Tra i tanti esperimenti socio-economici che l’umanità ha messo in piedi, oggi ci apprestiamo a raccontarvene uno davvero singolare, e vogliamo essere gentili.
In Australia, il consiglio per la ricerca (Australian Research Council) ha proposto un esperimento, approvato dal ministro socialista per la scienza Kim Carr e già finanziato dal governo. L’esperimento consiste nel dotare ogni singolo cittadino dell’isola di Norfolk di una Carbon Card. In cosa consiste? Si tratta forse dell’ennesima diavoleria verde?
Lo è. In quella carta di debito, infatti, sono imputati una serie di crediti a emettere (quasi quasi un deja vu del fallimentare, e corrotto, carbon trading). Ogni cittadino, come noi tutti in fondo, farà degli acquisti: carburante, alimenti, beni voluttuari. Ad ogni acquisto verrà detratta una somma di crediti a emettere. Al momento non ci è dato sapere come verranno calcolati i vari indici di consumo, a grandi linee quello che viene detto è che i cibi grassi d’oltre oceano avranno un costo superiore in termini di crediti a emettere. Vuoi mangiare un hamburger? Paga! E paga salato.
Arriviamo alla fine dell’anno solare (o fiscale?) e a quel punto si tireranno le somme: se avete consumato pochi carbon credit, potrete rivendere le vostre eccedenze, sapendo che l’anno successivo magari qualche sfizio riuscirete a togliervelo. Se invece avete consumato tutti i crediti, non vi rimane altro che acquistarne di nuovi nel vostro eslcusivo mercatino rionale dell’emission trading.
C’è un trucco, altrimenti fino a qui sarebbe stato tutto troppo tragicamente semplice. Ad ogni nuova compravendita verranno di volta in volta sottratti un certo numero di crediti. E come in ogni buon mercato, cosa accade se si genera scarsità di un bene? Il prezzo sale. E allora, se siete rimasti senza crediti e il mercato è già stato artificialmente drenato, non vi rimarrà altro che pagare fior di quattrini per ottenere nuovi crediti. Ma attenzione, se aumenta il costo di un singolo credito, aumenterà anche il costo del bene sottostante. Di conseguenza, il surplus di benzina, cibo e tutto il resto vi costerà talmente tanto che non ce la farete più a permetterveli.
Lo strumento è efficacissimo, salvo alcuni problemi di cui parleremo più avanti: in questo modo si ottiene il livellamento dei consumi alla velocità e alla quantità che qualcun altro avrà deciso per voi e per noi.
Non siete d’accordo, pace! Leggete qui:
Widespread public acceptance, while desirable, should not be a pre-condition for a personal carbon trading scheme; the need to reduce emissions is simply too urgent
Lo disse Miliband qualche tempo fa. In italiano: un largo consenso dell’opinione pubblica, sebbene auspicabile, non deve essere una condizione a priori per uno schema di scambio di emissioni personali. La necessità di ridurre le emissioni è semplicemente troppo urgente.
E quindi, come vedete, questo potrebbe ben diventare uno strumento per ridisegnare la società stessa.
Dicevamo poche righe sopra che per quanto efficace, questo strumento, presenta dei problemi. E, detto tra noi, sono più o meno gli stessi problemi che affliggono il fratello maggiore, lo schema di scambio dei crediti nel mondo industriale.
Innanzitutto, siamo sicuri che tutti siano d’accordo a seguire questo schema? E chi non lo fosse? Genererebbe, non so, un mercato nero? Possibile, alterando ulteriormente i prezzi di “mercato”.
In secondo luogo, cosa accadrebbe alle persone che, terminati i crediti (e terminati i soldi), devono ancora nutrirsi, addirittura per arrivare alla fine dell’anno (bontà loro)? Su questo punto in particolare, un giornalista dell’Heral Sun1 incalza Gary Egger, l’ideatore dell’esperimento, per ben 2 volte, ottenendo sempre la stessa risposta: se sei virtuoso non ti accadrà mai di terminare soldi e crediti. Al terzo tentativo, finalmente, Egger forse comprende il senso della domanda e ammette l’eventuale esistenza di “casi personali” sui quali bisogna ancora trovare una soluzione. L’isola di Norfolk ha 2400 abitanti, e si tratta di casi personali. Cosa accadrebbe se l’esperimento, come è stato già annunciato dal ministro dell’ambiente australiano, dovesse essere trasferito sul continente? Fino a che punto i casi speciali sono “casi personali”? Cinque, dieci? Centomila?
Certo la colpa non è del sistema, ma del singolo che non è stato in grado di sottomettersi allo schema di vita imposto. E in quest’ottica, in quella di Gary Egger e del partito socialista australiano, è assolutamente un ragionamento corretto. Non dimentichiamo, tuttavia, che lo stesso Miliband avanzò uno schema simile in Gran Bretagna quindi, in linea di massima, non è una novità assoluta.
Alla fine di questa sperimentazione, si sarà trattato dell’ennesima ricerca di Utopia, oppure verrà stabilito un precedente che sarà esteso al resto dell’Australia, del Commonwealth e, perchè no, del mondo intero?
E mentre noi ci arrovelliamo su questi quesiti e i poveri abitanti di Norfolk stanno facendo i conti della serva con le loro emissioni, il grande ideatore di tutto, Gary Egger si appresta a volare, su un comodo jet di linea, verso Cancun per convincere l’ONU a estendere questo esperimento ad altre nazioni.
- http://blogs.news.com.au/heraldsun/andrewbolt/index.php/heraldsun/comments/column_why_you_may_soon_need_a_warmists_permission_to_eat/ [↩]
@max
Il problema non sono le associazioni ambientaliste, ma i politici ambientalisti e il consenso che possono ottenere. E’ evidente che delle libertà personali non importa niente a nessuno. Si pensa che le libertà personali si possano eliminare se c’è consenso (=democrazia totalitaria), ma che be’, se c’è urgenza, alla fine il consenso non è poi così importante (=dittatura totalitaria). Pensa alle parole di Miliband citate nell’articolo, e pensa se le avesse dette, che so, Bush a proposito del patriot act.
Andare avanti così senza che sia chiaro dove si trova il limite è pericolosissimo. E il limite in certi casi è stato già abbondantemente superato. Non si tratta di una questione accademica nel caso l’ambientalismo venisse spinto all’estremo, ma di una questione pratica e urgente. Vi consiglio di leggere la citazione 1, http://blogs.news.com.au/heraldsun/andrewbolt/index.php/heraldsun/comments/column_why_you_may_soon_need_a_warmists_permission_to_eat/ per rendervene conto. Simili esperimenti di ingegneria sociale non hanno nulla da invidiare (se non la scala) a quelli fatti nelle dittature totalitarie del XX secolo.
Qui non è in discussione se il global warming sia reale o no: anche se fosse una cosa assolutamente certa, scelte politiche del genere rimarrebbero comunque inaccettabili.
Max, nel discorso di filippo non dobbiamo intendere “ambientalismo” in modo colloquiale, ma nel senso di modello decisionale strutturato, come ideologia (da intendere ora in senso neutro, non negativo). Insomma, un po’ come liberalismo, tanto per capirci. Se il liberalismo – semplificando – prevede che la società va governata tenendo in massima considerazione la volontà dei singoli cittadini, dove quello che è giusto e lo sbagliato vengono decisi liberamente, l’ambientalismo ricade chiaramente nella categoria dei sistemi di pensiero “etici”, per cui la società comunque deve essere soggetta prima di tutto ad alcune considerazioni di ordine generale a cui i singoli devono assoggettarsi. Questo non è necessariamente totalitarismo, ma da lì ci si può arrivare, se non ci sono anticorpi.
Personalmente ritengo che i sistemi di pensiero “etici” derivino da una impropria laicizzazione del pensiero religioso, in particolare del concetto di peccato. Il peccato non è più contro Dio, Allah o JHWH, ma contro Gaia. Da qui anche le derive millenaristiche che sono evidenti in certo pensiero ambientalista. Si può essere convinti o no in buona fede di un sistema superiore che definisce un concetto di peccato, ma è storicamente provato che su queste basi alcuni gruppi di persone possono facilmente approfittare per accedere al potere.
capisco le vostre osservazioni e le vostre diffidenze, ma associare ambientalismo a nazionalismo, militarismo o integralismo religioso mi sembra francamente esagerato; non esiste nessuna associazione ambientalista che abbia poteri politici, economici, né tantomeno mezzi o forze militari al suo servizio, meno che mai mi sembra che esistano rischi di monopolizzazione e pilotaggio dell’informazione e delle scelte individuali, altrimenti sarebbe già successo, considerando la “verve” con cui in questo ultimo decennio l'”ambientalismo spicciolo” ha preso piede nelle parole (ma solo in quelle) di tanta gente comune…..
poi, il discorso dal punto di vista sociologico diventa talmente ampio e complesso che diventa difficilmente gestibile su queste pagine…..
Non è proprio così Max. Abbiamo più volte ripercorso la storia dell’ecologismo, qui su CM. E non è affatto come dice lei. Si parla di storia, quindi non di come la pensiamo noi, io, lei. L’ecologismo gli eserciti li ha avuti… e li ha ancora, magari non più eserciti militari (o forse sì…), ma sempre e comunque molto ma molto potenti. Credo tra l’altro che a breve torneremo a parlarne, tempo permettendo.
CG
Devo chiarire la mia battuta. Non mi riferivo all’estabilishment, ma mi riferivo all’ambientalismo come ideologia in senso generale. Non dubito delle buone intenzioni della grandissima maggioranza degli ambientalisti (compresi molti politici), ma questo non toglie nulla al potenziale totalitario dell’ambientalismo, anche in un sistema democratico.
Innanzitutto osserviamo che in generale i politici eletti con un programma ambientalista sostengono leggi che regolano più o meno minuziosamente i comportamenti privati di cittadini e imprese, sia direttamente che indirettamente, come nell’esempio dell’articolo. Quindi che la pratica dell’ambientalismo in politica generalmente sia illiberale è un dato di fatto.
In secondo luogo, l’ambientalismo è potenzialmente un sistema decisionale completo. Con questo intendo dire che, almeno in linea di principio, per ogni scelta diventa possibile decidere quale sia giusta e quale sbagliata. Di fatto, le uniche scelte che rimangono ingiudicabili sono quelle per cui, a causa dei nostri limiti tecnici, non è ancora possibile sapere quale sia con certezza, o almeno “very likely”, quella che preserva meglio l’ambiente. Da notare che per la complessità dell’argomento solo una piccolo numero di scienziati sono in grado di giudicare quali siano le scelte corrette: oggi non si tratta più di decidere ovvietà come “è sbagliato buttare i sacchetti di plastica in mare”.
Arriviamo ora al concetto di totalitarismo: se è lecito che lo stato intervenga illimitatamente su scelte del tipo “che cosa devo mangiare”, “come e dove devo muovermi”, “che oggetti posso o non posso produrre o comprare”, allora si tratta di uno stato totalitario. Già oggi l’intervento dello stato in scelte di questo tipo, quando avviene, è giustificato in buona parte da considerazioni ambientalistiche, e l’ambientalismo non fa mistero di voler vagliare la correttezza o meno di molti comportamenti in base al loro impatto ecologico: per esempio buona parte dei post di ecoblog.it si occupa di questo, e basta leggere i commenti per capire che c’è chi non avrebbe problemi nell’imporre le scelte “corrette” a tutti.
A questo punto, perché l’ambientalismo non si trasformi in un’ideologia totalitaria, dovrebbe essere chiara la necessità di un limite al tipo di scelte su cui è lecito intervenire coercitivamente. Quanti ambientalisti ne sono consapevoli? Ben pochi, temo. In effetti alcune correnti estremamente minoritarie affrontano il problema e arrivano a teorizzare più o meno esplicitamente la coercizione su larga scala. Probabilmente però la maggior parte dei sostenitori delle politiche ambientali non arriva a porsi il problema, o ritiene, a torto, che non sia molto importante e che la libertà da sacrificare sia poca cosa in confronto ai benefici.
Infine, la società odierna ha degli “anticorpi” contro le derive totalitarie prodotte da molte ideologie. Scelte che possono essere ricondotte a principi come il nazionalismo, il militarismo o l’integralismo religioso vengono, giustamente, messe pesantemente in discussione ogni volta che se ne presenta l’occasione. Tali anticorpi esistono anche nel caso dell’ambientalismo? Ne dubito.
Conclusione: è ora che gli ambientalisti, siano essi politici, ideologi, o sostenitori, chiariscano a se stessi e a tutti fino a che punto la loro idea sia compatibile con lo stato liberale (in senso classico) che è alla base della società moderna.
Condivido a pieno questo tuo intervento, e la necessità che gli ambientalisti in buona fede (che sono la stragrande maggioranza, ovviamente) incomincino a pensare alle conseguenze di certe loro posizioni, e ne misurino l’impatto sulla libertà di tutti noi. Credo che una parte ne sia consapevole, ma ritenga più importanti i loro obiettivi, ma la maggior parte non ne abbia invece piena consapevolezza. (Mi sembra che il brioscismo dilaghi)
Credo che sarebbe un bene se si aprisse questa questione e se ne discutessero tra loro gli ambientalisti. Non credo che siano tutti dei fanatici fondamentalisti, anzi, mi sento di escluderlo se non per una minima percentuale.
Secondo me.
@ Filipporiccio
La ringrazio per l’intervento, in particolare cito:
“A questo punto, perché l’ambientalismo non si trasformi in un’ideologia totalitaria, dovrebbe essere chiara la necessità di un limite al tipo di scelte su cui è lecito intervenire coercitivamente. Quanti ambientalisti ne sono consapevoli?”
Un mio amico dice che in cinese si traduce “voi occidentali essele scemi”. Fuor di battuta, la cosa paradossale è che un sistema anti-liberale come questa idiozia potrebbe proprio essere implementato in Cina, che è una dittatura, ma lì nessuno ci pensa.
Venendo a WWF… Caro Max, sono iscritto a WWF e Lipu da quasi trent’anni. Devo dire che negli ultimi anni ci penso sempre due volte prima di rinnovare l’iscrizione; ma alla fine mi rendo conto che c’è una gran differenza tra gli attivisti che si occupano di conservazione degli ecosistemi e i dirigenti che invece parlano di politiche globali (come Asimov raccontava, il potere corrompe) – tipo quelli che scrivono:
“[…] Ciò ha conferito alla classe sacerdotale-scientifica il potere di impedire ogni indesiderata deviazione dall’ortodossia scientifica, esattamente come la gerarchia cattolica del Medioevo poteva scomunicare qualsiasi eretico il cui insegnamento costituisce una sfida alla sua autorità . In questo modo la scienza non ha bandito la fede: ha sostituito la fede nella scienza moderna alla fede in una religione tradizionale. L’ecologia, con la quale dobbiamo sostituirla, è anche’essa una fede. […]“.
Beninteso, che la prima parte può essere in parte corretta (anche la scienza ha i suoi effetti, lo scientismo è una fede), la parte inquietante è l’ultima frase con quel “dobbiamo sostituirla”.
PS Nota per gli amministratori. Ho recuperato la frase citata negli archivi di questo blog (http://www.climatemonitor.it/?p=8819), ma ci sono grossi problemi di codifica di caratteri delle accentate.
Reply
Risolto per chi vorrà leggere per esteso. E’ purtroppo un “regalo” della precedente piattaforma di hosting. Pian piano, grazie anche alle vostre segnalazioni, riusciremo a correggerli tutti.
Grazie,
gg
“….Caro Max, sono iscritto a WWF e Lipu da quasi trent’anni. Devo dire che negli ultimi anni ci penso sempre due volte prima di rinnovare l’iscrizione; ma alla fine mi rendo conto che c’è una gran differenza tra gli attivisti che si occupano di conservazione degli ecosistemi e i dirigenti che invece parlano di politiche globali …..”
pienamente d’accordo, io ho smesso di rinnovare la tessera WWF proprio per questi motivi….
ma non mi piace leggere generalizzazioni come quelle sopra…. 🙂
Grazie a voi. PS Qua sopra volevo scrivere “…anche la scienza ha i suoi ECCESSI…”
Una società totalitaria e controllata da un ristretto numero di illuminati virtuosi è l’obbiettivo, conscio o inconscio, di larga parte dell’ambientalismo. Non serve eliminare la democrazia per arrivarci, come questa “perla” australiana dimostra.
sì, certo….. “larga parte”, soprattutto…. da oggi mi terrò ben alla larga da tutti i miei amici sostenitori del WWF o simili, sapendo che in realtà sono trai i peggiori criminali internazionali, che minano le fondamenta della democrazia mondiale…..altro che Al Qaeda…
per il resto, concordo con voi, questo discorso delle card, dei crediti sul Carbonio etc etc sono idiozie allo stato puro….
Ovviamente i suoi amici sono pedine come tutti noi. Qui, credo e sottolineo “credo”, si parli dell’establishment. Per il resto, la storia ci ha tragicamente insegnato che le masse sono facilmente pilotabili.
M.G.
Caro Max,
ho sempre sostenuto la buona fede di tante persone che sostengono l’ambientalismo e credono che l’ipotesi AGW sia una solida ed indubitabile teoria. D’altra parte, a fronte di un bombardamento mediatico costante ed intenso e senza scrupoli, sarebbe strano che chi non ha particolari interessi nella climatologia non si fidasse della Scienza ufficiale. E di che altro dovrebbe fidarsi, di qualche sparuta voce “negazionista”, quando fior di professoroni li assicurano che queste voci sarebbero ben pagate dalle lobby dei petrolieri…?…così viene presentato al pubblico il dissenso e la libertà di pensiero, che non è ammessa nel mondo del Pensiero Unico.
Io stesso ci avrei creduto, e avrei approfondito i geroglifici egizi, e lo studio del kichwa, piuttosto che andar colla testa e il pensiero tra le nuvole, a cercar di capire se siano un feedback (scusa la brutta parola) positivo o negativo, e non starei a studiarmi le lezioni di GW dell’Università di Chicago.
Ma ho percepito un tono che non mi è sembrato scientifico, ma ideologico e politico, una pretesa sicurezza che mal si rapportava all’idea che avevo della climatologia, scienza antichissima (vedi Calcante) ma che, nella mia percezione, pur avendo fatto lodevolissimi passi avanti, ancora ha molto cammino da percorrere.
Per questo non mi stupisce che così tanta gente creda all’ipotesi AGW, e non licritico. Potrò, però, visto che penso che siano in errore, cercare di spiegargli i miei motivi di dissenso ?
E non mancano i brioscisti, purtroppo, e cioè quelli che, quando gli dai un input, partono in quarta a “salvare il mondo”, facendo danni immensi, perché per “salvare il mondo” bisognerebbe prima capire qual’è il suo “vero” nemico, se c’è.
C’è però anche gente intelligente e che dice e fa cose intelligenti, e che crede all’ipotesi AGW. Siamo, ambientalisti permettendo, ancora in un mondo democratico, dove vige il diritto di opinione, di cui vado fiero e che difenderò sempre con tutte le mie forze, anche per quelli che sostengono cose opposte a quelle che sostengo io.
Tutto questo per dire che ognuno ha diritto alle opinioni che vuole, ma non certo a sospendere la democrazia e a privarci della libertà in nome di ideali mooolto ma nooolto dubbi.
Per questi ideali già mi sono attirato minacce di morte, quindi non mi fermerò neanche ora, e non mi farò intimidire.
Ma dato che credo nella buona fede dei più, puoi frequentare tutti quelli che vuoi, naturalmente, né io ho il potere, ma soprattutto il volere, di impedirti alcunché.
Cordialmente.
Come si dice “Carbon Card” in cinese?
Bella questa, me la segno.
CG
come tradurre “carbon card” ?
Non ho trovato la traduzione di “carbon card”, che è un termine tecnico nuovo,
e non mi resta che ipotizzarlo, partendo dal determinante, “carbon”, che viene prima sia in inglese che in mandarino
tàn
dopo il quale dovremmo porre “card”, scegliendo tra
k?piàn
e il semplice
k?
otteniamo così un ipotetico
tàn k?piàn
oppure
tàn k?
nella pagina facebook di CM ho messo anche i simboli cinesi che ho usato
Purtroppo vedo che anche la “a” (di “ka”) in terzo tono diventa un “?”, e allora ripropongo il commento, pregando di cancellare il precedente:
come tradurre “carbon card” ?
Non ho trovato la traduzione di “carbon card”, che è un termine tecnico nuovo,
e non mi resta che ipotizzarlo, partendo dal determinante, “carbon”, che viene prima sia in inglese che in mandarino
tàn
dopo il quale dovremmo porre “card”, scegliendo tra
kapiàn
e il semplice
ka
otteniamo così un ipotetico
tàn kapiàn
oppure
tàn ka
nella pagina facebook di CM ho messo anche i simboli cinesi che ho usato
Magari questa potrebbe essere più comprensibile (forse)
tàn xìnyòngk? = carbon credit card
(ipotizzata aggiungendo “carbon” a “credit card”)
Cosa vuol dire essere “virtuosi”, secondo Gary Egger ? Comprare i prodotti di quella ditta e non di quell’altra ? Chi decide ?
Dove finisce la libertà individuale in tutto questo ?
Dove finisce la democrazia ?
Dove finisce il diritto di vivere, visto che è previsto solo per i “virtuosi” ?
Trovo tutto questo agghiacciante ed oltremodo allarmante.
Non posso che essere d’accordo con te. Mi spaventa il fatto che si pensi di plasmare una società in base ad un parametro deciso da altri (su fondamenta scientifiche, non dimentichiamolo, ancora piuttosto incerte). E se domani uscisse qualcuno dicendo: vi diamo il permesso di mangiare solo se votate il partito X o Y? Non suonerebbe altrettanto sinistro il messaggio? I nostri avi hanno combattuto per una libertà di pensiero di cui noi oggi godiamo lascivamente i frutti. Quella stessa libertà di pensiero che, paradossalmente, sta dando vita a percorsi involutivi.
Qualcuno si è davvero domandato, o meglio qualcuno ha chiesto sinceramente ai cittadini di Norfolk se fossero d’accordo o meno a sottoporsi a quell’esperimento? Chi non è d’accordo cosa fa?
Ricapitolando le ultime perle ecologiste:
1) facciamo saltare in aria chi è contrario all’AGW.
2) possiamo violare la proprietà privata di aziende poco virtuose dal punto di vista ambientale
3) non bisogna più fare figli e le eccedenze, eventualmente, vanno risolte come al punto 1)
4) i sopravvissuti mangeranno solo grazie alle decisioni di una ristretta elite di illuminati.
Mi viene solo da dire… WOW.
CG
Nel XX secolo, i più grandi autori della patria della democrazia liberale avevano una strana mania: pur essendo appunto nati, cresciuti e vissuti nella nazione che si era dotata di un monarca “costituzionale” già nel XIII secolo, con una carta che riconosceva i diritti anche dei ceti fuori di clero e nobiltà, del diritto ad un giusto processo, della libertà di voto, di parola, di pensiero ecc. essi insistevano in un futuro nero, o meglio “grigio”, dove uno stato pseudo-democratico avrebbe controllato ogni aspetto della vita e perfino della mente dei cittadini al fine di realizzare il benessere comune (vedesi 1984).
Temo che queste paure non fossero poi così infondate, e che certi germi anti-liberali si nascondessero davvero in una certa parte dell’establishment britannico, e di riflesso australiano, canadese ecc.