi processi (hint:strat-trop coupling). Il problema e’ tutt’altro che accantonato.
Quanto all’attivita’ vulcanica continua: stiamo parlando di cose completamente diverse. O parliamo di eruzioni vulcaniche che rilasciano megatonnellate di SO2 fin sopra i 20km dando origine a nubi di aerosol solfati di certe distribuzioni dimensionali, con certo tempo di residenza e certe perturbazioni radiative sul sistema, oppure di rilascio di aerosol troposferici con altre proprieta’ e altre scale temporali ed altri effetti.
Le due cose sono completamente diverse: in merito all’articolo citato, di tossette come l’ultima eruzione islandese o quella indonesiana recente non ce ne facciamo nulla. A prescindere dalle distruzioni e problemi che causano a livello locale.Tant’e’.
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Alessio, perdona l’irruenza di Paolo, è fatto così, specie di venerdì 😉 ma devo ammettere di sposare più la sua tesi che la tua. E perdona anche il mio precedente commento, il fatto è che, come accade spesso anche a me, mi piace stanare il lupo dalla tana :-).
Ciò detto, ormai dovresti aver capito che qui nessuno ce l’ha con chi fa ricerca, a nessun livello. Sappiamo bene che ci sono fior di discussioni in corso, certo, se si potessero sottrarre da quelle stesse discussioni un po’ di cose date per scontate sarebbe meglio, ma, tant’è. Il problema è l’uso che si fa di quel materiale. Che i rapporti IPCC ad esempio siano tomi di mille pagine per area tematica, in cui si esprimono anche i dubbi e le incertezze, è in parte vero,ma non serve assolutamente a nulla se poi di tutto quel gran discutere si fa un bel riassuntino con il quale si racconta al mondo che di incertezza non ce n’è, perché questo è un esercizio in cui la divulgazione della conoscenza invece di essere di supporto al processo decisionale diviene ad esso strumentale. E di questo strumento se ne fa un uso assolutamente smodato.
Per parte mia, sarà il condizionamento ideologico-professionale che mi tiro dietro, ma sono incline a valutare le cose in funzione della loro utilità, e un modello che tira fuori scenari multidecadali o peggio centenari inverificabili, descrivendo il sistema in modo decisamente approssimativo non serve assolutamente a nulla, specie se quando uso le stesse presunte conoscenze per indagare il medio periodo si scopre che le cose, come in questo caso, vanno nella direzione opposta all’idea che si pensa di avere di quel sistema. Questo intendo quando dico che alcuni aspetti sono derubricati: non sappiamo come funziona, per cui non ne teniamo conto. E’ così per l’attività vulcanica, per la fisica delle nubi e quant’altro. Ci credo che poi si pensa di aver scoperto il “control knob” del sistema, tutto il resto non esiste!
Ma quando dici abbiamo capito che fanno a livello di bilancio energetico globale, alludi alla stima reale del forcing o al fatto che qualcuno si è accorto che con le eruzioni più potenti dopo forse scende un po’ la temperatura? Perché non mi pare si tratti della stessa cosa. E di come poi questo forcing agisca sulle dinamiche del sistema a livello di circolazione e conseguente impatto regionale ne vogliamo parlare? ma non voglio andare OT più di tanto, restiamo sul tema: alle popolazioni indicate nel post, pensi che sia di qualche utilità sapere che in qualche decade gli scenari prevedono una sostanziale modifica delle piogge monsoniche (sin qui, nisba), mentre finiscono regolarmente sott’acqua da millenni (per fortuna, aggiungerei), senza che si riesca mai a capire quanto, dove e come pioverà? E questo sarebbe un sistema ben compreso?
Qui non si tratta di fare ironia Alessio, ma di dire le cose come stanno, ognuno per parte sua, ovviamente, ma non credo che si tratti di un esercizio trito e ritrito, credo sia invece assolutamente necessario.
gg
Alessio, tu dici, giustamente, che ci sono incertezze ed imprecisioni. Ti sembrerà strano, ma è anche la nostra convinzione, però, se è vero questo (ed io sono d’accordo con te) perché poi si dice che “the debate is over” ? Forse vuol dire che è passato “over” tutte le imperfezioni e le imprecisioni…c’è proprio “passato sopra”, come se non esistessero ?
Ma allora, tutto questo chiamar “negazionisti” chi ha dei dubbi… e ci son zone d’ombra, come tu stesso riconosci ?
Non si può avere incertezze e poi (non mi riferisco a te) massacrare chi non la pensa come te (vedi il filmetto 10:10, che qui, in Italia è passato sotto silenzio, con le lodevoli eccezioni di qualche sito).
Trovo giusto che si lavori e si studi, e il tuo lavoro sacrosanto.
Trovo meno giusto e meno sacrosanto l’atteggiamento di chi (non te, naturalmente) va distribuendo in giro patenti di “negazionista” a chi non la pensa come lui, in un campo dove invece le zone d’incertezza sono ancora molto vaste e scure.
Non credi ?